Uno dei registi più chiacchierati degli ultimi anni – nel bene e nel male – è sicuramente Zack Snyder, che pur avendo fatto dei cinecomics il suo marchio di fabbrica, dopo la rottura con Warner Bros. si è concentrato su altri tipi di progetti in collaborazione con Netflix, come Army of the Dead e questo Rebel Moon, di cui da qualche giorno è uscita la Parte 1: Figlia del fuoco, mentre la Parte 2: La Sfregiatrice è in arrivo in streaming il 19 aprile 2024.
L’opera nasce da un vecchio progetto di Snyder per una potenziale nuova trilogia di Star Wars, accantonato dopo l’acquisizione di LucasFilm da parte della Disney. Dopo averlo modificato e rimodernato, il regista ha girato back to back le due parti di Rebel Moon, che compongono un unico film, con un sequel previsto per il futuro a concludere la storia. Nel mentre sono stati annunciati anche giochi da tavolo, videogiochi e fumetti tie-in; insomma, un vero e proprio universo intenzionato a nascere ed espandersi.
Rebel Moon Parte 1 ci introduce dunque in questo universo nel quale vige un malvagio impero galattico denominato Mondo Madre, regolato da Balisarius, un senatore autoproclamatosi Imperatore dopo il violento assassinio del precedente Re e della principessa Issa. Con l’ascesa di Balisarius ogni speranza di riunire l’universo tramite il dialogo e la compassione è andata persa, iniziando di fatto una colonizzazione violenta di tutti i mondi del sistema.
Sul pianeta indipendente Veldt, dove vige una società basata sull’agricoltura e che ricorda molto il medioevo norreno per estetica e tradizioni, vive Kora (Sofia Boutella), che sotto le mentite spoglie da rifugiata di guerra nasconde un passato legato al Mondo Madre. Quando l’ammiraglio Noble e un manipolo di soldati approcciano il pianeta Veldt per ricattarlo, intimandogli di versare la maggior parte dei raccolti al Mondo Madre, sarà proprio Kora, insieme al giovane Veldtiano Gunnar, a partire alla ricerca di alleati che li aiutino a combattere l’impero, prima che l’ammiraglio torni sul pianeta per il raccolto.
Se nell’ovvietà e derivatività di questo universo ci sarebbe comunque spazio per dell’approfondimento interessante, Snyder riesce a buttare alle ortiche anche le – poche – cose più promettenti. Infatti, dopo l’incipit precedentemente descritto, il film si muove per ben 2/3 della sua durata nella ripetizione di uno schema di ricerca/prova/reclutamento del personaggio di turno nell’ambientazione di turno, senza che nulla venga minimamente approfondito, soprattutto le personalità di ciascun personaggio che risultano assolutamente inesistenti.
Infatti, se eliminiamo gli archetipi stereotipici di Kora, Gunnar e Kai (un proto-Han Solo con un decimo del carisma), tutti gli altri personaggi esistono solamente grazie alla loro funzione nella storia. Non solo non ci viene spiegato nulla del loro passato – che poteva anche essere una scelta narrativa per futuri sviluppi – ma neanche viene rappresentato a schermo qualcosa al di fuori della loro estetica, e le battute di ogni personaggio sono così generiche da essere praticamente intercambiabili, rendendo il cast solo un insieme di cartonati senz’anima. Anche per quanto riguarda il resto, che si tratti di strani alieni, tecnologia o qualsiasi altro elemento che possa fornire un minimo di contesto al film, tutto viene trattato alla stregua di una cartolina, elementi di folklore che lo spettatore subisce passivamente come un turista disinteressato.
Un personaggio che poteva dare davvero uno spunto interessante è l’androide da guerra Jimmy (Anthony Hopkins), purtroppo relegato solamente all’incipit del film, in quanto – come tutti quelli del suo modello – dopo l’assassinio del precedente Re ha deciso di lasciare le armi e diventare solamente un androide da lavoro. Nei suoi circa 10 minuti di screen time, Jimmy ha probabilmente più approfondimento e personalità di tutti gli altri membri del cast (nonostante sia qualcosa di già molto derivativo), peccato che da solo non abbia la forza o lo spazio per risollevare le sorti della pellicola. A livello narrativo il film poi soffre anche di un continuo déjà-vu di altre opere del genere (oltre Star Wars), e una mancanza di sostanza totale che inficia sulla visione, portando lo spettatore a chiedersi per tutte le 2 ore e 10 minuti di durata perché stia guardando l’enorme cutscene di un videogioco di serie B dei primi anni 2000.
A questo contribuiscono dei VFX molto al di sotto del livello di guardia, a cui non si può attribuire neanche una “esiguità” del budget – 83 milioni per parte, per un totale di 166 milioni – se si pensa che un film affine uscito quest’anno, The Creator, con praticamente lo stesso budget di una singola parte di Rebel Moon ha creato una delle esperienze visive più impattanti degli ultimi anni. Qui invece la parte in CGI, unita a dei costumi e delle armature degne dei migliori larper (con tutto il rispetto per questi ultimi), forniscono una delle visioni più uncanny che ci si potesse aspettare, generando più di qualche risata per la patina plasticosa che ricopre tutto.
Il film è poi piagato come sempre dalla regia di uno Snyder che qui, ancor più del solito, sembra autocompiacersi all’inverosimile. Gli slow motion abbondano come mai prima d’ora, e spesso nei momenti narrativamente più inutili: si enfatizzano persino i semi del grano che cadono durante il lavoro nei campi senza che questo abbia un minimo di senso narrativo. Le scene d’azione poi sono quanto di più imbarazzante possa trovarsi nel cinema muscolare moderno, e basterebbe la prima, in cui Kora si trova a combattere contro un manipolo di soldati dell’impero che vogliono stuprare una cittadina di Veldt, per capire il tenore del film.
Una scena delirante dove una decina di soldati super addestrati e, per come sono stati mostrati precedentemente, totalmente nazisti e spietati (l’ammiraglio Noble è vestito praticamente da SS), che mantengono in ostaggio la ragazza anziché fucilarla all’istante e uccidere anche Kora, andando invece uno alla volta contro quest’ultima che quindi non ha difficoltà a batterli corpo a corpo. In tutto ciò la macchina da presa si muove in modo da rendere la scena il meno chiara possibile, così che non ci sia neanche bisogno di una vera coreografia.
La pellicola è piena di questi momenti al di fuori di qualsiasi logica umana, in cui i personaggi – che a questo punto mi sembrano convenientemente NON scritti, così da farli comportare a piacimento – e il mondo reagiscono in maniera sempre utile alla narrazione e mai come se fossero davvero vivi, oltre a momenti in cui proprio la più elementare delle logiche va a farsi benedire, come quando l’uccisione del cannoniere di una nave da guerra, e lo spostamento della cloche della sola torretta che il soldato controllava, causa lo schianto dell’intera nave. Ma il punto più grande – e comune a tutto il cinema di Snyder – è proprio la mancanza di credibilità nella messa in scena: tutto è tronfio, super pulito (anche nella sporcizia), artefatto, a partire dalla colonna sonora di Junkie XL totalmente fuori luogo e inutilmente epica anche in momenti di apparente calma.
C’è un momento che mi è rimasto particolarmente impresso, che ancora una volta prendo come esempio per il tenore del film, ed è il ritrovamento del generale Titus (Djimon Hounsou) su un pianeta ispirato all’antica Roma (e già qui potremmo iniziare a farci qualche domanda sul worldbuilding). Il vecchio generale è in esilio, vive come un senzatetto vicino l’arena del pianeta ed è riluttante a farsi coinvolgere nella ribellione. Oltre a cambiare idea senza apparentemente un motivo plausibile, viene rappresentato come un uomo dal fisico scultoreo – che in anni di vita da clochard non si capisce come abbia mantenuto – e soprattutto con polvere e terra sul corpo che sembrano appositamente posizionate su di lui per essere il più estetiche possibili. Anche la barba incolta in realtà sembra ben acconciata e sistemata.
Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco è probabilmente uno dei peggiori film di Zack Snyder, tant’è che a confronto anche il terribile Army of the Dead riesce a fare di meglio raccontando almeno qualcosa di evidentemente caro al regista (la perdita della figlia). Quest’ultima opera, condannata anche dal fatto di essere una prima parte, e avere nelle battute conclusive almeno due o tre scene finali montate una dopo l’altra, finisce per essere davvero un’avventura non solo derivativa, ma soprattutto senz’anima, dando l’impressione di essere stata generata da un’IA per quanto possegga ogni tipo di stereotipo e tendenza del cinema Netflix attuale.
Il mio augurio per Snyder sarebbe quello di concentrarsi su storie più personali, magari aumentando i collaboratori invece di diminuirli – è già il secondo film dove è anche direttore della fotografia – così da non ricadere sempre nei soliti cliché, che non costituiscono né uno stile né una poetica, in quanto utilizzati sempre in modo sprovveduto e con una mania di grandezza fin troppo autocompiaciuta. Le mie speranze per Rebel Moon erano già basse prima dell’uscita di questa Parte 1, che non solo ha confermato i miei timori ma mi ha sorpreso ancor di più in negativo, annichilendomi totalmente nell’indescrivibilità di alcuni suoi aspetti. Forse è solo questo che mi porterà a vedere la Parte 2: una genuina curiosità per il prosieguo di una delle carriere più strane mai uscite da Hollywood.
una domanda, come si può chiedere a netflix il risarcimento per i venti minuti di vita che ho perso a vedere l’inizio di questa robaccia?
Grazie