Dopo essere stato presentato al Festival di Venezia nel 2021 e aver ricevuto una nomination ai Golden Globe del 2023 come Miglior film d’animazione, è arrivato finalmente in Italia Inu-Oh, il film d’animazione musicale diretto da Masaaki Yuasa, già regista della serie Devilman Crybaby e del film Ride Your Wave. Riprendendo il suo tipico stile d’animazione surreale, questa volta Yuasa si allontana da un contesto contemporaneo per trasportarci nel Giappone del XV secolo, dove l’amicizia fra due aspiranti artisti poco convenzionali creerà non poco scompiglio all’interno del sistema artistico vigente.
Le corde di un biwa (un liuto tradizionale giapponese) riecheggiano fra le strade di una Kyoto odierna, mentre una voce fuoricampo inizia a narrare una storia antica. In una sequela di montaggi forsennati, passi e volti di diverse epoche si alternano fino ad arrivare a quelli di un giovane pescatore di nome Tomona, che accompagna suo padre in mare a recuperare un oggetto su ordine imperiale. Quando però l’oggetto sprigiona una forza antica, rendendo Tomona cieco e uccidendo suo padre, le sorti del ragazzo si allontanano per sempre da quel villaggio di pescatori dove ha avuto la sfortuna di nascere: spronato alla vendetta dalla madre e dal fantasma di suo padre, Tomona inizia a viaggiare con lo scopo di uccidere le guardie imperiali che avevano commissionato il recupero dell’oggetto alla sua famiglia.
Man mano che il viaggio prosegue e gli anni passano, però, Tomona perde sempre più interesse nel perseguire un obiettivo che non è mai stato nelle sue corde e si avvicina invece alla musica grazie all’incontro fortuito con un suonatore di biwa, che lo prende come suo allievo. Giunto a Kyoto, farà la conoscenza di Inu-Oh, un giovane dall’aspetto deforme che si copre il volto mostruoso con una maschera a forma di zucca. Allontanati dal resto del mondo, i due ragazzi si troveranno in sintonia nel loro essere solitari, complementari nei propri difetti fisici e nell’avere in comune la passione per le arti. Inu-Oh infatti è cresciuto in una famiglia di teatranti professionisti, dove ha coltivato l’amore per la performance, ma gli è sempre stato impedito di salire sul palco per via del suo aspetto.
Decidendo di esibirsi insieme, con Tomona alle musiche e Inu-Oh come performer principale, i due ragazzi finiranno per dare vita a una forma di teatro inconcepibile per l’epoca: per la prima volta, un suonatore biwa (per di più cieco) racconta storie non ufficiali e non previste dalla tradizione, e l’attore principale, grazie alle proprie deformità corporee, riesce a eseguire numeri circensi mai visti prima.
È qui che si palesa l’elemento musical del film: le esibizioni dei due vengono mostrate per intero e la colonna sonora è squisitamente anacronistica, essendo composta solo da brani glam rock e punk. Il biwa di Tomona improvvisamente emana il suono di una chitarra elettrica e le esibizioni diventano un ibrido fra teatro Sarugaku e concerti rock anni ’90, con incursioni anche di altri stili come il balletto classico, il Charleston e la Shuffle dance, tutti eseguiti con un’animazione magistrale dal personaggio di Inu-Oh.
Le animazioni, curate da Norio Matsumoto che già aveva collaborato con Yuasa per Devilman Crybaby, accompagnano la vicenda e le esibizioni con uno stile fluido e distorto, a tratti grottesco, cosa che giova sia ai movimenti corporei di Inu-Oh durante gli spettacolari numeri, sia all’atteggiamento frenetico della folla durante i “concerti” introduttivi di Tomona. L’atmosfera è costantemente frenetica grazie alla commistione fra stacchi rapidi, musica punk e personaggi in continuo movimento.
Le esibizioni sicuramente beneficiano, per coerenza con lo stile musicale e con la personalità briosa del personaggio, del lavoro di doppiaggio fatto in originale dalla star Avu-chan su Inu-Oh: il cantante punk (che qualcuno potrà aver riconosciuto come voce della sigla di Dororo), oltre a dimostrare un’estensione vocale incredibilmente ampia e controllata riesce a dare una performance carismatica ed energica dall’inizio alla fine, sia nelle parti cantate che in quelle parlate.
Per quanto riguarda le tematiche affrontate, ho trovato interessante l’approccio all’oggetto “arte performativa” come allo stesso tempo passione personale e necessità politica: intrecciando presente e passato, la storia individuale diventa storia collettiva e i personaggi non possono più sfuggire al fatto che le proprie azioni abbiano conseguenze anche e soprattutto a livello sociale. Il regista Yuasa, riprendendo il tema a lui caro della libertà, soprattutto artistica, riflette sul potere dell’arte di riuscire a esprimere emozioni e storie personali, e al tempo stesso parlare a una collettività, senza sfociare mai nei due estremi dell’egocentrismo o del compiacimento altrui. Tomona e Inu-Oh seguono semplicemente il proprio istinto e una propria volontà, scegliendo di raccontare storie non ancora dette piuttosto che seguire le regole imperiali e narrare l’epica tradizionale approvata. La loro scelta, pur non essendo intenzionalmente politica, si rivela esserlo grazie all’influenza che il loro modo di fare teatro avrà sulla maggior parte della popolazione.
Tomona inizia a comporre musica del tutto casualmente grazie ai suonatori di biwa e all’incontro con Inu-Oh, mentre cerca di sfuggire al pesante fardello che il suo passato gli ha lasciato sulle spalle; Inu-Oh, cresciuto in una famiglia di teatranti Sarugaku, ha sempre desiderato calcare il palcoscenico come i suoi fratelli e non si è mai posto domande sulle cause del suo aspetto deforme. Entrambi i personaggi, scegliendo di ignorare il proprio passato, si dedicano alla musica e al teatro per puro piacere personale, ma l’arte nella concezione di Yuasa non è mai soltanto questo: i loro spettacoli avranno conseguenze non solo sociali (il popolo comune trova un motivo per riunirsi, iniziando a porsi dubbi sulle versioni ufficiali della storia degli Heike) ma anche politiche, arrivando a far scomodare persino l’imperatore in persona e le istituzioni ufficiali di artisti e suonatori.
Raccontare storie, che siano proprie o altrui, equivale a dar voce a tutte quelle persone che la Storia ufficiale ha scelto di far tacere; qui che entra in gioco un’altra tematica affrontata in modo interessante, ovvero il rapporto con il proprio passato, che avvicina il film a un’altra opera con cui è possibile trovare più di una similitudine (su dichiarazione anche dello stesso regista): l’anime Dororo, del 2019. Inu-Oh e Tomona, pur allontanandosi ciascuno da un traumatico passato personale, raccontando quello di altri arrivano inevitabilmente a dover scendere a patti con il proprio; per quanto si possa ignorare le proprie radici o provare a sfuggirvi, con la creazione artistica tutto ciò che l’artista cela finisce con il palesarsi in qualche modo, anche solo in superficie.
È qua che entra in gioco Dororo, che con l’arte ha in realtà poco a che fare; la cecità di Tomona e l’aspetto deforme di Inu-Oh ci ricollegano al tema del corpo che in Dororo è centrale, essendo strettamente collegato all’umanità e al passato doloroso del protagonista. Lo stesso avviene in Inu-Oh: la cecità e la deformazione sono i segni di due storie dolorose che i personaggi hanno cercato di lasciarsi alle spalle senza riuscirci, e che solo con un plot-twist finale verranno completamente rivelate. Insomma, una riscrittura del sempiterno tema “il passato ci rende ciò che siamo oggi”.
Con una commistione originale di contesto storico e generi musicali, Inu-Oh riesce a trasformare la tenera amicizia fra due ragazzi abbandonati dalla società in un’occasione per fare dell’arte, creare qualcosa di nuovo, anticonvenzionale e soprattutto personale. La solitudine e il trauma diventano un motivo per farsi portavoce di storie altrui e per sfogare il proprio bisogno di esprimersi, in qualunque modo possibile, che sia con la voce, con il corpo o con la musica. Assolutamente consigliato, anche se per i non appassionati di musical la parte centrale potrà risultare un po’ pesante, con oltre 17 minuti ininterrotti di esibizione musicale.
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