Dopo gli alieni allergici all’acqua di Signs e le piante ribelli di E venne il giorno, M. Night Shyamalan torna ancora una volta alle prese con qualcosa che potrebbe mettere la parola fine al genere umano, in questo caso una vera e propria apocalisse.
Bussano alla Porta si basa sul romanzo La casa alla fine del mondo di Paul Tremblay, e narra la storia di una famiglia composta da una coppia di uomini con figlia al seguito, la cui quiete viene interrotta bruscamente quando quattro individui irrompono nella loro baita isolata tra i boschi chiedendo un sacrificio, allo scopo di scongiurare la fine del mondo. Cosa saremmo disposti a sacrificare per salvare l’umanità? Cosa sarebbero disposti a sacrificare dei genitori omosessuali per salvare un mondo che in parte neanche li accetta e li rispetta come coppia e come famiglia?
Non si può negare la natura accattivante della storia, ricca di spunti che vengono man mano sviscerati in un crescendo; partendo da un incipit in stile home invasion, fino all’incedere del thriller drammatico con chiari rimandi religiosi, si ha una precisa evoluzione nei dialoghi, che inevitabilmente accompagna la presa di coscienza e l’evoluzione dei protagonisti. Attraverso alcuni flashback si ha modo di approfondire la storia di Eric e Andrew (Ben Aldridge e Jonathan Groff), dalle loro differenze caratteriali fino alle loro “battaglie” per raggiungere una felicità insieme alla piccola Wen (Kristen Cui), alla quale giustamente non intendono rinunciare.
Contrapposti a questo nucleo familiare troviamo Redmond, Sabrina, Adriane e Leonard, quattro persone apparentemente comuni capitanate da quest’ultimo (un Dave Bautista quanto mai serioso, credibile e in parte). Quattro persone pacate e non violente, costrette da “un bene superiore” a entrare con la forza e legare i protagonisti, ma al solo fine di farsi ascoltare e convincerli che da loro dipende il destino dell’umanità.
È chiaro l’intento della pellicola di imprimere tensione (tramite anche una colonna sonora a tinte horror) e ritmo ad un soggetto che però lascia poco spazio a determinate dinamiche, soffermandosi su tematiche molto più alte come famiglia, sacrificio e libero arbitrio, che a tratti finiscono per rallentare eccessivamente la narrazione. Shyamalan non è affatto nuovo a discorsi etici, morali e religiosi, ma se da un lato riesce sapientemente a far interrogare lo spettatore su cosa possa essere oggettivamente giusto o sbagliato, su cosa possa essere necessario sacrificare, dall’altro non riesce a instillare a dovere il mistero per il fine che accompagnerà questa scelta. Salvo qualche sterile tentativo, infatti, col passare dei minuti appare fin troppo chiaro cosa stia effettivamente accadendo e quello che accadrà, rendendo l’ipotetica scelta o stupida ed estremamente egoista, o quasi obbligata.
Nel finale dominano dolore e commozione e ha decisamente una resa impattante ed emotiva, anche grazie a dialoghi, montaggio e musiche degni di nota, ma il tutto appare davvero troppo scontato. In Bussano alla Porta infatti non solo non c’è il tipico “plot twist alla Shyamalan”, ma è proprio assente un colpo di scena in grado di scuotere lo spettatore; evidentemente non era neanche quello l’intento principale del regista, ma purtroppo questa prevedibilità si rivela il maggior punto debole del film. A conti fatti dubito che quest’ultima fatica di M. Night Shyamalan verrà annoverata tra le sue opere migliori ma, pur non esaltando, possiede comunque i giusti requisiti per risultare gradevole a chi solitamente apprezza la sua estetica e la sua poetica.
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