Nel mondo del gaming moderno e contemporaneo sono pochi e sporadici i visual novel che riescono a rimanere impressi nelle menti e nei cuori dei videogiocatori, diventando dei veri cult. Volgendo lo sguardo proprio ai giorni nostri, gli esempi si contano sulle dita di una mano: Danganronpa, VA-11 Hall-A, Zero Escape, Stein; Gate Elite sono i primi che è possibile citare. Indubbiamente non è un genere che esercita la stessa fascinazione su tutti, per questo motivo la maggior parte degli sviluppatori del passato e del presente fonde i “romanzi visivi” con elementi investigativi per rendere certe opere più movimentate e stimolanti. A questa fusione, infatti, si devono i mystery game più amati da pubblico e critica; titoli che hanno conosciuto il loro splendore massimo nell’era del Nintendo DS.
La stilosissima serie di Jake Hunter, Touch Detective, la dilogia di Another Code, le due perle nascoste Hotel Dusk: Room 215 e Last Window – Il segreto di Cape West, Ghost Trick, l’immortale Professor Layton… sono molteplici le saghe che hanno fatto innamorare il sottoscritto e i giocatori affamati di puzzle e misteri. Tra queste, in coppia con il già citato Layton a fargli da amichevole rivale, c’è un’altra istituzione dei visual novel, ovvero l’antologia di Ace Attorney, firmata da Capcom. Tornata recentemente sotto i riflettori con la serie prequel The Great Ace Attorney Chronicles, sorprende nuovamente i fan di tutto il mondo con due remake tanto desiderati, raccolti in un unico pacchetto: la Ace Attorney Investigations Collection.
Le obiezioni di Miles Edgeworth terrorizzano anche l’Occidente
Ai neofiti o al pubblico meno avvezzo alle rocambolesche avventure giudiziarie di casa Capcom, i giochi Ace Attorney Investigations: Miles Edgeworth e Ace Attorney Investigations 2: Prosecutor’s Gambit non diranno proprio nulla. Sono infatti due spin-off canonici che non vedono come protagonista il carismatico avvocato difensore Phoenix Wright, bensì il suo storico avversario – e amico – Miles Edgeworth, procuratore. Benché siano capitoli secondari, il loro arrivo sulle piattaforme moderne e – soprattutto – in Occidente, è una manna dal cielo per ogni appassionato. L’operazione è simile a quanto fatto con le due trilogie rimasterizzate dedicate a Phoenix Wright e Apollo Justice; con somma gioia si può affermare che tutti i videogiochi della saga sono finalmente disponibili anche fuori dal Giappone e giocabili in lingua inglese, senza il bisogno dell’emulazione (SEGA e Like a Dragon hanno fatto scuola).
Stabiliamo un po’ di coordinate: i due racconti di Miles, nati originariamente su DS, si collocano temporalmente un mese dopo Trials and Tribulations con Phoenix Wright e sono separati tra di loro da pochi giorni di differenza (in altre parole, le vicende di Prosecutor’s Gambit hanno inizio subito dopo la conclusione del capitolo precedente). Se il primo gioco ha goduto di una distribuzione immediata in Europa e America nel 2010, lo stesso non si può dire per il secondo che, a seguito del lancio nel 2011, non ha mai lasciato il Sol Levante a causa dei costi di localizzazione troppo elevati (confermati da Janet Hsu, Localization Director, in un articolo del Dev Blog).
Prima di questo remake, un occidentale doveva ricorrere a patch non ufficiali contenenti traduzioni inglesi fan-made della versione giapponese (ai limiti della legalità e difficili da installare in mancanza delle giuste conoscenze). Un vero peccato se si pensa che proprio Prosecutor’s Gambit è, in assoluto, una delle storie preferite dai fan poiché ricca di casi caratterizzati da soluzioni ingegnose e ambientazioni intriganti.
Come riporta un messaggio all’avvio della Collection, entrambi i remake ripropongono in maniera identica e precisa gli avvenimenti originali senza cambiarli di una virgola. A evolvere radicalmente, invece, è tutto il comparto grafico e sonoro; l’offerta ludica viene poi coronata da utili miglioramenti per la quality of life e da piacevoli bonus che andremo piano piano a sviscerare.
La trama del primo titolo ha come antagonista principale il Grande Ladro Yatagarasu, apparentemente un moderno Robin Hood che, durante le prime battute del racconto, ruba dei documenti protetti da segreto giuridico dall’ufficio di Miles. Perché lo ha fatto? Chi è e cosa vuole? La sua vera identità viene ovviamente rivelata nell’ultimo caso, Turnabout Ablaze, con un grande colpo di scena ben orchestrato, quasi impossibile da prevedere e collocato ovviamente al termine di una lunghissima e spettacolare indagine su un duplice omicidio.
Ogni gioco offre 5 episodi dalla complessità crescente, divisi a loro volta in vari capitoli per creare suspence e gestire i tantissimi punti di svolta, evitando che lo scorrere degli eventi diventi troppo lungo o tedioso. Vien da sé che ogni investigazione è collegata strettamente, così come tutti i colpevoli che man mano cattureremo. I legami imbastiti sono ben più profondi di quelli che possiamo immaginare: la storia generale, volendo parlarne in modo assai superficiale per evitare spoiler, non è altro che un enorme complotto internazionale fatto di scandali corporativi, corruzione, un giro di contrabbando globale e misteriosi incidenti. Non mancano poi vari flashback che ricostruiscono importanti avvenimenti nella vita di Miles, come l’Incidente KG-8, un pezzo fondamentale del puzzle.
Tra riferimenti, parallelismi e strizzate d’occhio ai giochi precedenti, il povero Edgeworth – accompagnato dal fedele braccio destro Dick Gumshoe – viene rapito, accusato ingiustamente o persino condotto in trappole mortali. Nel pieno stile della serie, poi, i personaggi secondari e i criminali che si incontrano sono via via più buffi ed esilaranti (come la giovane ed esuberante assistente Kay Faraday). Immancabili celebri comprimari, presi direttamente dai vecchi titoli come la scienziata forense Ema Sky o la signora Wendy Oldbag. Fanno il loro ingresso anche avversari minacciosi, da battere a colpi di logica e obiezioni, come l’indimenticabile Franziska Von Karma o il borioso agente d’elite dell’Interpol Shi-Long Lang dalla Repubblica di Zheng Fa: un tirannico pallone gonfiato che parla per aforismi. Il successo di Ace Attorney negli anni è dato anche e soprattutto dalla presenza di queste figure sempre diverse e peculiari, caratterizzate in modo da non essere mai totalmente malvagie o, al contrario, eroi senza macchia.
In tutto questo calderone, il terzo episodio The Kidnapped Turnabout è l’unico che ho trovato estenuante e difficile da risolvere, non solo per la sua lunghezza ma anche per la soluzione vera e propria del mistero, troppo funambolica e astrusa (ardua da dedurre seguendo ragionamenti normali insomma). Un intricato sistema di specchi e leve degno del più fantasioso racconto di Sherlock Holmes o Detective Conan. Stuzzicante sì per la location e per l’ingarbugliato rapimento alla base di tutto che prevede di sfidare persino l’Interpol, ma sin troppo provante a livello mentale.
Il finale, invece, come da tradizione, richiede di spremere le meningi fino allo stremo e di tenere bene a mente ogni prova indiziaria con i relativi dettagli. Ciò si traduce in un livello decisamente più esteso degli altri, da affrontare indagine dopo indagine (si tratta di ben sette capitoli che possono durare anche un’ora ciascuno!). Un gioco mentale qualitativamente pregevole che, però, non tutti i giocatori potrebbero trovare esaltante, anche perché – in questo specifico epilogo – la logica è un po’ tirata per i capelli.
L’incessante lotta in nome della verità
Prosecutor’s Gambit segue sulla stessa falsariga e approfondisce ancora meglio dei concetti fondamentali per Ace Attorney. Cos’è la legge? Qual è il vero significato della parola giustizia? Fin dove può spingersi un procuratore per arrivare alla verità? Tutte queste domande vengono poste proprio da Miles, protagonista di un percorso tortuoso e ricco di evoluzioni per la sua caratterizzazione. A questo proposito, fa la sua importantissima comparsa anche Gregory Edgeworth, suo padre, una pedina che permette di scavare ancora più a fondo nell’eredità della famiglia di avvocati. Non solo: già dal secondo caso in poi accadono cose che inspessiscono l’allievo di Manfred Von Karma, inserendolo in avvenimenti che rivoluzionano persino il suo ruolo nella storia.
Non sorprende quindi l’amore che gli appassionati provano per Ace Attorney Investigations 2, a maggior ragione se si pensa che proprio qui vengono introdotti due degli avversari più interessanti in assoluto. La prima è Verity Gavèlle, giudice rappresentante del Committee for Prosecutorial Excellence, un comitato di undici membri, benedetto dalla Dea della Giustizia in persona e adibito a verificare e a garantire l’onestà dei procuratori. La donna viene affiancata da Eustace Winner, un insopportabile e infantile allievo procuratore che vorrebbe diventare il rimpiazzo del protagonista.
Al termine della prima avventura, Miles Edgeworth torna dunque a sfidare la legge investigando una serie di omicidi che, ovviamente, sono tutti legati da un filo comune: un ennesimo caso assai fumoso, noto come SS-5. Ad aiutarlo, insieme a Gumshoe e Faraday, è anche lo spumeggiante Eddie Fender (ex-assistente del padre Gregory). Collocandosi tra il dramma e la commedia, le vicende vedono, inoltre, la comparsa del glaciale sicario professionista Shelly de Killer, una vecchia conoscenza di Edgeworth.
Anche in Prosecutor’s Gambit non mancano numerose e apprezzatissime citazioni, in particolare alla letteratura gialla. The Captive Turnabout, per esempio, strizza l’occhio a due dei racconti più celebri di Sherlock Holmes, Il mastino dei Baskerville e La Lega dei Capelli Rossi.
Ispirandosi a un certo tipo di romanzi, tuttavia, la serie mette in bella mostra – a mio parere – un suo difetto storico che ormai la contraddistingue: basandosi quasi interamente sui colpi di scena e sulla spettacolarità, spesso le soluzioni dei casi – come accade con Arthur Conan Doyle – sono volutamente iperboliche e non necessariamente logiche al 100%. Il giocatore quindi si trova ogni tanto a chiedersi “e io questa cosa come diavolo avrei dovuto capirla?“. Una questione spinosa, insomma, di cui abbiamo discusso tempo fa in live su Nerdevilate, in un episodio dedicato.
Sconfiggere gli avversari con fatti, logica e… partite di scacchi
Il gameplay di Ace Attorney ha sempre goduto di una semplicità efficace e coinvolgente, ed è per questo che Investigations arricchisce e modifica la formula solo dove serve; squadra che vince, non si cambia. A differenza dei titoli con Phoenix Wright, bisogna usare la logica in modo un po’ diverso: si pone molto di più l’accento sulle fasi investigative vere e proprie che vanno condotte collegando indizi, oggetti insoliti, moventi e testimonianze a ciò che è accaduto per dedurre come sono andati davvero gli eventi. In parole semplici, il gioco chiede di connettere logicamente i fatti tra di loro come in una ragnatela fondata sul ragionamento deduttivo. Ogni connessione riuscita tra due informazioni rinvenute genera, come un domino, nuovi indizi o aggiorna radicalmente ciò che già sappiamo. I suddetti nuovi indizi, a loro volta, vanno associati ad altro tramite catene logiche o utilizzati contro i sospettati (il meccanismo è rappresentato dalla semplice equazione A + B = C).
Scrutare attentamente le scene del crimine, conversare con i testimoni, esaminare gli oggetti alla ricerca di dettagli o sangue e trovare contraddizioni tra ciò che è stato appreso e l’ambiente circostante è il DNA del gioco. Per esempio, presentare oggetti ai nostri interlocutori e confrontarsi con loro è utile a ottenere particolari inediti. Poniamo il caso che si mostri la chiave di un edificio a un personaggio; quest’ultimo potrebbe confermare che è era stata rubata da qualcuno prima che venisse rinvenuta, un dato che avvicina alla verità sul colpevole.
In parole povere, la struttura ludica compie una divisione netta tra i fatti accaduti (che si svelano collegando varie info o perquisendo) e le prove indiziarie che servono per contraddire i sospettati o i comprimari durante i classici interrogatori in contradditorio che rendono celebre la saga di Capcom. I fatti vengono utilizzati solo durante le indagini preliminari, le prove definitive durante i controinterrogatori per, appunto, incalzare gli avversari o scovare incoerenze nelle loro deposizioni. È bene sottolineare che ogni errore da parte nostra ci allontanerà dalla verità, facendoci perdere la partita e costringendoci a ricaricare un checkpoint.
Come in ogni iterazione della saga, entrambi i capitoli di Ace Attorney Investigations introducono delle meccaniche uniche: nel primo Kay Faraday – utilizzando un congegno tecnologico chiamato Little Thief – ci offre la possibilità di simulare virtualmente delle scene del crimine per scovare prove utili tramite il riesame degli eventi (una tecnica riciclata anche da videogiochi successivi come Cyberpunk 2077, Astral Chain o Batman Arkham City). Una buona trovata, ma purtroppo molto legnosa, poiché complica ulteriormente le indagini già di per sé davvero articolate.
Prosecutor’s Gambit permette invece di mettere sotto torchio i testimoni più testardi o restii a condividere ciò che sanno attraverso il minigioco Mind Chess che, come da nome, dà inizio a una partita di scacchi mentali sulla falsariga di Sherlock Holmes – Gioco di Ombre di Guy Ritchie. L’obiettivo è elaborare una tattica per bucare le difese del sospettato con domande mirate, giocando d’anticipo e facendo leva sulla sua agitazione (senza però farlo innervosire troppo). Occorre scegliere i quesiti giusti e decidere quando incalzare e quando no; insistere su dettagli ininfluenti potrebbe fare arrabbiare il teste e privarci di notizie preziose. Similmente a quanto accade in L.A. Noire, è importante, di tanto in tanto, decifrare movimenti ed espressioni facciali.
Il Mind Chess inizia sempre con Edgeworth che valuta la situazione e descrive come si comporta il suo contendente. In generale, questo esame serve a capire come trovare uno spiraglio da sfruttare. I segreti da svelare sono difesi da pezzi di scacchi neri (da due a cinque), ognuno dei quali rappresenta una fase separata della partita. L’ultimo pezzo è sempre una regina e rappresenta l’informazione fondamentale che il procuratore sta cercando di ottenere. Tra una fase e l’altra, Miles valuta la situazione per determinare di cosa parlare dopo e come potrebbe svolgersi la conversazione. È una trovata di gameplay che funziona divinamente in termini di ritmo: invece di chiacchierare banalmente con le persone e leggere cosa hanno da dire, ci viene chiesto di organizzare strategie e controffensive.
Dalla pixel art del Nintendo DS all’alta definizione
Se a livello di scrittura e di gioco è rimasto tutto identico, lo stesso non si può dire del comparto tecnico e artistico. La ciccia di questa coppia di remake sta proprio nel restyling totale di tutto ciò che vediamo a schermo: dal design dei personaggi, passando per ambientazioni, animazioni e HUD. Prima di iniziare una nuova partita, il menu chiede quale art style utilizzare per gli sprite dei protagonisti, proposti in Full HD o in Pixel Art. Gli oltre 100 modelli presentano uno stile chibi e sono stati ridisegnati a mano da Tatsuro Iwamoto in persona, character designer originale di Ace Attorney Investigations. Questa è l’aggiunta che, personalmente, spicca di più poiché l’ottima fattura delle 1200 animazioni nuove di pacca esprime ancora meglio le particolarità di ogni personaggio.
Lo stesso aggiornamento è stato riservato ai luoghi da esplorare: rifatti da cima a fondo curando ogni minimo dettaglio e donando al tutto palette brillanti e colorate nel pieno rispetto dei titoli originali, insieme a vibranti effetti di illuminazione. Ciò si nota specialmente in casi con location piene di oggetti e zone da esaminare come Turnabout Airlines. Sono stati aggiunti così tanti dettagli grafici ed estetici – conditi da altrettanti easter egg – che i livelli risultano ancora più belli e ricchi di particolari che i pixel del DS non potevano far notare. Se siete curiosi di sapere come è stato portato avanti questo lavoro enorme, sul sito ufficiale della collection è presente una lunga analisi del direttore artistisco Hiromichi Iwasaki, una lettera d’amore per il franchise.
A coronare questo tripudio artistico possono essere solo le splendide musiche riarrangiate con un’orchestra per l’occasione. Il risultato è una soundtrack incredibile che emoziona sin dalla prima nota, specialmente durante i controinterrogatori quando si urla “Obiezione!“. Se persino il game director Satoru Sakai ammette di ascoltarla ogni giorno in loop, vuol dire che il livello di qualità raggiunto supera l’eccellenza.
Per gioire di tutto questo ben di dio, alla Collection è stata aggiunta la sezione Galleria, dove consultare bozzetti inediti, illustrazioni e documentazione dello sviluppo risalente al 2009 e al 2011. A questi bonus si affiancano un compendio degli sprite – simile a quelli che si possono trovare nei remake di Resident Evil – e un jukebox dove assaporare la colonna sonora composta da più di 106 tracce. Cosa volete di più?
Chiudono il cerchio dei miglioramenti alla quality of life, in particolare: un selettore dei capitoli per affrontare ogni caso da zero o partendo dalle scene che più ci piacciono; la “Story Mode“, ovvero una modalità facilitata che disabilita gli achievement e risolve automaticamente ogni puzzle e interrogatorio (per chi desidera seguire solo le vicende senza fatica) e, infine, un utilissimo registro dei dialoghi per rileggerli in caso avessimo perso qualche battuta importante.
Ace Attorney Investigations Collection è il miglior regalo che si potesse fare ai fan della saga, che da troppo tempo aspettavano di giocare come si deve una coppia di titoli ingiustamente sottovalutati. Un lavoro completo, ricco, fatto con consapevolezza e anima che conferma ancora una volta la perizia di Capcom quando si tratta di maneggiare le IP più amate. La progressiva apertura del Giappone verso il mercato europeo e americano è un buon segno che potrebbe spianare la strada a iterazioni inedite di Ace Attorney.
A seguito di tutti questi remake per il pubblico più giovane, dell’annuncio di un nuovo Professor Layton per Nintendo Switch e dell’arrivo a sorpresa del quarto episodio di Famicom Detective Club, gli appassionati chiedono a gran voce il ritorno dell’avvocato e del procuratore più famosi dei videogiochi. Il terreno è fertile, vedremo forse la nascita di una seconda epoca d’oro per il genere dei mystery game? La speranza è l’ultima a morire. Nell’attesa, dare una rispolverata ad alcuni dei suoi capisaldi non è mai stato più appagante. Grazie Capcom.
Un ringraziamento speciale a Plaion
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