La filosofia di Blame! – L’infinito carcere della mente

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“La Bellezza della Casa è incommensurabile; la sua gentilezza infinita.”

Un edificio protegge e imprigiona allo stesso tempo. Siamo costantemente alla ricerca di un luogo da chiamare Casa, ma contemporaneamente bramiamo la fuga repentina dalla stretta morsa di quattro mura invalicabili. Siamo realizzati quando possediamo uno spazio, siamo prigionieri quando è lo spazio a possedere noi.

L’idea di un infinito spazio chiuso, per quanto appunto infinito, ci contamina ugualmente di una claustrofobia asfissiante. Siamo vittime del paradosso. La nostra mente brama la protezione dagli elementi esterni ed estranei, ma non tollera affatto l’idea terribile dell’impossibilità di rinunciare a tale protezione. La sicurezza deriva solamente dalla nostra libera affiliazione ad essa, invece quando la clausura viene imposta ci sentiamo in pericolo e spaventati.

La prigione del corpo

All’opposto rispetto all’ideale romantico: non c’è niente di più sublime di un infinito spazio chiuso. Nella raccolta di tavole Carceri d’invenzione, realizzate tra il 1745-1750 da Giovanni Battista Piranesi, si percepisce proprio questa sensazione. L’artista ci costringe allo scontro con l’impossibilità analitica e il terrore provocato dall’architettura infinita.

carceri d'invenzione piranesi
“Carceri D’Invenzione II – VI” G.B. Piranesi

Imponenti macchinari, scale impossibili e ponti che non collegano alcuna sponda. L’uomo è soltanto una piccola e impercettibile macchia in un paesaggio artificiale e antropico, ma pur sempre innaturalmente sublime rispetto al suo stesso creatore.

L’apparente prospettiva folle e la caoticità degli elementi nello scenario arrivano prima al nostro stomaco e solo dopo al cervello. Bisogna mettere da parte l’istinto della fuga e della repulsione per ammirare l’ingegno della mente creatrice di un tale spazio, così finemente e architettonicamente concepito.

carceri d'invenzione piranesi
“Carceri D’Invenzione XIV” G.B. Piranesi

Il perturbante scaturito da questi luoghi infiniti è sintomatico del nostro attaccamento al limite, siamo tranquillizzati da ciò che il nostro occhio può scorgere e da tutto quello che la nostra mente può comprendere nella sua interezza. Con l’arte di Piranesi veniamo gettati davanti a “La negazione del tempo, lo sfalsamento dello spazio, la levitazione suggerita, l’ebbrezza dell’impossibile raggiunto o superato“, come sostenne la scrittrice Marguerite Yourcenar.

Siamo lontani dalle incomprensibili geometrie non-euclidee di lovecraftiana memoria, le pareti e le strutture di Piranesi sono perfettamente comprensibili e allo stesso tempo terribilmente spiazzanti. Analogamente siamo distanti dall’algoritmico incatenamento di strutture geometriche perfette del Panopticon di Jeremy Bentham o delle scale di Escher che, pur ispirandosi parzialmente all’architetto della Roma impossibile, interpretano e traducono l’orrore scaturito dal sublime architettonico in un raffinato gioco prospettico.

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“Vicolo Coperto in Atrani”, “Relatività” M.C. Escher

La prigione del metallo

Blame! è l’iconico manga realizzato dall’architetto Tsutomu Nihei che, prendendo il testimone proprio da Piranesi, riesce finalmente a rappresentare concretamente il sublime scaturito dagli infiniti spazi chiusi di una struttura impossibile.

Nel mondo di Blame!, una non meglio identificata pandemia ha permesso ai robot di rivoltarsi agli umani, ma pur essendo liberi dai loro padroni sono rimasti relegati ai loro compiti, impossibilitati a una formale emancipazione. I robot costruttori, il cui compito era quello di ottenere risorse per poi utilizzarle nell’espansione della città, ormai sono perennemente al lavoro e hanno continuato per millenni la costruzione della megalopoli dove si svolgono le vicende narrate, estesa oramai per oltre un miliardo e mezzo di chilometri e comunque in continua e perenne espansione.

La trama e i personaggi di Blame! sono sicuramente di secondaria importanza: la vicenda si snoda tutta intorno agli enormi e intricati livelli che compongono la Megastruttura. Milioni di chilometri dividono le varie tribù umane che dopo secoli (se non addirittura millenni) hanno subito metamorfosi evolutive differenti, diventando ormai degli esseri che ricordano solo vagamente la forma originaria della nostra specie.

“Blame!” Tsutomu Nihei

Seguiamo i passi di Killy, un individuo silenzioso e solitario che possiede una pistola capace di trapassare qualsiasi tipo di ostacolo. Dotato di una longevità estrema, l’uomo viaggia da una parte all’altra della struttura alla ricerca di un essere umano dotato di un particolare gene per accedere alla Net Sphere, il centro di comando che permette di controllare i robot.

Killy e tutti gli altri comprimari non sono altro, proprio come i personaggi nelle acqueforti di Piranesi, che piccoli puntini di inchiostro rispetto all’immensità dei paesaggi che attraversano. Infinite stanze, scale lunghissime, ponti sospesi, tutto solo per passare da un livello della Megastruttura all’altro. Il concetto di tempo nel manga di Nihei è completamente deformato, e implicitamente il lettore coglie che anche tra una tavola e l’altra potrebbero essere passati mesi, se non anni di cammino.

“Blame!” Tsutomu Nihei

Killy procede stoicamente in un inferno cyberpunk di metallo e circuiti, tutt’intorno a lui ci sono solo desolazione e costruzioni infinite. Nonostante le numerose splash page e la vastità dei luoghi rappresentati è impossibile non avvertire un continuo senso di claustrofobia. I personaggi si muovono liberamente, ma sono perennemente in uno spazio chiuso, infinitamente grande, ma pur sempre con quattro pareti a tenerli prigionieri.

Il mondo di Blame! è un’enorme prigione che non dà possibilità di fuga, nemmeno concettualmente. Non esiste niente al di fuori della Megastruttura, e anche nel caso in cui gli umani riuscissero a riacquisire il controllo dei robot, non potranno fare altro che fermarne la continua espansione, niente di più.

La prigione della mente

Un’ulteriore ispirazione per Nihei è l’artista Hans Ruedi Giger (ideatore del design di Alien, per intenderci), in modo particolare la serie di illustrazioni Shaft, che ricordano chiaramente le atmosfere del manga. Tuttavia risulta difficile ignorare che, mentre il pittore svizzero va considerato a ragion veduta il padre di una certa estetica biopunk, Nihei è interessato unicamente al rapporto che sussiste tra l’uomo e l’architettura. Il mangaka soffre di un’evidente fascinazione per la megalofobia, e solo parzialmente è interessato alla fusione ontologica e ideologica tra ciò che è antropomorfo e ciò che è macchina.

Seppur in linea teorica Blame! venga descritto ed etichettato come un prodotto fantascientifico cyberpunk, a causa delle sue ambientazioni rientra appieno in una tipologia particolare di horror. Gli enormi spazi vuoti, la desolazioni di enormi città disabitate o la dimensione di una Megastruttura che non ha alcun fine se non la costruzione in sé, producono nel lettore un senso di estraniamento.

Shaft I-II-V H.R. Giger
“Shaft I-II-V” H.R. Giger

Potrebbe essere associato a quell’estetica horror liminale che tanto appassiona il web. I luoghi di Blame! sono così familiari e allo stesso tempo inconcepibilmente estranei, si intravede che la matrice originaria delle costruzioni è tipicamente umana, ma dopo millenni di umano non resta più nulla. Tutto è deformato dal tempo e dall’interpretazione robotica della cultura umana, ormai profondamente mutata. Questa grandezza e questa infinità non appartengono alla nostra esistenza, che invece è caratterizzata e impregnata dalla finitudine e dal limite. Il mondo di Blame! è più vasto del nostro, eppure è tremendamente freddo e claustrofobico.

In Blame! gli umani sono diventati vittime di loro stessi, delle loro creazioni, della loro tecnologia e delle loro architetture. La smania di creare un rifugio sicuro, costruire mura più spesse, ha portato infine all’impossibilità di fuggire dalla prigione che si sono costruiti da soli. Sono al sicuro dal mondo esterno, dato che questo non esiste più, ma prigionieri del pericolo rimasto chiuso dentro con loro.

TheAGE98 Articoli
Ho sempre avuto la mania di recensire tutto quello che leggo o a cui gioco consigliando (o costringendo) tutti i miei amici e conoscenti ad avvicinarsi a quella determinata opera.

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