Anni e anni fa, ovvero la prima volta che mi imbattei in Mattatoio n. 5 o La Crociata dei Bambini – capolavoro indiscusso della fantascienza satirica pubblicato nel 1969 da quel folle genio che è Kurt Vonnegut – era una calda estate, perfetta per divorare libri sotto l’ombrellone. Mai mi sarei aspettato, giovane e inesperto di letteratura moderna quale ero, di leggere un’opera tanto grandiosa quanto imperdibile. Lo scrittore statunitense non ha tardato a diventare uno dei miei preferiti in assoluto, e potete ben immaginare la mia reazione quando ho scoperto che Bompiani – incaricata della ripubblicazione di tutti gli scritti di Vonnegut – ha pubblicato un adattamento fumettistico del romanzo sopracitato (ormai divenuto un classico).
A portare sulle spalle il gravoso compito di riproporre un romanzo così intoccabile sono due giganti: il canadese Ryan North alla sceneggiatura – autore della serie a fumetti di Adventure Time e vincitore di molteplici premi Eisner – e lo spagnolo Albert Monteys (Universo!) alle illustrazioni. Incredibile ma vero, la coppia è riuscita nell’impossibile: raccontare da zero e senza incertezze un titolo chiave del pacifismo moderno con una formula perfetta per lettori vecchi e nuovi.
Partiamo dall’inizio, così da presentare l’opera di Vonnegut a chi non ne ha mai sentito parlare: il libro è una testimonianza dell’autore stesso sulla sua prigionia in Germania durante la Seconda guerra mondiale e sul bombardamento di Dresda avvenuto nel 1945. Per raccontare tutto ciò la narrazione si serve dello strambo protagonista Billy Pilgrim, un soldato che viene coinvolto in esperienze di tutti i colori, da imboscate naziste a misteriosi rapimenti alieni. È un personaggio disilluso e nichilista a cui, a causa del suo disturbo da stress post-traumatico, manca quasi del tutto la voglia di vivere. Nonostante ciò, la sua parabola – che si snoda attraverso 54 anni – risulta imprevedibile e piena di svolte positive e negative; vicende che cambiano radicalmente il suo stare al mondo.
Posto così, il volume sembra di difficile comprensione, ma i neofiti non hanno da temere: nelle prime pagine la graphic novel mostra schematicamente tutti i comprimari, insieme a una linea del tempo che riassume la vita di Billy. Sezioni come queste sono preziose coordinate per seguire al meglio la storia abbastanza arzigogolata. In tutto ciò, ovviamente, giocano un ruolo importante le tavole, di cui parlerò più avanti.
Quanto ai personaggi secondari, per citare le parole sagaci dell’autore, questi “sono stanchi, disgustati e consapevoli di essere apatici zimbelli delle forze in campo. In fondo, uno degli effetti principali della guerra è che toglie alla gente il coraggio di essere dei personaggi”. Quelli che spiccano di più sono Roland Weary e Paul Lazzaro, due giovinastri violenti e ossessionati dal conflitto, e Kilgore Trout, un eccentrico autore (fallito) di fantascienza, figura ricorrente in altri scritti del romanziere. Tali pedine nelle mani della storia ben esemplificano il titolo del romanzo, La Crociata dei Bambini: uomini maturi decidono di far la guerra mandando dei “bimbi” a morire al posto loro; ragazzini irresponsabili che giocano a fare i soldatini.
Quello di Kurt Vonnegut è un grido pieno di dolore contro ogni tipo di guerra (tema presente anche in Ghiaccio-nove e in Dio la benedica, Mr. Rosewater), un ripudio contenuto in alcune tavole dalla forte carica metaforica, rese intelligentemente sotto forma di storyboard. Non è tutto: il fumetto, proprio come il romanzo, sfoggia subito il suo stile caratteristico, ossia un misto di horror e scaltra ironia in cui non mancano rotture della quarta parete. Un mix che porta a sorridere amaramente davanti a disgrazie grottescamente comiche; una prerogativa che avvicina la prosa dell’autore di Indianapolis al celebre Bertolt Brecht.
A ciò si aggiunge l’incrollabile antiamericanismo che permea la maggior parte della bibliografia dello scrittore – basti pensare a volumi come La colazione dei campioni – qui espresso in alcune righe celebri: “Gli americani, come tutti gli altri esseri umani, credono molte cose che ovviamente sono false. La più devastante è che per ogni americano sia facilissimo far soldi. Non riconosceranno mai quanto è difficile […] La cosa più sorprendente venuta dall’America, una cosa senza precedenti, è una massa di poveri senza dignità. I quali non si amano tra loro perché non amano sé stessi”.
Con piacere ho potuto constatare come tutte queste tematiche siano state rese ancor più cristalline dalla sceneggiatura fedele e innovativa di un Ryan North pieno di idee. Un apporto da non sottovalutare dal momento che Mattatoio n. 5, benché sia un capolavoro, può risultare ostico per i lettori meno navigati o non avvezzi alla penna funambolica di Vonnegut.
In cosa si sostanziano questi funambolismi? In una narrazione che non esita a procedere per vistosi balzi. Mi spiego meglio: il PTSD di Billy Pilgrim – non dissimile da ciò che si vede in PTSD di Guillaume Singelin – permette all’uomo di “staccarsi dal tempo” o, in altre parole, di compiere viaggi spazio-temporali fisici e metaforici da un’epoca all’altra del suo vissuto (resi splendidamente da “tagli” molto cinematografici tra le vignette). I salti, come accade realmente a causa dello stress post-traumatico, avvengono per associazione: un flashback può infatti essere innescato da suoni improvvisi o immagini specifiche.
Pilgrim, il cui cognome non è casuale, è proprio un pellegrino temporale. Questa sua capacità guida la narrazione tra già citati flashback, flashforward e persino eventi che fondono contemporaneamente presente, passato e futuro in un’unica soluzione (una scelta resa visibile quasi esclusivamente dalla graphic novel, poco dalla controparte del 1969).
Come sottolineato precedentemente, in un tale marasma creativo trovano spazio anche gli extraterrestri, i Tralfamadoriani per la precisione. Alieni tutti da scoprire in sequenze ambientate nello spazio, le più fantasiose e variegate, quasi concettuali. Lunghi siparietti in cui si discute di libero arbitrio, dell’insignificanza della razza umana, del vero significato del tempo e dell’irrilevanza della morte. “È la vita” lo slogan più potente del romanzo.
Esteticamente pregevole, la graphic novel non è sempre omogenea, bensì unisce illustrazioni dallo stile diversificato in base alle situazioni da mostrare: splash page di Dresda e dell’infausto Mattatoio n. 5 o, per esempio, una sezione dedicata al fumetto fittizio Il Vangelo dello spazio di Kilgore Trout, disegnata magnificamente come se fosse uscita da un volume degli anni ’40.
La forma fumetto diviene fondamentale nell’ottima gestione di digressioni, pensieri e ricordi. Non si crea alcun tipo di confusione e il ritmo è sostenuto. Il timore principale, elegantemente messo a tacere, era proprio quello di dar vita ad una matassa incomprensibile e contorta causata dall’intreccio tutt’altro che lineare del libro. La cosa più sbalorditiva, però, è l’abilità degli autori nell’aver reso tangibili e concrete le parole di Vonnegut. Un lavoro così preciso che certe vicende, con ambientazioni annesse, vengono rappresentate esattamente come le immaginai io durante la lettura del romanzo originale tanti anni fa.
In conclusione, è possibile affermare senza esitazione che questo adattamento fumettistico altro non è che una trasposizione perfetta dell’eredità di Kurt Vonnegut, una versione immancabile in ogni libreria. L’amore di Bompiani per lo scrittore americano è palpabile, ora più che mai grazie a questa nuova, preziosa aggiunta al catalogo. Un dono inaspettato e assai gradito.
L’atrocità di Dresda, enormemente costosa e meticolosamente pianificata, in definitiva fu così insensata che solo una persona sull’intero pianeta ne trasse un beneficio. Quella persona sono io. Ho scritto questo libro, che mi ha fatto guadagnare un mucchio di quattrini e col quale mi sono fatto una reputazione. In un modo o nell’altro ho guadagnato due o tre dollari per ogni persona uccisa. Bel mestiere il mio, eh? – Kurt Vonnegut
Un ringraziamento speciale a Bompiani
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