Scott Pilgrim: La serie, una recensione fatta col cuore

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Voto:

Non basta lo spazio di una singola recensione per condividere cosa significa per me la serie a fumetti di Scott Pilgrim. Da anni gode di uno spazio riservato nel mio cuore, avendola scoperta intorno ai sedici anni, nel modo giusto e al momento giusto. L’opera del talentuosissimo Bryan Lee O’Malley – autore da riscoprire anche con il suo Seconds, qualora ne siate a digiuno – si è legata alla mia vita in molteplici maniere e ha plasmato certi lati del mio carattere, nonché alcuni modi che ho di vedere e affrontare le cose. In parole povere: uno dei fumetti della mia formazione come persona a tutto tondo. Non nascondo poi che il film cult di Edgar Wright (Last Night in Soho), Scott Pilgrim vs. the World, sia uno dei miei preferiti in assoluto, in quanto perfetta trasposizione cinematografica live action delle gesta del giovane bassista canadese.

È quindi facile immaginare la mia reazione al ritorno di O’Malley – in veste di produttore, sceneggiatore e showrunner – per Scott Pilgrim: La serie (in originale Scott Pilgrim Takes Off), adattamento anime curato dallo studio Science SARU (Devilman Crybaby, Inu-Oh), co-prodotto da Edgar Wright e distribuito da Netflix. Un tuffo al cuore. E visto che di cuore si parla, temevo fortemente qualsiasi eventuale passo falso. La posta in gioco, per me e per gli altri fan, era altissima: come si fa migliorare una serie che è già un’opera di culto per gli appassionati di fumetti, cinema e videogiochi? Qual è il modo giusto per rimettere le mani in pasta? Tutte domande lecite che chiamavano torce e forconi qualora le enormi aspettative fossero state disattese.

Fortunatamente, il mio usare verbi al passato per narrare certe preoccupazioni fa intendere che con O’Malley è andato tutto liscio anche questa volta. Ebbene sì, come direbbe Ian Malcolm in Jurassic Park, “You did it. You crazy son of a bitch, you did it“: questo anime è davvero una coloratissima ed esaltante cattedrale, fondata sull’amore immenso per Scott e la sua eredità come icona pop. Entriamo in un tunnel subspaziale come Ramona Flowers e facciamo un giro su questo nuovo rollercoaster di emozioni.

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Per tutti i neofiti che non hanno idea di cosa tratti la storia, eccone la trama, tanto semplice quanto geniale e – nel caso di questa serie – perfetta per folli sperimentazioni: Scott Pilgrim è un ragazzo ventitreenne come tanti; scansafatiche e appassionato di videogiochi, suona il basso in un gruppo musicale indie rock – i Sex Bob-Omb – insieme ai suoi amici Stephen Stills e Kim Pine. Come i coetanei di Toronto, è alla ricerca della “ragazza perfetta” ed è proprio questa ricerca che sconvolge bruscamente la sua tranquilla esistenza: conosce infatti Ramona Flowers, una ragazza statunitense misteriosa e schiva di cui si innamora a prima vista. In un primo momento tutto pare andare a gonfie vele, ma purtroppo Scott non sa che per continuare a frequentarla dovrà affrontare e sconfiggere uno dopo l’altro i suoi sette malvagi ex-fidanzati.

L’anime prende piede da queste premesse, ma devia rapidamente il percorso tracciato da fumetto e film per complicare le cose in maniere totalmente imprevedibili (in senso più che buono). Ci sono differenze, sia piccole che radicali, capaci di sorprendere molto persino gli appassionati di lunga data, in quanto gettano nuova luce sulla storia classica e i personaggi, aggiungendo eventi mai narrati e del tutto inediti a ciò che già si conosce a menadito. In sostanza, fatta eccezione per le premesse iniziali, la storia è totalmente diversa.

A questo proposito, un grande punto di forza della serie animata è l’aver voluto approfondire – tramite preziosissimi e tenerissimi flashback – il background di certi personaggi secondari o minori lasciati “in disparte”, ma non per questo dimenticati dai cultori. Questi ultimi noteranno, tra le tante aggiunte e migliorie, un focus notevole sui rapporti tra i comprimari, resi più stratificati anche tra co-protagonisti che raramente hanno interagito tra di loro nelle passate iterazioni.

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Tutto ciò significa, per la felicità di molti, che Scott Pilgrim: La serie non è una copia pedissequa delle trasposizioni precedenti, bensì un adattamento che sposa vecchio e nuovo, una rivisitazione e uno svecchiamento voluto da O’Malley stesso che ha affermato: “Non è come nei libri. Quelli li ho già scritti e potete leggerli quando volete. Questo show è unico e originale per tante ragioni. Non vi aspettate un remake parola per parola“. Il co-sceneggiatore e co-showrunner BenDavid Grabinski ha rincarato la dose dicendo: “Aspettatevi l’inaspettato“.

Tra i punti salienti sono annoverati gli immancabili combattimenti, mai visti precedentemente e dalle coreografie incredibilmente fantasiose. Queste ultime sono caratterizzate da soluzioni estetiche veramente originali e persino metacinematografiche, altro cavallo di battaglia dell’autore canadese che con questo “remake”, pieno come sempre di decine di riferimenti alla cultura pop, sembra essersi sbizzarrito più del solito.

Le follie non avvengono sono a livello visuale, ma influenzano anche la sceneggiatura: senza scendere nel dettaglio, sappiate che alla fine di ogni puntata – proprio come accade, per esempio, in Stranger Things – vi aspettano sempre grandi colpi di scena. Nel cast di doppiatori non mancano poi guest star tutte da scoprire in ruoli di personaggi terziari o comparse.

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Se conoscete lo stile di O’Malley, non vi stupirà sapere che tra le puntate aleggia spesso un’ironia sopra le righe, ma questo non toglie spazio ai frangenti molto dolci che il pubblico ha imparato ad amare. L’episodio 4, “Come ti pare“, è in questo senso uno di quelli più elettrizzanti per il modo funambolico in cui espande la lore e la caratterizzazione di un certo personaggio.

Il fatto che comprimari, situazioni e l’eredità stessa di Scott Pilgrim vengano rimodulati e rimaneggiati con così tanta inventiva, dando vita a scenari inediti e stuzzicanti, dimostra l’indiscussa maestria di O’Malley nell’aver creato un worldbuilding solidissimo, capace di adattarsi egregiamente alle sperimentazioni più ardite, persino a costo di scuotere le fondamenta stesse della storia originale.

Sono rarissime le opere che permettono questo tipo di manipolazioni e che, allo stesso tempo, rimangono coerenti e godibili anche a fronte di rinarrazioni così radicali. Il cuore mi dice che potremmo essere ai livelli di Akira o di Ghost in the Shell per quanto riguarda confronti tra opera cartacea e animata; due esempi sì eclatanti, ma che dovrebbero comunque rendere chiaro il tipo di operazione che è stata fatta.

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L’episodio 7 spodesta nettamente il quarto per un’ulteriore trovata narrativa davvero innovativa dal punto di vista estetico, grafico e, in generale, di messa in scena. Una pensata che farà felici tutti gli appassionati di videogiochi e di retrogaming in particolare. Non solo: proprio narrativamente parlando le rivelazioni offerte agli spettatori – tra citazioni su citazioni al mondo del gaming e del cinema – sconvolgono le carte in tavola nonché i legami tra i personaggi.

Scott e Ramona vedono il loro rapporto – anche questa volta chiave di volta dell’intreccio – raggiungere nuove vette di preziosa dolcezza (complice anche una duplice strizzata d’occhio al sempre caro Neon Genesis Evangelion e al suo dilemma del porcospino). L’ennesima conferma che la penna di Bryan Lee O’Malley, quando tratta di romanticisimo, sa essere finissima. Il fumettista, nonostante le molteplici e pesanti modifiche alla sua creazione, non perde mai per strada né i personaggi né le loro questioni in sospeso, risolvendo ogni nodo di trama in maniera logica e sorprendente.

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L’episodio 8 è, infine, il gran finale esplosivo di cui tutte le serie come questa avrebbero bisogno: il climax generato da tutti gli eventi a cui si è assistito. Una puntata profondamente metacinematografica giacché sfrutta degli escamotage particolari, collegati a ciò che avviene dall’episodio 4 in poi. Pilgrim viene “messo a nudo”, si scherza sui suoi cliché e se ne sfruttano le tematiche derivanti per una conclusione autoironica e pienamente celebrativa del brand stesso nella sua interezza. A prendere alla sprovvista è poi un’ennesima citazione, questa volta a un capolavoro immortale della storia dei manga e degli anime.

Nel complesso, si tratta di un finale profondamente corale – come del resto è tutta l’opera di Scott Pilgrim – in cui ogni personaggio gode del suo momento di gloria: un atto d’amore colossale, glorificato ulteriormente dall’estro artistico di Science SARU che raggiunge vette qualitative all’insegna dell’eccesso adrenalinico, quasi a voler citare apertamente un Dragon Ball o un qualsiasi caposaldo degli shonen passati e presenti. Non a caso, il fumetto originale è sempre stato ispirato fortemente da manga, mangaka e character designer di spicco come Rumiko Takahashi, Atsuko Nakajima, Yūji Iwahara e l’immortale Osamu Tezuka.

L’ottavo episodio tira di tutto addosso agli spettatori, persino un’affettuosa e scherzosa commemorazione del ventesimo anniversario del brand, inserita nelle vicende grazie a un bellissimo dialogo che sintetizza alla perfezione, con umorismo e tenerezza, la morale di tutta la storia: un’evoluzione dei valori presenti anche nella controparte cartacea.

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Le puntate, insomma, volano via che è una bellezza, complici i soli 25 minuti di durata. Come Strappare lungo i bordi, Scott Pilgrim: La serie può essere considerata un film unico di 3 ore circa totali. Per il sottoscritto entra a far parte di quel breve elenco di “prodotti da comfort zone”, esattamente come è accaduto con le iterazioni degli anni passati.

A favorire questa mia valutazione è il ritorno di tutti i doppiatori originali del film, tanto nella versione italiana quanto in quella originale. In quest’ultima tornano dunque Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Chris Evans, Brie Larson e altri grandi attori. Tutti, prevedibilmente, fanno un ottimo lavoro. Anche l’adattamento italiano a cura di Iyuno Italy funziona a dovere: rispetta gli eccellenti tempi comici della sceneggiatura e restituisce bene i giochi di parole che spesso vengono mal tradotti in prodotti simili, garantendo risate di gusto.

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Sempre per quanto riguarda il comparto audio, le musiche degli Anamanaguchi – bitpop band americana già autrice della soundtrack ufficiale di Scott Pilgrim vs. the World: The Game – e del compositore Joseph Trapanese (Tenebre e ossa, The Witcher) si sposano perfettamente con la storia e con lo stile dell’anime. Calzano a pennello le canzoni inedite che servono come ponte tra vari momenti salienti o proprio per enfatizzare scazzottate e scene d’impatto.

I brani fondono più sottogeneri del punk (tra cui l’ormai popolarissimo post punk) e la techno hardcore al sapore di Prodigy, senza rinunciare a contributi chiptune-rock, post-rock, synthwave, electropop e – per giunta – alle sonorità classiche del mondo videoludico da cui O’Malley ha sempre attinto a piene mani per costruire la sua estetica unica (che qui, ripeto, non lesina su pazzie visive e caleidoscopici inserti postmoderni). Il risultato finale è un meraviglioso collage ribelle.

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Dal punto di vista artistico ed estetico si viaggia su alti livelli, e non c’è da stupirsi. I ragazzi di Science SARU, capitanati dal regista Abel Góngora (Ride Your Wave), sono riusciti a trasporre perfettamente il tratto caratteristico di O’Malley – in maniera non troppo dissimile a quanto visto in Strappare lungo i bordi – operando su più piani: da un lato, artisti come Shuhei Handa, Masamichi Ishiyama e Shoko Nishigaki hanno reso il character design più chibi, avvicinandolo agli stilemi tipici degli anime; dall’altro, lo stile complessivo risulta più frizzante ed espressivo che mai grazie a occasionali inserti in 3D e tecniche sperimentate anche in Spider-Man: Across the Spider-Verse.

In particolare è stata sfruttata l’animazione “a due” e “a tre”: metodi che, ovviamente, si basano sul numero di fotogrammi per cui ciascun disegno viene mantenuto in una sequenza. Per evitare inutili spiegoni pieni di tecnicismi, vi rimando alle centinaia di spiegazioni presenti su Internet: in inglese si parla di “animation on twos/on threes“. Ai non addetti ai lavori, basti sapere che l’animazione a tre in particolare enfatizza le differenze tra scene lente e veloci, specialmente nei combattimenti, donando al tutto un feeling grezzo e, proprio per questo, di grande risalto. Ottimo, infine, il lavoro sulle ambientazioni assai dettagliate e sulle luci che donano profondità e vivacità alle inquadrature.

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Notevoli anche alcune trovate di fotografia e regia: una leggerissima aberrazione cromatica, gli effetti anamorfici e i giochi di messa a fuoco simulano bene l’operato di una vera macchina da presa (spesso anche attraverso i cosiddetti Split Diopter Shot, già visti in Toy Story 4).

Tra queste “soluzioni analogiche” spicca poi un montaggio rapidissimo e fumettoso à la Edgar Wright, caratterizzato da tagli super veloci e zoomate improvvise note come Crash Zoom o Whip Zoom. Non mancano jump cut o salti temporali, tutte formalità che strutturano una perfetta visual comedy.

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Una volta conclusa la serializzazione a fumetti di Scott Pilgrim, nel 2012 Bryan Lee O’Malley ammise su Tumblr di avere molta difficoltà a riprendere in mano la sua creazione per innovarla: “se fra dieci anni starò ancora facendo Scott Pilgrim sarò morto dentro“, scrisse. Nonostante ciò, non ha mai abbandonato l’idea di tornare al lavoro sui suoi adorati personaggi e, ironia della sorte, quest’anno la sua ricomparsa è stata accolta con un entusiasmo stellare.

In fondo, di fronte a un tale sfoggio di idee e di amore non si può fare altro che reggersi alla sedia e ridere, meravigliarsi e commuoversi. Scott Pilgrim: La serie supera di gran lunga tutto ciò che gli appassionati avrebbero potuto desiderare, e consegna ai posteri un’opera che riconferma l’inattaccabile pregio dell’eredità del fumettista canadese.

Un ringraziamento speciale a Netflix

Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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