Da un paio d’anni a questa parte i fumetti, e i manga in particolare, hanno riscosso particolare successo in Italia, tanto da spingere anche le librerie a fornirsene sempre di più, aumentando considerevolmente lo spazio a loro dedicato. Questi luoghi, che una volta erano popolati principalmente dalle graphic novel – erroneamente associate alla letteratura rispetto ai normali “fumetti” – ora invece sono pieni di tankobon e volumi singoli di serie, occidentali od orientali che siano, grazie a una richiesta che si è fatta sempre più alta.
Il boom è da ricercare principalmente nella pandemia e nel conseguente lockdown. In quel periodo infatti molte nuove persone si sono avvicinate a canali Twitch e YouTube, o anche a Instagram, e gli influencer del settore hanno goduto di grandissima popolarità, riuscendo davvero a influenzare il mercato in modo significativo. La pubblicazione (finalmente) in Italia di Initial D, non è altro che il passo successivo d’ibridazione tra editoria e influencer, con quest’ultimi che da opinionisti sono diventati sempre di più un traino pubblicitario attivo per determinati prodotti, che purtroppo hanno la possibilità di esistere sul territorio nostrano solo in questo modo.
Initial D è un manga seinen scritto e disegnato da Shuichi Shigeno, serializzato originariamente sulla Weekly Young Magazine di Kodansha – rivista che pubblicò opere del calibro di Akira e Ghost in the Shell – dal 1995 al 2013. Si tratta del più famoso tra i (pochissimi) fumetti giapponesi che trattano il mondo dell’automobilismo, più precisamente quello delle corse clandestine e del drifting, una disciplina nata proprio nel Paese del Sol Levante all’inizio degli anni ’90, e spesso praticata sui percorsi montuosi proprio come descritto dal manga.
Il protagonista è Takumi Fujiwara, un liceale di 18 anni figlio di Bunta Fujiwara, ex-pilota di corse clandestine che da quando si è ritirato ha aperto un negozio di tofu. Nonostante Takumi abbia appena preso legalmente la patente, sono già 5 anni che guida la macchina del padre, l’iconica Toyota AE86 Trueno bianca e nera, per eseguire le consegne notturne del negozio sul monte Akina, un percorso estremamente tortuoso che deve eseguire sia in salita che in discesa.
Per aiutarlo nel suo compito, il padre gli ha sempre posizionato un bicchiere d’acqua nel vano portaoggetti dell’auto, spiegandogli che per non rovinare il tofu non avrebbe mai dovuto far cadere il liquido durante il tragitto. In questo modo Takumi è, a sua insaputa, diventato un asso del drifting, e quando i suoi amici Itsuki (grande appassionato di corse) e Iketani (membro della squadra Akina Speedstars) chiedono a suo padre di tornare a correre per sostituire un pilota della squadra incidentato, questo invece lo manda a sorpresa al suo posto, dando così il via alla sua carriera agonistica.
I disegni di Shigeno sono particolarmente realistici, e sebbene non siano molto dettagliati per quanto riguarda i soggetti umani – ricordo sempre che questo era un fumetto settimanale in madrepatria – e gli sfondi siano spesso ricalcati da fotografie – una pratica al tempo molto in voga, anche in fumetti dal target diverso come quelli di Ai Yazawa (Nana) – i veicoli a motore sono rappresentati con dovizia di particolari e con un tratto sempre pulito e preciso.
Durante le gare, invece, il tratto inizia volutamente a sporcarsi per dare l’impressione del movimento, allentando quella staticità rappresentativa della vita di periferia giapponese. Takumi è infatti un ragazzo quasi apatico, che non vive di forti emozioni e pulsioni, sulle quali mantiene il freno anche quando la sua compagna di scuola Natsuki gli chiede di uscire insieme. Solo quando sale in macchina di notte riesce a esprimere tutta l’umanità e la volontà che risiedono in lui.
Initial D quindi brilla nella descrizione di una passione undergound che porta alla crescita un ragazzo che, altrimenti, sarebbe un outsider per una società che viaggia sempre più veloce di lui e che l’autore infatti non si esime dal criticare. In tal senso è presente anche un arco narrativo dedicato a Natsuki, apparentemente invischiata con uno sugar daddy, emblema della ricerca dell’innocenza perduta e dell’umanità in un mondo dove tutto è acquistabile col denaro.
L’edizione italiana di J-Pop accorpa ogni volta 2 tankobon di quella originale, per una serie che andrà quindi a comporsi di 24 volumi invece che 48, al costo di 12,90€ ciascuno. Il prezzo è in linea con quello delle altre pubblicazioni J-Pop, considerando la media di 6€ per i volumi standard, e qualitativamente è un prodotto superiore ad altri simili proposti dai competitor. L’edizione inoltre è curata dal noto influencer Dario Moccia, motore principale di quest’operazione grazie al grande traino della sua fanbase, che ha permesso all’editore di assicurarsi delle vendite riducendo di molto il rischio imprenditoriale su quest’opera.
Un appunto che ci tengo a fare è sulla traduzione, che lascia un po’ a desiderare su alcuni termini tecnici – ad esempio Gasoline tradotto come Diesel, riferito però ad una macchina notoriamente a benzina – che se in un manga generico possono assolutamente risultare trascurabili, in un’opera del genere incentrata totalmente sull’automobilismo e letta principalmente da appassionati del settore possono far storcere il naso.
Initial D è un manga che in patria ha fatto la storia, ed è considerato tra le opere più influenti degli anni ’90. Se la narrazione può risultare un po’ troppo classica e senza particolari spunti narrativi agli occhi di oggi, quello che resta sono invece alcune tematiche e soprattutto la rappresentazione delle gare, ancora visivamente incredibili e dinamiche, che rendono anche un volume doppio come questo incredibilmente scorrevole e appagante. Anche se non siete dei fan die-hard dell’automobilismo, questo fumetto potrebbe comunque appassionarvi grazie specialmente a un’enfasi tutta giapponese sulle gare, dove i piloti nello sfidarsi ricordano quasi i protagonisti di JoJo.
Dispiace solamente che un’opera del genere debba essere ancorata a certe logiche di mercato per venire anche solo presa in considerazione dagli editori, andando poi di fatto ad annichilire qualsiasi altra uscita che magari era stata presentata in pompa magna – si pensi a DanDaDan, che nonostante le pubblicità nelle metropoli ad oggi sembra quasi scomparsa – finendo per creare un disequilibrio tra le proposte editoriali, che si spostano da un estremo all’altro. Mi torna in mente anche il caso di Rocky Joe, che dopo essere stato promosso in modo simile ha ricevuto moltissime ristampe andando a togliere spazio ad altri manga finiti nel dimenticatoio.
Queste operazioni di sponsorizzazione, così legate alle logiche di mercato, alla fine non riescono a spingere il pubblico ad aprire i proprio orizzonti e cercare ogni tipo di opera, ma invertono solo quello che era il mainstream con quello che era “l’alternativo”, senza di fatto però cambiare il paradigma di fruizione. Nella (vana) speranza che questo possa essere un esempio virtuoso, mi auguro che il mercato italiano dei manga possa trovare un suo equilibrio e riuscire ad avere una proposta allettante per ogni tipo di pubblico, proprio come il medium in realtà è concepito in patria.
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.