Un genere videoludico ampiamente diffuso negli anni ’90 è stato l’horror, nelle sue molteplici sfumature. L’arrivo della prima PlayStation ha aperto le porte alle pioneristiche grafiche 3D tramite l’utilizzo di poligoni regolari, che diedero spunto agli sviluppatori per concepire mondi sempre più realistici e immersivi. L’età non è mai stata un limite in questo caso, chiunque ricorda titoli dal calibro di Resident Evil o Dino Crisis che prendevano spunto dal cinema, dai fumetti e dai romanzi in voga all’epoca. Il pacchetto grafico, sonoro e di gameplay dei primi titoli horror è ancora oggi una specie di stile artistico adatto allo sviluppo di nuovi giochi o addirittura di demake, veri e propri titoli moderni rivisitati in chiave retrò. Lo sviluppatore indipendente Casper Croes ha sfruttato proprio l’aura nostalgica dei vecchi titoli PlayStation per realizzare Alisa, di cui da poco è stata rilasciata su console l’edizione Alisa Developer’s Cut.
Il gioco si presenta come un horror d’azione in pieno stile anni ’90, ambientato in un universo onirico legato alle tematiche del ricordo e dell’infanzia, delle bambole e dei tipici esperimenti scientifici andati male tanto in voga un tempo. La telecamera fissa, i corridoi con scorci che manifestano delle spiacevoli sorprese e il movimento macchinoso della protagonista sono degli ottimi punti di partenza per immergerci nuovamente nella realtà digitale di ormai trent’anni fa.
La trama viene introdotta da una cutscene iniziale, che spiega il contesto in cui Alisa Developer’s Cut è ambientato. Nelle prime scene osserviamo un mondo dai colori spenti, un paesaggio spoglio accompagnato da un’aria totalmente umida, simile a una steppa dell’est Europa. Scopriamo che una misteriosa spia ha rubato dei documenti top secret e deve essere subito rintracciata e catturata. Dopo questa premessa, vediamo Alisa che si distrae mentre osserva il triste panorama dal finestrino del treno, finché lei e un suo collega non scendono in una stazione vuota e in stato di abbandono, per perlustrare la zona e seguire un piccolo sentiero di campagna che conduce in un villaggio desolato e avvolto della nebbia.
Esplorando la zona, i due scoprono che l’unico residente è un anziano signore, il quale dichiara di aver incontrato la spia. Alisa quindi accompagna il collega sul sentiero indicato dal testimone, e avvistato il criminale inizia un inseguimento, durante il quale però il partner della protagonista rimane infortunato lasciandola da sola. La spia sembra svanita nel nulla, e Alisa viene aggredita da due creature aberranti simili a delle tartarughe, composte da pezzi che ricordano quelli di una bambola di porcellana, dopodiché lo schermo si fa nero. Alisa si sveglia in una camera da letto abbastanza stretta e in vecchio stile, non ricorda com’è arrivata fin lì e indossa un vestitino dai colori confetto addobbato da fiocchi e sbalzi di stoffa bianca, molto simile a quello di Alice nel famoso film Disney.
Uscendo dalla stanza si ha il primo incontro con i nemici principali del gioco: una bambola è china su dei rottami e sembra quasi divorarli, ma appena si accorge della presenza di Alisa si gira di scatto pronta ad assalirla. La citazione alla scena iniziale del primo Resident Evil è palese, infatti come nel noto videogioco Capcom occorre spararle a vista con la pistola, in dotazione fin dall’inizio; naturalmente Alisa è in stato di shock e si trova smarrita in questa strana dimora degli orrori. Si nota fin da subito il parallelismo con Alice nel Paese delle Meraviglie, che va dall’estetica all’impostazione narrativa. Il posto in cui Alisa è imprigionata somiglia molto a una casa delle bambole, una villa dove tutto sembra creato alla perfezione, un intrigante e cesellato ambiente casalingo.
Il gameplay almeno su console è pressoché disastroso. I comandi sono scomodissimi e le uniche opzioni dedicate nel ristretto menu sono A-Tank e B-Modern, in cui l’unica differenza è il cambio d’uso di uno o due tasti. Alisa può spostarsi, compiere un’azione e mirare in base alla posizione del braccio, tre animazioni che all’apparenza sembrano semplici, ma che nei fatti non reagiscono bene ai comandi e all’interazione con lo spazio. Perfino muoversi in linea retta diventa un problema, cosa che renderà difficile fuggire o affrontare i numerosi nemici e boss del gioco. Forse in questo senso lo sviluppatore avrebbe potuto ispirarsi fino in fondo ai primi giochi in 3D e prediligere l’uso delle frecce direzionali, anziché gli stick di nuova generazione che mal si adattano al gameplay di Alisa.
Molte aree saranno al centro di ansiogeni inseguimenti da parte di nemici grotteschi e talvolta fuori misura, tra i quali “bruchi” formati da varie teste e pagliacci armati di mazze da baseball; questo, combinato alla risoluzione di puzzle ed enigmi che permettono anche di accedere a nuove aree, dà parecchio filo da torcere. La villa ha principalmente 6 livelli, inclusi gli spazi esterni, e occorre esplorarli tutti per raccogliere oggetti utili all’avanzamento della trama. Non ci sono checkpoint e il salvataggio è sottoposto al pagamento di una moneta di gioco; le marionette delle safe room sono preposte a tali funzioni, e consiglio di consultarle ogni volta che si compiono progressi. La meccanica del salvataggio è molto carina, ma rientra chiaramente nei fastidiosi cavilli dei giochi di una volta, costringendo i veterani a rispolverare le proprie skill e i giocatori più giovani ad adattarsi a logiche datate.
Il cavallo di battaglia di Alisa Developer’s Cut è il suo comparto grafico, ben studiato per rispecchiare le atmosfere retrò prese come punto di riferimento. Con una risoluzione di 480p su Nintendo Switch, il gioco riesce a presentare al meglio tutti gli scenari senza distorcerli o avvicinarli a qualcosa di più moderno. I vari componenti della casa come le stanze, i corridoi e le scale sono accessibili unicamente dal tasto azione e si dispongono in modo lineare seguendo un preciso ordine di esplorazione, inoltre è sempre a disposizione una mappa per orientare al meglio il giocatore. Gli ambienti dell’abitazione sono pienamente ispirati alle ville di inizio secolo scorso, ottima cornice per elementi come le bambole di porcellana e il mondo onirico; il legno massello delle scalinate e i muri di marmo completamente bianchi della cattedrale vicina aumentano le sensazioni di mistero e smarrimento tipiche del sogno e della fantasia.
Fantasia che purtroppo scarseggia nel comparto sonoro del gioco, con suoni sempre uguali e ripetuti meccanicamente. Questa scelta risulta particolarmente fastidiosa soprattutto nei momenti in cui si affrontano gli enigmi o si attraversano alcune aree, ritrovandosi le stesse risatine dei pupazzi o le urla di qualche nemico in loop senza nemmeno delle musiche in sottofondo. Le melodie del gioco sono pochissime e vengono riservate alle boss fight o a zone specifiche, un vero peccato considerando l’ampia varietà di effetti sonori e brani offerti in realtà dai videogiochi anni ’90. Non va granché meglio con il doppiaggio (solo in inglese), ma soprattutto con la traduzione in italiano dei dialoghi e i testi del gioco, che risulta scarsa e grammaticalmente scorretta; la superficialità regna sovrana perfino sugli indizi dei puzzle che sembrano scritti in fretta e furia.
Un’ultima nota negativa va all’estrema semplicità delle boss fight: molte volte per sconfiggere un boss basta qualche colpo d’arma pesante in una posizione mirata della stanza. Inoltre la totale assenza di qualche spunto originale per design e lore porta a dei finali deludenti e fin troppo prevedibili, che lasciano inevitabilmente una certa delusione.
Alisa Developer’s Cut nasce da un’idea interessante di fascinazione per i videogiochi horror anni ’90, ma finisce per essere una semplice goccia in un mare di titoli indie che non riescono uscire dai soliti cliché. Un vero peccato per una categoria indie così ristretta, dove ormai sono rare le nuove esperienze di gioco capaci di superare le aspettative, pur ispirandosi ai grandi titoli del passato.
Special thanks to Casper Croes
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