“[… ] Adonis Creed riscatta il suo nome e crea la sua leggenda“, queste le parole finali dello speaker che proclamava la vittoria del nostro campione contro Viktor Drago in Creed II. Parole che Michael B. Jordan deve aver fatto completamente sue decidendo di caricarsi la saga sulle proprie spalle: infatti non solo diventa l’unico protagonista (Sylvester Stallone stavolta ne è rimasto fuori), ma passa anche per la prima volta dietro la macchina da presa.
La storia di Creed III parte qualche anno dopo il film precedente. Il campione decide di abbandonare le battaglie sul ring dopo aver difeso un’ultima volta il titolo contro Ricky Conlan (avversario del primo capitolo), per allenare nuove leve e dedicarsi alla moglie Bianca (Tessa Thompson) e alla figlia sorda Amara. Adonis quindi ha appeso i guantoni al chiodo, ha iniziato a indossare la giacca e a “civilizzarsi”, un po’ come accadde proprio a Rocky molti anni prima, ma il suo nuovo progetto di vita inizia a scricchiolare quando torna a fargli visita un vecchio amico di nome Damian (Jonathan Majors), appena uscito di prigione.
Il tutto ha il sapore di una tipica retcon, ma tutto sommato la storia dei due vecchi amici viene ben inserita nella narrazione attraverso dei flashback, riuscendo parzialmente a giustificare perché Adonis non ne abbia mai parlato con nessuno. La prima parte del film si prende i suoi tempi proprio per presentare e approfondire il rapporto tra i due, e per renderci partecipi della crescente rabbia dell’antagonista. Infatti il personaggio interpretato da Majors (al quale la faccia da criminale si addice alla perfezione, non me ne voglia) ha motivi più che validi per avercela con Creed, motivi inevitabilmente incancreniti dagli anni passati in carcere, mentre vedeva Adonis conquistare il mondo della boxe come anche lui avrebbe potuto fare.
Interessante, a tal proposito, anche l’accennato parallelismo tra Damian e Bianca: in un paio di brevi scambi di battute realizzano di aver entrambi dovuto rinunciare (per ragioni chiaramente diverse) ai propri sogni e aspirazioni. La storia di Damian, nel presente, potrebbe essere quella di un “underdog” alla pari dello stesso Rocky, ma le sue differenti motivazioni lo spingeranno verso tutt’altra direzione. Rimane in ogni caso un personaggio più tridimensionale rispetto agli avversarsi ai quali ci aveva abituato finora la saga: non avrà di certo l’imponenza di un nome come Viktor Drago (che qui torna come amico di Creed, un ruolo che sarebbe stato interessante approfondire di più), ma grazie alla connessione col background del protagonista, una presenza scenica minacciosa e convincente, e una rabbia da strada che richiama inevitabilmente il Clubber Lang di Rocky III (manco a farlo apposta), col tempo potrebbe ritagliarsi un piccolo spazio anche nel cuore dei fan di vecchia data.
Con questo suo primo lavoro da regista, Michael B. Jordan si addossa (sia davanti che dietro la cinepresa) una grossa eredità, ma con un colpo al cerchio e uno alla botte riesce a destreggiarsi discretamente nel mondo creato all’ombra di Rocky, un mondo che da qui in poi però deve imparare a camminare solo ed esclusivamente sulle proprie gambe. Infatti per ora non mancano citazioni velate a situazioni già viste nei sei film con protagonista Stallone, rivisitazioni di queste in chiave moderna, e temi già affrontati come la famiglia, il riscatto e il tempo che passa.
Nonostante ciò, in Creed III sparisce completamente l’elemento nostalgia che aveva caratterizzato i primi due capitoli, cosa per molti potrà essere percepita come una mancanza, per altri come il doveroso prezzo da pagare per permettere ancor di più a questa saga di non essere considerata solo come una costola di Rocky. In tal senso è anche piuttosto evidente il diverso approccio alla regia, specialmente nella gestione degli scontri (su tutti quello finale) e nelle musiche utilizzate.
A conti fatti, malgrado l’assenza di un pezzo da novanta come Sly e una sceneggiatura modesta e senza particolari colpi di scena, Creed III mette a segno i giusti colpi e riesce a portare a casa il match grazie a un buon ritmo. Magari non sarà un secco knockout o il capitolo più memorabile della (per ora!) trilogia, ma ciò che conta è che abbia una propria identità.
Un ringraziamento speciale a Warner Bros. Italia
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