Avete presente quella sensazione di incompiuto, di soddisfazione ma con un retrogusto amaro lasciata da qualcosa che, nonostante tutto, avevate sperato e creduto potesse dare di più? Ecco, prima di entrare nei particolari, vorrei farvi capire così ciò che ho provato uscendo dalla sala dopo la visione di Ghostbusters: Minaccia Glaciale.
A 3 anni dal già non entusiasmante Ghostbusters: Legacy arriva questo quarto capitolo della saga, che tenta di riportare in vita le vibes dei primi due film. In seguito agli eventi di Summerville la famiglia Spengler si trasferisce a New York, proprio nell’iconica caserma dei pompieri, per aiutare gli originali acchiappafantasmi (che nel frattempo hanno sviluppato un laboratorio di ricerca top-secret sul paranormale) e prendere il loro posto a tempo pieno. Purtroppo, oltre al fatto che casualmente i fantasmi siano tornati a New York dopo 40 anni, la scoperta di un antico manufatto costringerà tutti i protagonisti a unirsi per sventare una nuova era glaciale.
Jason Reitman lascia la regia a Gil Kenan, ma anche questa volta la sceneggiatura è scritta a quattro mani da entrambi, che pur continuando a metterci anima e cuore nel tentativo di rinvigorire il franchise forse si sono imbattuti in un’operazione più complicata del previsto. Tornano Phoebe (Mckenna Grace), il fratello Trevor (Finn Wolfhard) e la madre Callie (Carrie Coon) assieme al neo-patrigno Gary (Paul Rudd), oltre a Podcast (Logan Kim), Lucky (Celeste O’Connor), Slimer, il vecchio cast e la new entry Nadeem (Kumail Nanjiani); tanti, troppi personaggi che fanno più fumo che arrosto, ad eccezione almeno della piccola Spengler, che risulta ancora interessante.
Tra i nuovi protagonisti, a conti fatti Phoebe è l’unica di cui realmente finisca per importarci qualcosa. Lei rappresenta il cuore pulsante di questo nuovo corso, e qui si trova ad affrontare le difficoltà dell’adolescenza, la frustrazione di essere la più piccola (nonché minorenne) del gruppo nonostante sia la più sveglia, e i problemi nel doversi rapportare sia con la madre che con una nuova figura paterna. Peccato sia anche al centro di una sottotrama piuttosto imbarazzante e atipica per il franchise, che la vede stringere amicizia con lo spettro di una coetanea deceduta, Melody (Emily Lind); pur essendo rilevante ai fini della trama, dopo 20 minuti è facilissimo prevederne l’esito.
Sulla carta il film avrebbe tutti gli elementi per coinvolgere vecchi e nuovi fan e dare nuova linfa al franchise: la ritrovata ambientazione nella grande mela, elementi inediti intriganti come il laboratorio sul paranormale e nuovi gadget, il cast storico pronto a lasciare il testimone, e a differenza del precedente capitolo un nuovo interessante cattivo. Purtroppo, però, niente di tutto questo va completamente a segno. Intendiamoci, Ghostbusters: Minaccia Glaciale non è un brutto film, anzi, personalmente lo preferisco a Legacy, ma come dire… semplicemente non ci siamo.
L’ultima parte è valida nel suo essere dinamica, coinvolgente e capace di condensare al meglio vecchio e nuovo, facendo anche emozionare e sorridere genuinamente in più occasioni, inoltre il finale è (molto) bello. Anche tutta la prima parte non è interamente da buttare: è apprezzabile la volontà di creare una nuova mitologia, così come la presentazione del villain e il crescendo della sua minaccia all’interno di tutta la storia, ma il problema è la lentezza che la caratterizza, alla quale contribuisce la regia piuttosto piatta. Per carità, sono certo che a molti piacerà comunque da matti e io stesso non escludo la possibilità di rivalutare tutta la prima parte a una seconda visione, infatti il problema più grande di Minaccia Glaciale è un altro.
Il nocciolo della questione è: con i vecchi protagonisti che sulla carta dovrebbero quasi farsi definitivamente da parte, la saga sarebbe pronta a un capitolo senza di essi? La risposta secca è: assolutamente NO. Se Mckenna Grace e Paul Rudd sono effettivamente validi per portare avanti la baracca, tutto il resto del nuovo cast (oltre ad essere inutilmente abbondante) ha lo spessore di un foglio di carta risultando quasi del tutto inutile. Ci sono tentativi di imbastire dinamiche e rapporti interessanti tra loro, ma è tutto molto blando, tant’è che persino Finn Wolfhard, che dovrebbe essere uno dei nomi di punta per il futuro, non è pervenuto.
Non è un buon segno che le parti migliori del film, nonostante il minutaggio ridotto (ma equilibrato), continuino ad arrivare dalle vecchie glorie: Dan Aykroyd ha sempre lo stesso spirito di 40 anni fa, Ernie Hudson è in splendida forma, Bill Murray (nonostante l’apparente svogliatezza nello sguardo) si dimostra sempre un mito con poche ma incisive battute e una fantastica chimica con gli altri due, e anche Annie Potts riesce ad essere più entusiasmante di gran parte del nuovo cast.
Questo, ripeto, non significa che il film sia sgradevole o interamente da buttare, anzi, al di là di una regia alquanto blanda e un ritmo un po’ troppo compassato nella prima parte, nella sua semplicità in fin dei conti risulta una visione piacevole grazie al buon comparto visivo, le musiche e soprattutto le idee.
Quello in cui Ghostbusters: Minaccia Glaciale fallisce inesorabilmente è il passaggio di consegne, l’affermazione del nuovo cast all’interno della saga, e non basta un bel finale per raggiungere quest’obiettivo. Ho indubbiamente voglia di vedere altri film dei Ghostbusters, ma ad oggi mi è impossibile immaginarli senza il cast storico.
Un ringraziamento speciale a Sony Pictures Italia e Eagle Pictures
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