Povere Creature! – Una fiaba che fonde femminismo e socialismo

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Povere Creature del talentuosissimo Yorgos Lanthimos (Dogtooth, Il sacrificio del cervo sacro, La favorita) è senza dubbio uno dei film che quest’anno ha destato più interesse in pubblico e critica. Presentato in anteprima nazionale all’80ª Mostra del Cinema di Venezia lo scorso settembre – dove ha meritatamente trionfato con il Leone d’Oro per il miglior film – e basato sul geniale romanzo omonimo dello scozzese Alasdair Gray, quest’opera anarchica e irriverente gode di un appeal irresistibile. Si tratta di un kolossal contemporaneo, femminista e socialista fino al midollo; una fiaba ricca di sperimentazioni, fantasticherie, drammi e satira tagliente.

La carne al fuoco presentata da Lanthimos è davvero tanta: per la prima volta vediamo il regista uscire dalla sua zona di comfort per approcciare una pellicola a metà strada tra il fantasy e la fantascienza, una storia lontana dalle atmosfere ansiogene tipiche dell’autore greco. Poor Things è una parabola ricca di energia, mossa da un ritmo indiavolato e merita di essere sviscerata con altrettanta passione.

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Emma Stone nei panni di Bella Baxter, protagonista assoluta del film.

Le premesse di trama sono molto semplici e rientrano nei canoni dei coming of age, ma prevedibilmente le svolte bizzarre e le suggestioni fantastiche sono dietro l’angolo. Ci troviamo in una Londra tardo-vittoriana e Bella Baxter (una straordinaria Emma Stone) è una donna fuori dal comune, con il corpo da adulta ma la mente di un neonato. Vive nella dimora/laboratorio del famoso Godwin Baxter (Willem Dafoe), un dottore tanto brillante quanto grottesco; un appassionato di scienza che segue metodi poco ortodossi. L’eccentricità di Bella buca immediatamente lo schermo e, strano ma vero, la ragazza matura a vista d’occhio. Gode infatti di innate capacità di apprendimento: impara a parlare, camminare e ragionare da un giorno all’altro, attraversando rapidissimamente le fasi di crescita di un essere umano normale.

Bella passa dalle ingenuità dell’infanzia alle prime ribellioni adolescenziali in men che non si dica e il dottore, considerabile come la sua figura paterna, è costretto ad assumere a tempo pieno un suo studente di chirurgia, Max McCandless (Ramy Youssef), affinché studi insieme a lui la vita della donna. Come in una versione alternativa de La bella e la bestia, alla nostra protagonista viene espressamente vietato di lasciare la residenza: una “creatura” speciale come lei va protetta a tutti i costi dalla società esterna, fatta di meschinità e oppressione.

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La giovane Baxter però non è d’accordo, e – ispirata da ciò che la circonda – decide di sua spontanea volontà di fuggire per esplorare empiricamente il mondo, quasi per spingersi ai limiti dell’ignoto. Si imbarca dunque in un’avventura che la porta in varie città dove dare sfogo alla sua incontenibile curiosità: Lisbona, Alessandria e Parigi. Queste dividono il film in atti: Lisbona fa da sfondo a un primo viaggio romantico in nave; nei sobborghi di Alessandria vengono messe in mostra tutte le negatività della società moderna e contemporanea; Parigi è infine il luogo in cui scoprire la sessualità.

La giovane donna è affamata di una mondanità che le manca e, accompagnata da un costante desiderio di fuga, si lega a Duncan Wedderburn (un irriconoscibile Mark Ruffalo). Quest’ultimo è un avvocato tanto scaltro quanto libertino che le permette di scoprire gioie e dolori della vita: sesso e masturbazione, ma anche la prostituzione, la corruzione del vil denaro, le insensatezze del capitalismo e l’orrore della morte. Le peripezie di Bella la portano dunque a indagare al di fuori di sé ma anche nella sua intimità, permettendo allo spettatore di venire a conoscenza del suo passato traumatico e travagliato, elemento che si lega a doppio filo con le numerose tematiche offerte dal lungometraggio.

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Duncan è lo zimbello dei sedicenti “uomini forti”.

La nostra eroina ribelle è certamente uno dei migliori personaggi femminili degli ultimi anni, fuori da ogni costrutto e logica ordinari. In questo racconto di formazione che ricalca parodisticamente l’antica tradizione del Grand Tour – un lungo viaggio nell’Europa continentale intrapreso dai ricchi aristocratici a partire dal XVIII secolo – Bella Baxter è libera dai pregiudizi del suo tempo, nonché decisa nel suo proposito di difendere l’uguaglianza e l’emancipazione di fronte a tutte le persone che incontra; uomini e donne di varia estrazione sociale che ne influenzano la crescita nel bene e nel male. Emma Stone (La La LandCrudelia), qui nel ruolo della vita, interpreta una figura complessa e sfaccettata, paladina del libero arbitrio.

L’attrice e Lanthimos si sono confrontati più volte in merito a Povere Creature, sin dal 2017, chiedendosi “come sarebbe vivere con una mente scevra dalle convenzioni sociali imposte?”. Questa riflessione ha portato Bella a essere una protagonista che si evolve attraverso il linguaggio e le movenze in una maniera assai peculiare: passa da una “neonata” non pienamente sviluppata a una donna matura la cui sessualità assume un ruolo di spicco. La rappresentazione di quest’ultima è più in linea con il panorama odierno: esplorare il sesso senza provare sensi di colpa è possibile. A ciò si aggiunge poi quel senso della meraviglia nello scoprire il mondo, tipico dell’infanzia, sempre più raro ai giorni nostri.

L’energia inarrestabile della protagonista di Poor Things è rappresentata da un god complex latente che – volontariamente o meno – ricalca persino il mito cristiano di Sansone, il giudice biblico la cui forza risiedeva nei lunghi capelli. Anche la chioma della giovane Baxter cresce a dismisura, molto velocemente, così come – guarda caso – cresce la sua consapevolezza del mondo esterno e delle sue contraddizioni.

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Accanto ai temi appena esposti, il lungometraggio esplora il bisogno dei personaggi maschili di controllare le donne e, in particolare, Bella. Da qui una satira feroce che analizza in profondità il modo in cui il patriarcato vede il genere femminile, la pressione a cui questo è sottoposto e la convinzione generalizzata che le donne abbiano il compito di servire il sesso opposto. Bella Baxter funge da contraltare al resto dei comprimari con la sua abilità di restare fedele alla propria umanità, mostrando la liberazione di una donna che cresce in una società maschile eccessivamente repressiva. La comicità grottesca della sceneggiatura sconcia e provocatoria – firmata da Tony McNamara (Crudelia, La favorita) – proviene principalmente da questo: i rapporti con gli uomini sono schietti e palesano chiaramente la paura inconscia che questi ultimi nutrono nei confronti delle donne.

In poche parole, l’autonomia dissacrante ed erotica della protagonista non può essere controllata in questa rivisitazione del mito di Frankenstein che trasforma il “mostro” in una donna tanto magnetica quanto perspicace e i suoi interessi amorosi in potenziali belve. Povere Creature, al contrario del debolissimo e didascalico Barbie di Greta Gerwig, tratta il femminismo a tutto tondo con coscienza e acume, rimanendo comunque uno dei film più accessibili del regista greco. Accessibilità che, tra una risata di gusto e momenti di sesso furibondo, non mina i contenuti universali e impossibili da ignorare.

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In una realtà fiabesca ma ostile, quasi fosse un racconto disneyano distorto, un perverso Alice nel Paese delle Meraviglie, il personaggio di Emma Stone matura e impara il significato del dolore – psicologico e fisico – desensibilizzandosi di conseguenza. Nel farlo, pone al pubblico un quesito: è meglio crescere perdendo l’ingenuità e la purezza o continuare a vivere in un mondo ideale, protetti dai pericoli esterni? Domande esistenziali che avvicinano tematicamente Poor Things a un altro film pieno di freak, ovvero The Elephant Man di David Lynch.

Gli occhi dolci e i sorrisi candidi di Bella Baxter si trasformano in scaltra e pungente repellenza atta a difendersi, specialmente quando entra a contatto con la prostituzione citata in precedenza. La sua voglia di emancipazione non viene mai placata: suo il corpo, sua la scelta. A questo proposito, un’altra questione che il lungometraggio vuole porre sul tavolo è la seguente: è preferibile governare i propri istinti o vivere liberi, rifiutandosi di sottostare alle regole e a coloro che vogliono imprigionarci? L’anima è davvero fatta per rientrare in scomode convenzioni sociali?

Tante sono le domande poste da Lanthimos e colleghi. Per gli spettatori più attenti, alcune di queste sfiorano anche la filosofia: siamo animali o esseri umani? Qualsiasi sia la risposta, come possiamo affrontare le ingiustizie della vita? Affidandoci al cinismo o convogliando le nostre speranze in un idealismo che possa plasmare e migliorare la società in cui viviamo?

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Per quanto riguarda i comprimari, durante un incontro riservato alla stampa Willem Dafoe (The LighthouseNightmare AlleyAsteroid City) ha approfondito il suo ruolo nella pellicola: anche Godwin Baxter – detto God – è un freak, ma a differenza degli altri uomini è una figura positiva. Un chirurgo illuminato, mosso da un innato istinto paterno e da un’irrefrenabile follia creativa (i parallelismi con divinità cristiane e pagane si sprecano). Lui e il timido assistente Max McCandless fanno da contrappeso agli antagonisti maschili, capitanati dal viscido Duncan.

Quest’ultimo, impersonato in modo davvero emotivo e ingenuo da un Mark Ruffalo (Thor: Ragnarok, Avengers: Endgame) in grande spolvero, è un ometto che incarna appieno la mascolinità tossica. Da buon narcisista manipolatore quale è, brama il controllo ma viene azzoppato dalla sua insicurezza: è il peggior nemico di sé stesso, senza rendersene conto. In altre parole, è estremamente egocentrico e misogino, ma cerca di passare per una sorta di liberale (il che è ugualmente terribile).

Per sua (s)fortuna si innamora perdutamente di Bella e l’esperienza finisce per devastarlo emotivamente. “È la donna perfetta per lui, se soltanto Duncan le permettesse di essere sé stessa“, spiega Ruffalo. “È in grado di fargli provare qualcosa, ma il suo bisogno di avere sempre il controllo demolisce questa relazione. Dietro ogni narcisista sfrenato, si nasconde una persona davvero spezzata e vulnerabile, e Bella lo fa a pezzi. Insieme sono una combinazione di distruzione, edonismo e sesso“.

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Willem Dafoe opportunamente imbruttito dal trucco prostetico di Nadia Stacey.

La componente tecnica ed estetica di Povere Creature è, così come l’impianto drammaturgico, ricca di suggestioni per una resa visiva sontuosa ed esplosiva, da applausi. Gli scenografi James Price (Judy) e Shona Heath e la set decorator Zsuzsa Mihalek (La talpaAtomica Bionda) sono riusciti a costruire un mondo parallelo da zero. Le ambientazioni impossibili e caleidoscopiche rifiutano il realismo ed esulano dal periodo storico delle vicende. Sono molteplici gli elementi fantascientifici, anacronistici, immaginari o di altre epoche che rendono la storia più simile a una fiaba decorata da metafore, dove tutto è volutamente pacchiano fino al dettaglio più microscopico. Di fronte a cotanto eccesso barocco – con qualche pizzico di steampunk à la BioShock – è impossibile non riportare alla mente alcuni lavori colossali del fin troppo sottovalutato Terry Gilliam come The Zero Theorem o L’uomo che uccise Don Chisciotte.

A rincarare lo sfarzo ci pensano i costumi folli di Holly Waddington (LincolnLady Macbeth) che, secondo l’analisi della collega Polio con cui ho avuto il piacere  di condividere il film a Venezia, sfruttano una base vittoriana databile intorno alla fine dell’Ottocento per poi stravolgere la stessa con trovate kitsch e stravaganti. Per citare le sue parole: “È un lungometraggio che Tim Burton avrebbe girato volentieri“.

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Per inquadrare il suo personalissimo paese delle meraviglie, Yorgos Lanthimos sfrutta carrellate e panoramiche vorticose di varia lunghezza. Non mancano poi le sue caratteristiche zoomate lentissime, unite a primissimi piani quasi a voler scrutare i suoi personaggi nell’intimo, come uno scienziato al microscopio. Anche il direttore della fotografia Robbie Ryan (C’mon C’mon, The Old Oak) ha i suoi assi nella manica: obiettivi Petzval, fish-eye, lenti per proiettori riadattate e vari obiettivi anamorfici che sfocano e stringono le scene in cui i personaggi sono racchiusi, restituendo atmosfere claustrofobiche e febbrili.

Poor Things è stato girato in un inusuale e desueto 5:3, il formato panoramico più diffuso in Europa, scelto probabilmente per accentuare lo stile ricercato e sperimentale dell’opera. A rimarcare ciò è poi l’utilizzo di una pellicola Ektachrome in 35mm creata appositamente per le riprese dalla Kodak. Per i non addetti ai lavori, non è altro che una pellicola a colori invertibile – con un’immagine positiva, non negativa – che sfoggia colori più accesi e preserva il look nonché i dettagli dell’immagine originale. Tutto ciò è apprezzabile sia nel prologo in bianco e nero, sia nel passaggio al colore: un cambiamento che rappresenta sia la crescita della protagonista, sia la sua vivacità che pian piano contamina ciò che la circonda.

Le musiche dissonanti di Jerskin Fendrix coronano tutto questo sfoggio artistico. Per rispecchiare l’inusuale aspetto “biomeccanico” della messa in scena, il compositore ha fatto affidamento su una strumentazione composta principalmente da legni (flauti, clarinetti, oboi, fagotti…) e archi a cui ha poi aggiunto organi a canne, uilleann pipes – una sorta di cornamuse irlandesi – e cori creati con il sintetizzatore. Il risultato è una colonna sonora ariosa ma sghemba, quasi fosse una creatura a sé che ricorda vagamente le sonorità de La sagra della primavera di Stravinskij. La sua funzione non si limita a rimarcare ciò che avviene nelle scene, riesce anzi a stratificarle in modi spesso inaspettati e, a volte, contraddittori. Bella, Godwin, Max e Duncan sono tutte persone immature, a modo loro; per questa ragione i brani non sono mai troppo imponenti, maturi o controllati, bensì restituiscono una costante sensazione di instabilità.

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Povere Creature è vera dinamite: una creazione imponente, da annoverare sicuramente tra i film migliori di Lanthimos. La sua storia è estremamente attuale, oggi più che mai; è un lungometraggio orgogliosamente politico (d’altronde ogni cosa lo è, non prendiamoci in giro). Come tutta l’Arte con la “A” maiuscola, fa del suo meglio per rendere il mondo un posto migliore, condividendo dal canto suo un messaggio di lotta e di ribellione anarco-socialista per rigettare i mali che abbiamo imparato a ritenere normali. Qualcuno potrebbe giustamente affermare che le “povere creature” siamo proprio noi.

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Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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