Quando ho iniziato a scrivere per Nerdevil, mi sono detta che avrei fatto del mio meglio per non diventare l’ennesima autrice di recensioni piene di sarcasmo e cattiveria gratuita. Non mi piace l’idea di farmi un nome sfottendo gli altri, denigrandone le opere al solo scopo di sentirmi figa. Non sono mai stata una bulla e mi piace credere di poter trovare del buono in ogni opera (se escludiamo roba razzista, omofoba, transfobica, eccetera). Ecco, fatta questa premessa… mi sento un’ipocrita. Mi sento davvero, davvero un’ipocrita, perché sto facendo una certa fatica a scrivere una recensione di Cockblocker (fumetto di Tancredi De Simone edito da Kall Edizioni) che non sia colma di sarcasmo e di battutine sceme.
Ma andiamo con ordine: la premessa di Cockblocker è che un ragazzo di nome Victor è impegnato in una sorta di crociata contro gli uomini che inviano immagini indesiderate del loro cazzo. Victor ha due occhiaie spaventose, tira coca come se non ci fosse un domani e lo sputtanare online le persone che inviano dickpic senza l’espresso consenso del destinatario è la sua ragione di vita. Non sappiamo quale trauma abbia portato Victor a diventare (parole sue) il Cockblocker, ma sappiamo che è un invasato e che ha una nemesi, una persona anonima che invia immagini di peni orrendi e che continua a sfuggirgli: resalamone69. Non “Re Salomone” come il mio stupido retaggio cattolico mi ha fatto leggere la prima volta. Re “SALAMONE“. Ho il sospetto che il gioco di parole sia voluto e la certezza che sia geniale.
Ecco, di fronte a questa premessa ammetto di aver subito pensato “DEVO leggerlo e DEVO recensirlo! Che figata!”. L’ho pensato perché, in fin dei conti, mi sembrava una premessa tanto trash e comica quanto rivelatrice di un certo potenziale narrativo. Uno di quei casi in cui, strappando risate al lettore, lo si convince a continuare a leggere e pian piano lo si porta a riflettere, magari gli si strappa persino una lacrima. Potrei provare a fare la figa e tirare in ballo il De Rerum Natura di Lucrezio o Tempi Moderni di Chaplin, ma più che altro ho pensato a Rat-Man e a The Order of the Stick. E siccome mi mancano le storie di Rat-Man e The Order of the Stick esce con una lentezza incredibile, mi sono subito gettata nella lettura di Cockblocker.
Piccolo problema: Cockblocker non è un fumetto comico. Dico sul serio, se vuole essere un fumetto comico (e ogni tanto sembrano esserci dei dialoghi e delle vignette che puntano in quella direzione) non riesce proprio a esserlo. Non ci sono tempi comici, battute ricorrenti o personaggi parodistici di qualche tipo. Ci sono situazioni surreali e una premessa ancora più surreale, ma l’intera storia ha più le atmosfere e lo sviluppo tipici di un thriller, che di una commedia. L’impressione è che le scene e le azioni dei personaggi siano comiche in maniera involontaria.
Per fare un esempio: mentre cerca di trovare i dati necessari a sputtanare un tizio che invia dickpic, Victor ci spiega il suo modus operandi. Non vi spoilero ogni singolo passaggio, vi basti sapere che, sullo sfondo della dickpic, lui riconosce il Duomo di Orvieto. Poi deduce, DALL’ANGOLAZIONE, che il colpevole dovrebbe trovarsi “alla sinistra della chiesa, al terzo piano”. A quel punto tira fuori una visura catastale, estrapola il nome del proprietario della casa, lo cerca sui social e cerca ulteriori indizi in mezzo alle foto del sospettato. Ulteriori indizi tra cui una possibile corrispondenza tra il colore dei peli pubici e quello dei capelli.
Se, come me, avete qualche anno sul groppone, vi saranno già venuti in mente i meme su CSI. Il problema è che questa situazione surreale non termina in una battuta, non trova un qualche tipo di sfogo. È una situazione surreale spacciata per l’effettivo lavoro di un hacktivista. Una situazione che dovrebbe sembrare tesa, persino drammatica.
Cockblocker si prende sul serio, e pure tanto. Non stiamo parlando di trash voluto, di una parodia o di un’opera fatta volutamente male (tipo Tromeo e Giulietta, Toxic Avenger o Steampunk Palin). Stiamo parlando di un’opera che vorrebbe essere seria ma finisce per perdere di credibilità. In alcuni punti, se ci si ferma a chiedersi “ehi, ma cosa sto leggendo?” la risposta non è delle migliori. Le azioni dei personaggi, i loro monologhi e i loro dialoghi (spesso didascalici) alimentano ulteriormente quest’impressione: tutto è enfatizzato, portato all’estremo. Una dickpic non è brutta, è disgustosa al punto da far venire voglia di piangere o vomitare.
Un personaggio stressato non si rannicchia in posizione fetale né cerca supporto psicologico. Prende e va a uccidere qualcuno. Un personaggio che ha subito un’aggressione non vuole conforto né ha attacchi d’ansia da PTSD. No, scappa di casa e si dà al terrorismo. Ogni situazione, ogni espressione dei personaggi è enfatizzata, forse per giustificare i loro conflitti, forse per accelerare la narrazione e tenere il lettore incollato alla pagina.
Eppure… eppure funziona. Si rimane incollati alla pagina. Magari si ride di certe situazioni, si scuote la testa o si sgranano gli occhi, ma si continua a leggere e le pagine scorrono con una fluidità incredibile. In un’epoca in cui la soglia di attenzione si è abbassata drasticamente e in cui leggere un fumetto è diventato difficile, Cockblocker è un’inaspettata sorpresa. Io sono parecchio lenta nella lettura, sia per i miei disturbi ossessivo-compulsivi che per la mia pignoleria, eppure ne ho divorato le quasi 140 pagine in pochi minuti. L’ho poi riletto con maggiore calma altre quattro volte, ma non ho mai impiegato più di un’ora (a stare larghi).
Devo dirlo: questo fumetto si legge davvero con piacere e le pagine scorrono come se nulla fosse. Ce ne fossero state altre 400, le avrei lette senza fare nemmeno una pausa. Se devo azzardare un’ipotesi, credo che il motivo stia nel fatto che, nonostante tutti i suoi difetti (non ultimo un approccio al femminismo quantomeno azzardato), la struttura narrativa di Cockblocker è solida. I classici tre atti di una storia sono resi bene e hanno un’ottima durata, il ciclo (anzi, i cicli) di rovina e redenzione funzionano alla grande, i flashback sono inseriti alla perfezione. Questo sarà pure il lavoro di un esordiente, ma spiccia casa a tanti altri autori affermati.
Forse, quel che è mancata è stata una maggiore cura editoriale (e i numerosi refusi potrebbero confermarlo). Forse, l’autore ha piegato troppo i principi femministi alle necessità narrative, rendendoli ridicoli (vorrei fare spoiler, ma evito). Forse, la causa dell’involontaria comicità di Cockblocker è solo un misto di poca esperienza e di desiderio di buttarsi nel mercato con un argomento giudicato sensibile. Difficile (e in fin dei conti poco utile) a dirsi.
Di solito, arrivata a questo punto, dovrei dare un giudizio complessivo, un voto. Non me la sento. Un conto è cercare di giudicare l’opera di un’autrice o un autore con parecchia esperienza, un conto è giudicare un esordiente. Usare la stessa scala, significherebbe compiere un’ingiustizia verso un aspirante nuovo fumettista. Se avete mai frequentato una scuola di scrittura, è probabile che sappiate cosa vuol dire vedere un vostro racconto giudicato con lo stesso metro che gli insegnanti usano per Raymond Chandler, Stephen King o Walter Siti.
Posso dirvi questo: se cercate un’opera seria e che parli di femminismo, è difficile che questo fumetto faccia per voi. Se però volete una lettura piacevole, scorrevole e che vi faccia spesso pensare “cosa cazzo ho appena letto?”, comprate Cockblocker.
Un ringraziamento speciale a Kall Edizioni
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