Alien: Romulus – Un sapiente omaggio alle origini della saga

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Voto:

A scapito degli ormai numerosi e pedanti detrattori, si può affermare che l’amatissima saga di Alien ha retto bene il passare del tempo e gli svariati cambi generazionali. Se ci si sofferma esclusivamente sui prodotti cinematografici – senza dimenticare ottime prove fumettistiche e videoludiche come Aliens – Orbita Mortale e Alien: Isolation – ci si trova al cospetto di prodotti di qualità, spesso però fin troppo maltrattati o poco compresi (Alien: Covenant su tutti).

Proprio a causa di fan e sedicenti cinefili troppo severi, il pubblico in attesa del nuovo capitolo della saga, Alien: Romulus, si è diviso in due schieramenti: chi ripone fiducia in un regista dalla buona mano come Fede Álvarez (Man in the Dark) e chi – come al solito – boccia a prescindere qualsiasi opera successiva al primo grande capolavoro firmato da Ridley Scott (qui in veste di produttore insieme a Michael Pruss e Walter Hill). Personalmente ho approcciato la visione con cauto ottimismo e curiosità e mi sono dunque chiesto: un cineasta relativamente giovane e con qualche scivolone alle spalle può gestire un’enorme eredità vecchia di ben 45 anni?

alien romulus film xenomorfo

Partiamo col dire che Álvarez, a livello di sceneggiatura, gioca prevalentemente sul sicuro, probabilmente conscio di avere tra le mani un lavoro delicato e gli occhi di migliaia di appassionati addosso. Le premesse di trama dello script – scritto a quattro mani con il fedele collaboratore Rodo Sayagues (Man in the Dark) – aderiscono perfettamente ai canoni già ampiamente rodati di molte iterazioni del franchise.

È il 2142, sono passati circa 20 anni dagli eventi catastrofici del primo Alien ed è nuovamente nello spazio profondo che ha inizio quest’avventura inedita: un gruppo di giovani coloni, capitanato dalla spigliata Rain Carradine (Cailee Spaeny), è alla ricerca della tecnologia necessaria per lasciarsi alle spalle il pianeta natale. Durante il viaggio a bordo della loro nave Corbelan, i sei protagonisti si imbattono nella Renaissance, una stazione spaziale abbandonata della Weyland-Yutani dalla curiosa conformazione: è difatti divisa in due settori, Remus e Romulus, da cui il titolo del lungometraggio.

alien romulus stazione spaziale

Il luogo era adibito a ricerche scientifiche di vario genere ed è per questo che il gruppo di esploratori lo ritiene perfetto per raccogliere risorse preziose per la traversata, tra cui del combustibile per delle capsule criogeniche. Prevedibilmente, i colonizzatori non hanno idea che la mostruosità più temibile di tutto l’universo li attende in agguato. Rain e i suoi compagni di squadra sono chiamati dunque a sopravvivere con ogni mezzo. Il team è composto da:

  • Andy (David Jonsson), fratello di Rain, un sintetico creato dalla Weyland-Yutani che si rivela sin da subito una pedina fondamentale per la storia.
  • Tyler (Archie Renaux), ex fidanzato di Rain, nonché suo collega nelle miniere di Jackson’s Star, colonia mineraria dove hanno vissuto.
  • Kay (Isabela Merced), la sorella di Tyler e la più debole del gruppo poiché incinta da qualche mese.
  • Bjorn (Spike Fearn), un minatore spaccone e incosciente.
  • Navarro (Aileen Wu al suo esordio cinematografico), la pilota della Corbelan che è stata adottata dalla famiglia di Bjorn, suo fratellastro.

Insomma, per la prima volta in un film di Alien, il cast è composto da giovanissimi. Una scelta ben precisa attuata in fase di pre-produzione che ha avuto come obiettivo lo svecchiamento del franchise per consegnarlo alla contemporaneità, senza però trascurare il passato; un’evoluzione interessante senza dubbio. Curiosamente, l’idea per il suddetto cast è sopraggiunta ad Álvarez grazie a una scena tagliata di Aliens – Scontro finale: “In quella scena” – spiega il regista – “ci sono alcuni bambini corrono in mezzo agli operai della colonia. Ricordo di aver pensato a come sarebbe stato per degli adolescenti crescere in una colonia così piccola e a cosa sarebbe stato di loro una volta raggiunti i vent’anni“.

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Rain e Andy a bordo della Renaissance.

Un’intuizione che si rivela azzeccata perché non solo offre nuova linfa alla narrazione, ma si lega in maniera acuta al world-building di questo capitolo: la fratellanza è uno dei temi cardine della storia, rappresentato dalla Renaissance stessa che porta il nome dei due fratelli per antonomasia, Romolo e Remo. Inoltre, vedere dei ragazzi lottare per ottenere un’esistenza più dignitosa, mentre la Weyland-Yutani si dimostra ancora una volta una sprezzante corporazione, è un elemento che accresce l’immedesimazione.

L’avidità e l’egoismo corporativi sono portati in scena dall’unico adulto presente nella stazione spaziale: l’Ufficiale scientifico Rook, un sintetico basato sulle fattezze del compianto Ian Holm (Il Signore degli Anelli, Brazil) e interpretato da Daniel Betts (Fury). L’androide è uno degli anelli di congiunzione tra Alien: Romulus e il primo film del 1979, in quanto Holm aveva già vestito i panni del celebre Ash, agente infiltrato della Wey-Yu, imbarcato a bordo della USCSS Nostromo per assicurarsi che lo Xenomorfo venisse consegnato all’azienda, che intendeva studiarlo e utilizzarlo nelle loro divisioni per le armi biologiche. Vent’anni più tardi, Rook – perfettamente a conoscenza delle disavventure di Ellen Ripley – svolge un compito simile cercando di guadagnare la fiducia dei sei esploratori e facendosi portatore del secondo, grande tema del film: il desiderio di migliorare l’umanità e la sua evoluzione attraverso la scienza, anche se questo “upgrade” dovesse richiedere risorse assai pericolose, quasi proibite. Un richiamo palese al mito del fuoco di Prometeo (già esplorato da film come Oppenheimer di Nolan).

Come specificato, Rook, con il suo esistenzialismo contaminato da venature orrorifiche, non è l’unico componente che lega il lavoro di Fede Álvarez al resto della serie: fin dai primi minuti è chiaro che il cineasta uruguaiano ha fortemente voluto strutturare la sua opera in modo che potesse inserirsi a pennello nella mitologia già consolidata (la sua aspirazione è stata talmente intensa che, in fase di scrittura, si è affidato persino alla wiki ufficiale della saga, ovvero Xenopedia). Il risultato di tutti gli sforzi è un ibrido tra le atmosfere dei primi lungometraggi e la filosofia e l’impianto narrativo delle pellicole più recenti come Covenant e Prometheus (non è casuale la menzione di “un Grande Piano” che regola l’avvenire di ogni cosa).

alien romulus david jonsson

Certamente Alien: Romulus, nel suo essere una gigantesca miscela di tutto ciò che ben conosciamo e amiamo del franchise, può a volte mostrare il fianco e presentarsi come un prodotto abbastanza derivativo. Scendendo nel dettaglio, la prima ora (su due) adotta il mood più lento e ansiogeno del Ridley Scott del 1979 (al netto di qualche jumpscare evitabile), mentre la seconda parte è più vicina allo stile e al ritmo scoppiettanti che James Cameron ha preferito per il suo Aliens, e che il montatore Jake Roberts (Men) emula senza annoiare. Cameron ha poi collaborato a Romulus sin dalla pre-produzione offrendo consigli e suggerimenti che hanno influito sullo sviluppo dei personaggi e sulla creazione degli alieni.

Tale apporto ha influenzato sia il comparto tecnico – che verrà analizzato a breve – sia quello drammaturgico. In particolare, fa piacere notare come il sintetico Andy sia un personaggio stratificato e stuzzicante da scoprire, nonché egregiamente interpretato da un David Jonsson con il viso perfetto per il ruolo (ma lontano dalla grandezza del David 8 di Fassbender in Prometheus). Solitamente gli androidi non vengono ben visti nei vari capitoli e il giovane di Jackson’s Star non fa eccezione, dovendo scegliere tra due direttive inconciliabili: operare a vantaggio di Rain o servire gli scopi della Weyland-Yutani. Questo dilemma che si inserisce nell’atavico conflitto tra emotività e razionalità, rende le vicende credibili poiché mette l’equipaggio di Rain di fronte a un ulteriore bivio: sopravvivere o salvare i propri cari?

A proposito di sopravvivenza, a brillare è anche Cailee Spaeny (Priscilla, Civil War) nel suo essere un’eroina tutta d’un pezzo che strizza l’occhio ai fasti di Aliens, mantenendo un appeal che riporta alla mente anche Aliens: Colonial Marines. Le performance attoriali seguono poi una linea narrativa che, richiamando la tematica dell’evoluzione umana menzionata in precedenza, offre allo spettatore due prospettive filosofiche inedite: le nefaste conseguenze della colonizzazione forzata – in cui si può trovare sempre lo zampino di Cameron che ne discute ampiamente nella saga di Avatar – e l’affrontare un trauma per migliorare sé stessi, sfruttando le avversità a proprio vantaggio. Un concetto che chiama nuovamente in causa il mito di Romolo e Remo, i due gemelli che hanno guadagnato la loro forza nutrendosi del latte di una lupa dopo essere scampati alle insidie del fiume Tevere.

alien romulus cailee spaeny protagonista

L’epica romana ha dato il suo contributo anche nella costruzione dell’estetica della Renaissance: i due moduli della stazione spaziale rappresentano metaforicamente i due colossi cinematografici fra cui Alien: Romulus si fa spazio. Il modulo Remus simboleggia la tecnologia immaginata da Ridley Scott, mentre il modulo Romulus omaggia Cameron. Quindi, se dal punto di vista della sceneggiatura si mantiene una giusta semplicità, è il lato tecnico a rappresentare l’aspetto più complesso dell’intera produzione.

La volontà di un ritorno alle origini si è sostanziata in un uso massivo e concreto di effetti speciali pratici, a scapito dei VFX, utilizzati solo per abbellire e rifinire certi scorci. Ogni set, astronavi e stazione spaziale incluse, è stato costruito da zero in teatri di posa. Il rinomato scenografo Naaman Marshall (The Prestige, Il cavaliere oscuro, Bussano alla Porta) ha approcciato Romulus quasi come se fosse un film degli anni Ottanta: è palese che Scott e Cameron siano stati studiati fotogramma per fotogramma così da donare alle ambientazioni un aspetto retrofuturista davvero azzeccato nelle forme, nei colori e nella conformazione dei macchinari in uso. Pezzi di ingegneria viva, concreta e che fa venire voglia di esplorare ogni anfratto della Renaissance per schiacciare ogni pulsante e ammirarne i pannelli di controllo.

Non manca poi un citazionismo sfrenato agli interni della Nostromo, riproposti nella Corbelan tramite oggetti di scena, decorazioni e prop all’insegna della nostalgia. Una scelta di design oculata e non fine a sé stessa, dal momento che le due navi appartengono alla stessa epoca e sono state costruite dalla stessa compagnia secondo la lore del film. Álvarez e colleghi si affidano alla “vecchia maniera” anche e soprattutto riportando in scena l’immancabile (e ultrarealistico) Xenomorfo. La creatura è stata resa viva dallo studio Legacy Effects (Avatar – La via dell’acqua) attraverso un mix di CGI e animatronic; l’ottima resa è merito del talentuoso artigiano Shane Mahan (Aliens – Scontro finale, Fallout), incaricato di pagare il giusto tributo all’eredità del sommo Hans Ruedi Giger.

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Grazie al prolifico Wētā Workshop (Blade Runner 2049, Dune – Parte Due) fanno il loro ritorno anche i facehugger – questa volta più macabri del solito – mentre il celebre Alec Gillis di Amalgamated Dynamics Inc. (Starship Troopers, Alien 3, Alien vs. Predator) è stato il responsabile degli effetti dei viscidi chestbuster, forse i mostri che fanno più ribrezzo del lungometraggio (in senso positivo). Sì perché ciò che colpisce di più dell’impianto estetico generale è la particolare attenzione riservata alla resa dei materiali – specialmente la melma aliena – e ai truculenti frangenti splatter che non possono mai mancare. Come direbbe un famoso influencer toscano: “lo Xenomorfo penzola, sgocciola, è unto, schifoso!”

Corona il tutto la regia funambolica di Álvarez, che non rinuncia a inquadrature strette e sghembe per aumentare il senso di claustrofobia, e a movimenti di macchina più audaci che sfiorano rotazioni a 360 gradi nelle parti movimentate. Impossibile non citare alcune sequenze spettacolari in cui Rain e compagni sono costretti a fare i conti con la gravità ridotta nello spazio: sempre molto chiare, leggibili e ben orchestrate.

Il lavoro registico è infine supportato dalla direzione della fotografia di Galo Olivares (Gretel e Hansel) che punta tutto su tagli di luce molto contrastati e del fumo che rende ancora più pastose le immagini. Le musiche sono del grande Benjamin Wallfisch (Blade Runner 2049, Dunkirk), collaboratore di Hans Zimmer che, rispettando pienamente il suo stile, investe il pubblico con brani magniloquenti, imponenti muri sonori fatti di ottoni e droni che non rinunciano a richiami alle iconiche colonne sonore di Jerry Goldsmith e James Horner, composte rispettivamente per Alien e Aliens – Scontro finale, e ai titoli di testa di Alien realizzati da Richard Greenberg e Phil Gips. Un comparto audio così pregevole merita la visione in Dolby Atmos.

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Con Alien: Romulus il buon Fede Álvarez firma un capitolo della saga meno originale del previsto, ma che ha dalla sua una bella varietà di situazioni, qualche novità ben piazzata, una perizia tecnica da non sottovalutare e, più di ogni altra cosa, un sincero amore per il franchise. Tale affetto traspare non solo dal lungo studio fatto per omaggiare la serie tutta, ma dalla voglia di portare in sala un horror che possa dirsi tale. Un obiettivo raggiunto con qualche piccola riserva, poiché la narrazione gioca bene con la tensione, ma non terrorizza nel vero senso della parola, semmai soddisfa di più gli amanti del sangue e degli smembramenti.

In definitiva, si tratta di un capitolo che ogni fedelissimo dovrebbe recuperare in sala perché potrebbe sorprendere persino chi è rimasto ancorato ai fasti del 1979. Con tanta dedizione e altrettanta nostalgia, Álvarez può dirsi fiero della sua ultima fatica che ha sapientemente abbracciato il passato per accogliere il futuro.

“Non c’è modo di fermare la modernità nel cinema, ma è dalla combinazione tra il meglio di un tempo e il meglio di oggi che si ottiene qualcosa di nuovo” – Fede Álvarez

Un ringraziamento speciale a 20th Century Studios Italia

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Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

2 Commenti

  1. Concordo appieno con la recensione! Sono entrato in sala animato dallo speranzoso timore di ogni vero fan di Alien, e ne sono uscito assai soddisfatto. Personalmente ho trovato un po eccessivo lo sfrenato citazionismo, che a volte funziona e altre decisamente meno, ma a parte questo promosso a pieni voti. Inaspettata la piega degli eventi nella parte finale (chi ha visto il film saprà a cosa mi riferisco).

    Escludendo Prometheus e Covenant, che sono un po’ una “bestia diversa”, lo piazzo facilmente subito dopo Alien e Aliens (almeno, così a caldo 😁).

    • Grazie di cuore per il feedback! Io ho percepito il citazionismo come uno strumento per ingraziarsi anche i fan più esigenti e tutto sommato ha funzionato nell’economia del film.
      Concordo sul “finale a sorpresa”, molto stuzzicante, ma non ne ho voluto parlare nel dettaglio perché preferisco non spoilerare mai.
      Il fatto che tu voglia accodarlo ai primi due Alien vuol dire che Álvarez ha pienamente raggiunto il suo obiettivo!

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