Sono state molte le uscite de La Nuova Carne da quando ho recensito la loro raccolta Tenebre Future, che pur non avendomi fatto una buonissima impressione aveva comunque attirato la mia attenzione sul progetto editoriale di Alessandro Pedretta e Stefano Spataro; proprio di quest’ultimo è Cyberfrejazz, romanzo di chiara ispirazione cyberpunk ma declinato in una suggestiva ambientazione italiana. In questa società l’arte – musica compresa – è stata resa illegale nel mondo reale tramite il Decreto Davis, e così chi vuole fruirne deve farlo dentro il Nido, una realtà virtuale divisa per città, di cui Dionica è considerabile la capitale. Nei sobborghi di questa città virtuale si muove Cole, avatar del sassofonista jazz Nick, costretto a recarsi a Dionica per poter continuare a suonare in qualche locale malfamato come il Mods.
L’idea di base del romanzo, seppur derivativa di un certo tipo di cyberpunk post-Gibsoniano e degli innumerevoli film sulle realtà virtuali come Matrix, Il tredicesimo piano o eXistenZ, è interessante e guadagna forza soprattutto nei momenti in cui si esplicita maggiormente l’italianità del contesto. Questo non per un orgoglio nazionale di qualsiasi sorta, quanto più per la scarsità, nel nostro Paese, di vere e proprie opere del genere (che siano letterarie, fumettistiche, cinematografiche, videoludiche), che possono probabilmente contarsi sulle dita di una mano, e che spesso – purtroppo – scelgono la via dell’internazionalismo a tutti i costi, cosa che rende l’ambientazione inevitabilmente meno interessante e soprattutto indistinguibile dai classici di genere. In questo caso, il funzionamento della realtà virtuale è davvero ingegnoso e soprattutto realistico alla luce di quello che è diventato il nostro cyberspazio, che da una rete libera e “anarchica” come l’internet dei primi anni ’90 è divenuta un sempre più sorvegliato metaverso.
La prima parte del libro (diviso dall’autore esplicitamente in due), e in particolare le prime 90 pagine (più di un terzo abbondante, essendo 251) mi hanno colpito positivamente: l’autore, scrivendo e descrivendo in prima persona la vita di Nick/Cole, riesce a trasportare il lettore in un mondo assolutamente perturbante nell’accezione Freudiana, qualcosa che allo stesso tempo risulta familiare ed estranea; un universo molto vicino alle vite dei lettori, eppure ammantato di distopia. La vita di Nick fuori e di Cole all’interno della realtà virtuale riesce ad essere così pateticamente umana da colpire nel segno, soprattutto grazie ad uno stile asciutto ma comunque mai scarno, fatto di frasi quasi mai più lunghe di due righe ma che, senza problemi, forniscono tutti i dettagli che il lettore vorrebbe sentirsi raccontare, come se fosse un commentario dello stesso protagonista.
Quando inizia la seconda parte, però, qualcosa si rompe. Il ritmo narrativo si fa molto più rapido, e da una prima parte che in 11 capitoli descrive al massimo qualche giorno, si passa a descrivere quasi settimane intere in dei singoli capitoli, rendendo la linea narrativa molto più sfilacciata e soprattutto “larger than life”. Se infatti la prima parte sembrava presagire una narrativa incentrata sul protagonista, nella seconda a farla da padrone diventano una cospirazione a livello internazionale, l’introduzione di un gruppo terroristico e l’idea di una rivoluzione che – giustamente – il nostro protagonista non vuole abbracciare, ma che sembra quasi aggiunta a posteriori nel romanzo per quanto viene presentata rapidamente e per quanto quegli stessi personaggi siano dimenticabili.
Un ulteriore problema si ha poi nella rappresentazione del personaggio di Lisa, vero e unico personaggio femminile del romanzo, in un modo che ricalca molto le problematiche riscontrate in Tenebre Future. In questo caso, Lisa è quasi una coprotagonista, ma il suo comportamento non rispecchia minimamente quello di una donna adulta, quanto più quello di un adolescente nel pieno degli ormoni – scritto volutamente senza apostrofo – o quantomeno stereotipato dalla fantasia maschile della donna d’azione dei film anni ’90, destinata alla storia romantica (e soprattutto sessuale) col protagonista, che diventa la sua ragione di vita in 5 minuti nonostante, fino a poco prima, neanche immaginasse quella possibilità.
Risulta parecchio fuori luogo anche la descrizione costante e quasi morbosa che il protagonista, costretto per risvolti di trama in un corpo diverso dal suo, fa proprio di questa situazione: tale corpo è sicuramente quello di un uomo grasso, e l’autore mette continuamente in bocca al protagonista offese verso questa sua situazione, senza che però ne vengano mai delineate delle problematiche reali. Nick si lamenta continuamente della propria mobilità, della grandezza delle proprie mani, del suo sudore continuo, con dettagli al limite del grottesco e della grassofobia gratuita, per poi finire comunque a fare scatti o correre senza problemi. Se l’idea del corpo grasso avesse portato effettivamente a qualche risvolto narrativo o intellettuale, non ci sarebbe stato nessun problema a parlarne, così come della relazione tra Lisa e Nick; se ci fosse un motivo, per lei, di divenire un’ameba ogni volta che si nomina il protagonista, pendendo dalle sue labbra nonostante l’autore tenti di renderla tosta facendola “parlare duro“, allora non ci sarebbe stato alcun problema a descrivere una relazione simile. È l’assenza di queste descrizioni che fanno sembrare la seconda parte del lavoro più svogliata e approssimativa, quando invece per buona parte il romanzo è ben curato e ben rimescolato nelle tematiche della realtà virtuale, un pregio non da poco visto quanto è inflazionato questo soggetto nella fantascienza moderna.
Cyberfreejazz è sicuramente un passo avanti nella mia esperienza con La Nuova Carne, che mi ha lasciato molto più soddisfatto e intrigato rispetto all’antologia Tenebre Future, e che mi fa rimanere incuriosito verso i nuovi lavori di Spataro e colleghi. Una maggiore attenzione su determinate tematiche gioverebbe moltissimo al progetto, e non perché su questi argomenti “non si possa dire nulla” ma perché, in questo romanzo in particolare, risultano abbozzate o gratuite senza che aggiungano qualcosa di interessante alla narrativa. Allo stesso modo, una maggiore attenzione alla linea narrativa, con la costruzione di una storia più piccola e intima come nella prima parte, avrebbe giovato a un romanzo che forse pecca un po’ di superbia e autocoscienza di quello che si vuole raccontare, tanto da far risultare a tratti pretenziosa l’intera opera. Ma è senza dubbio più apprezzabile un’opera pretenziosa e sfidante che una con i piedi per terra ma senza alcun mordente né originalità.
Un ringraziamento speciale a La Nuova Carne
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