Zombie 100, un live-action più morto che vivo

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Lanciato sul mercato italiano da J-Pop nel 2021, Zombie 100 – Cento cose da fare prima di non-morire è sicuramente uno dei manga più stuzzicanti usciti negli ultimi anni. L’autore è lo scrittore e sceneggiatore Haro Aso che con Alice in Borderland – trasposto da Netflix in una serie TV di successo – aveva dimostrato già nel 2010 di essere un’ottima penna. Zombie 100 non fa differenza in termini di qualità: la sua formula che unisce suggestioni horror a una folle satira piena di azione si è subito rivelata vincente. Non è un caso che quest’anno siano stati prodotti ben due adattamenti per sfruttarne la popolarità, ovvero un anime e un film live-action; quest’ultimo nuovamente targato Netflix (in collaborazione con gli studi ROBOT e Plus One Entertainment).

Insomma, il colosso dello streaming ci ha riprovato, nonostante il suo catalogo sia già saturo di titoli dozzinali a tema zombie, sia occidentali che orientali. Questa iterazione filmica, purtroppo, non gode della presenza di Aso: la regia è stata affidata a tale Yusuke Ishida, mentre la sceneggiatura è di Tatsuro Mishima. Due mestieranti alle prime armi che hanno tentato di rimanere fedeli all’eredità del manga originale, riuscendoci solo in parte.

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Il protagonista Akira Tendo, interpretato da Eiji Akaso.

Per i neofiti che non conoscono il fumetto di partenza, ecco un riassunto delle premesse di trama: Akira Tendo è un ventiquattrenne molto energico che, dopo diversi tentativi, trova il lavoro dei suoi sogni presso la Master Shot, una casa di produzione televisiva che si occupa principalmente di pubblicità. Il suo iniziale entusiasmo viene ben presto frenato per colpa di abusi di potere da parte del suo capo Gonzo Kosugi (un bravissimo Kazuki Kitamura) e di una routine ai limiti dell’umano. Questo sfruttamento in piena regola dura per un anno e conduce il giovane, stremato e depresso, sull’orlo del suicidio. Le cose cambiano improvvisamente quando Tokyo viene invasa da una marea di zombie; la causa pare essere una misteriosa malattia infettiva che trasforma le persone in mostri aggressivi e senza cervello.

Resosi conto di non dover più lavorare, Akira recupera il suo innato ottimismo, diventando paradossalmente l’unico abitante della metropoli a essere felice della terribile pandemia. Finalmente può recuperare il tempo perso in ufficio e decide così di stilare una lista di cose da fare prima di morire. Le sue spensierate avventure tra uno svago e l’altro si incrociano con le vite del suo migliore amico Kencho (Shuntaro Yanagi) e di una sopravvissuta solitaria di nome Shizuka (Mai Shiraishi). I tre ritengono opportuno unire le forze per evitare l’infezione e, eventualmente, completare la lista di Akira.

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Pur ripercorrendo abbastanza fedelmente i momenti salienti dell’opera originale – immancabile episodio alle terme incluso – questa versione cinematografica è deficitaria dell’ottima componente orrorifica elaborata da Haro Aso. Ci si trova davanti a un adattamento edulcorato, molto meno folle e per certi versi insipido, che non sfrutta sempre a dovere gli spunti fumettistici. A scanso di qualche trovata carina come un buon uso dei jump cut e dei richiami voluti a certe tavole del manga, regia e montaggio sono dozzinali e – in gergo – televisivi. In parole povere, mancano dei veri guizzi da zombie movie. Si vira, invece, verso gli stilemi triti e ritriti dei j-drama pieni di canzonette pop e con atmosfere da tarallucci e vino. Inutile dire che tutto ciò mal si sposa con le intenzioni originarie e stilisticamente esagerate di Aso. Come se non bastasse, la già citata piattezza nell’editing – curato da Eri Usuki – smorza decisamente le sequenze più movimentate, frammentandole dove non è necessario.

Alla luce di quanto detto, il racconto risulta inutilmente diluito e fin troppo quadrato, in sostanza non si percepisce tensione né ci si immerge a dovere nelle vicende. Al contrario, si ha proprio l’impressione guardare l’ennesimo lungometraggio Netflix a basso budget, utile solo a rimpinguare un catalogo sempre più misero in termini di differenziazione dei prodotti e di innovazione. Questa iterazione di Zombie 100 è tutto fuorché cupa come dovrebbe essere: la controparte cartacea è permeata da uno spiccato pessimismo, misto a tanta sagacia verso l’avido mondo corporativo. Un cinismo che latita abbastanza nelle due ore che servono a concludere la storia, eccezion fatta – fortunatamente – per l’ultimo atto, ambientato all’acquario Marine Paradise di Ibaraki, in cui si pone l’accento sulle tematiche più importanti della sceneggiatura: il libero arbitrio e la solidarietà reciproca tra chi tenta di sopravvivere in un mondo in rovina. Il tutto riassumibile con la domanda: cosa distingue gli zombie dagli esseri umani?

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Pur essendo contro chi cerca la fedeltà assoluta negli adattamenti di qualsiasi tipo, sostenendo sempre che una trasposizione è libera di prendersi licenze poetiche dove serve e di compiere le scelte più adatte al medium di riferimento, qui un confronto diretto con il manga è inevitabile e utile per capire cosa funziona e cosa no. In sintesi, l’eccentricità della scrittura di Haro Aso serve proprio a evitare che la sua storia di zombie risulti stantia a lungo andare. Qui, come già evidenziato, si è optato per la formula più popolare del momento – il japanese drama – che non è per forza un errore di per sé; lo diventa nel momento in cui non si riesce a sposarla con i morti viventi, vista la sua tendenza a essere un genere mieloso e disteso, nonché spesso accomunabile alle telenovelas occidentali.

Per questo motivo considero il lavoro di Ishida e colleghi riuscito a metà, un prodotto schizofrenico che stenta a conciliare due anime. A volte sembra che voglia concedersi qualche pazzia, come ad esempio nel finale in cui alcune trovate di messa in scena viaggiano – alla buon’ora – sui binari del cinema d’azione vero e proprio. In altri momenti, invece, rientra nei ranghi sfruttando stilemi televisivi insipidi in nome, forse, di una maggiore fruibilità per il pubblico medio (proprio come farebbe un qualsiasi filmetto usa e getta).

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A salvare quest’opera dall’insufficienza è il comparto tecnico-artistico. Innanzitutto il cast è azzeccato, sia per quanto riguarda la recitazione, sia per la somiglianza degli attori ai personaggi cartacei. In particolare, il carismatico Kencho guadagna subito la simpatia dello spettatore, mentre il fascino di Shizuka riesce a essere sufficientemente magnetico. Il trio è ben caratterizzato e si evolve in maniera coerente e credibile, soprattutto se si parla del percorso che Akira intraprende per diventare un eroe coraggioso, un Kamen Rider sui generis (guarda caso Eiji Akaso ha recitato in moltissime serie tokusatsu dedicate proprio al supereroe giapponese).

Buona anche la direzione della fotografia di Taro Kawazu, specialmente per invenzioni interessanti come il passaggio da toni grigi e blu a colori più accesi e sgargianti per mostrare i cambi di registro più netti, in accordo con le emozioni mutevoli del protagonista. A proposito di morti viventi, il loro design è altalenante: passabile quando vengono mostrate le orde, scadente negli scontri ravvicinati. In quest’ultimo caso, si notano soluzioni estetiche e di make-up votate al risparmio.

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Zombie 100 funziona bene come manga e decentemente come anime. Lo stesso non si può dire in toto per questo film all’acqua di rose: più stravaganza visiva e più frangenti horror avrebbero nettamente giovato. Tutte quelle componenti che donano piccantezza a una action comedy che vuole definirsi tale sono qui carenti. Al pubblico viene consegnato un lungometraggio senza infamia e senza lode, gestito da autori che hanno fatto ricorso a pigri espedienti televisivi e poco più. Sfortunatamente, vuoi per scelte di marketing, vuoi per manifesta inesperienza, il coraggio di osare non è pervenuto.

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Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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