MaXXXine – Un po’ meno sexy, un po’ meno horror

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Uscito nelle sale statunitensi a inizio luglio e da noi in arrivo il 28 agosto, MaXXXine è il capitolo conclusivo della trilogia horror di Ti West, iniziata con il sorprendente X – A sexy horror story e proseguita con il meraviglioso Pearl. Sfortunatamente, quest’ultima uscita non solo non è altrettanto sorprendente e meravigliosa, ma perde anche un po’ la premessa alla base dei suoi predecessori: il fatto di essere, con efficacia, una “sexy, horror story”.

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L’esordio con X ha dimostrato la capacità di Ti West di riuscire a intrecciare due generi solitamente considerati di serie B, come l’horror e l’erotico, in una trama e una struttura prive di citazionismo superficiale, jumpscare prevedibili e idee banali. Il citazionismo ai classici c’è eccome, ma è accompagnato da un potente concetto di fondo: lo scontro generazionale fra nostalgia e ambizione, che viene sviluppato sia nell’atteggiamento che i personaggi di età diverse hanno nei confronti del sesso, sia nel loro utilizzo della violenza gli uni contro gli altri (anzi, le une contro le altre). Pearl è riuscito a rimanere su questa stessa duplice e ambivalente scia, rappresentando uno struggente rapporto madre-figlia impregnato di gelosie, restrizioni, pregiudizi e, anche qua, violenza.

Se due dei punti di forza dei primi film erano quindi la mescolanza riuscita di generi e una potente performance principale da parte di Mia Goth (protagonista di tutti e tre i capitoli), in MaXXXine entrambi vengono meno, risultando in un film decisamente diluito rispetto ai precedenti – forse anche, e proprio, nelle intenzioni iniziali.

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MaXXXine si apre così come si conclude Pearl, con un’audizione per un casting, da cui stavolta il personaggio di Mia Goth esce trionfante consapevole di averlo superato. Maxine, reduce dagli eventi sanguinosi di X, si è infatti trasferita a Los Angeles con la speranza di riuscire a entrare nella vera industria cinematografica, dopo aver militato con successo nel settore porno per un po’; riesce ad ottenere varie audizioni e per fortuna ne supera una, quella per il sequel di un film horror di grande successo, tale Puritan II.

L’inizio delle prove per il film coincide con quello di una serie di omicidi che macchiano di rosso le strade insieme sporche e sfavillanti di Hollywood; molte persone legate alla stessa Maxine vengono trovate morte, con i corpi marchiati a fuoco da simboli satanici. La polizia, capitanata da Michelle Monaghan e Bobby Cannavale nei panni di due detective, trova in Maxine il punto comune di tutti i cadaveri, facendo di lei il fulcro delle indagini sia come sospettata che come possibile prossima vittima. Nel mentre, lei si rifiuta ostinatamente di cooperare, essendo impegnata nelle riprese per il film e determinata più che mai a non farsi intralciare da nessuno la scalata verso il successo.

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Quest’ultimo capitolo della trilogia si avvicina senz’altro di più al thriller, piuttosto che ai due generi che avevano fatto la cifra stilistica dei film precedenti; con delle indagini in corso e uno sconosciuto serial killer in circolazione, la tensione è data più dal mistero che da una sequela di scene “proibite”, che siano erotiche, splatter oppure semplicemente violente. L’elemento “sexy” è sicuramente andato perduto, mentre l’horror si realizza in qualche scena sanguinolenta priva di suspense, in cui l’intera narrazione si ferma appositamente solo per permetterci di assistere a delle uccisioni più o meno originali.

Il primo problema si pone quindi a livello di aspettative: essendo i primi due film della saga molto in linea l’uno con l’altro per quanto riguarda tematiche, stile di messa in scena e performance femminili, trovare nel terzo tutt’altro ritmo e tutt’altra potenza interpretativa fa decisamente strano. È chiaro che si tratti di una scelta compiuta comunque con coscienza da parte del regista (che ne è anche sceneggiatore), ma il risultato risulta decisamente depotenziato rispetto a quello che prometteva di essere.

La suddetta tensione tipica del thriller purtroppo non prende mai veramente il volo, perché risulta chiaro quasi fin da subito quale sia l’identità del killer, specie per chi è fan della saga e ricorda bene le vicende di X. L’unico eventuale motivo di suspense viene quindi annullato sul nascere, mentre Maxine questa volta agisce in modo più prudente rispetto al primo film, esibendo la sua ambizione decisamente più a parole (“so cavarmela da sola”, “ce la farò da sola”) che con i fatti. Quello che poteva essere un interessante sviluppo del personaggio risulta più che altro in un ammansimento della protagonista, che agisce ancora da sola e si mostra più di una volta irruenta, ma sembra far tutto just for show e per superficiale coerenza col carattere che aveva nella pellicola precedente.

MaXXXine recensione
Elizabeth Debicki

Di conseguenza, la performance di Mia Goth ne esce meno memorabile rispetto alle precedenti, anche se complice è più la sceneggiatura che l’attrice in sé; stesso vale per la cantante Halsey e l’attrice Lily Collins, altamente pubblicizzate nei poster e nei vari post di marketing, che si limitano a fare la loro, uscendone più che dignitosamente nelle piccole parti a loro concesse. Quella che a mio parere emerge di più, è forse Elizabeth Debicki nei panni della fredda e capace regista di Puritan II, che in poche scene riesce a far emergere anche il lato più soft del personaggio oltre alla lapidaria superficie.

Fotografia e scenografie sono decisamente le parti migliori del film. Se in X prevalevano le scene notturne tipiche degli horror anni ’70, e in Pearl si svolgeva tutto in pieno giorno con colori pastello alla Mago di Oz, qua l’ambiguità del marcio e dello sfavillante della Los Angeles Hollywoodiana si mescolano perfettamente in scene ad alto contrasto, spesso in veri e propri controluce, dove neanche tutta la luminosità delle luci cinematografiche riesce a cancellare le parti oscure dei corpi e dei luoghi, profondamente corrotti dal contesto in cui si trovano.

MaXXXine recensione
La mia espressione delusa a fine visione

Laddove la sceneggiatura e le intenzioni mancano il bersaglio, il reparto fotografico e quello scenografico compensano offrendoci un film esteticamente caratteristico, con un affresco della Hollywood anni ’80 allo stesso tempo sfavillante e squallido. Purtroppo, il tema non originale della Hollywood corrotta e il genere della caccia al serial killer affrontato in modo troppo prudente si accumulano alle aspettative deluse rispetto ai primi film della saga, rendendo questo MaXXXine una conclusione decisamente non degna di una trilogia altrimenti originale e molto ben fatta.

Un ringraziamento speciale a Lucky Red

SannyBoodmann Articoli
Esaltata e riflessiva, amante dei libri fin da piccola e dei film fin da quando ha scoperto che anche quelli da festival (ovvero, i millantati come i più impegnati) possono essere alla portata di chiunque abbia una mente aperta e uno spirito critico definibile tale. Fan dell' "accessibile a tutti" ma anche del "commentabile da pochi".

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