Vivendo in tempi in cui l’intermedialità nel campo dell’intrattenimento sta soppiantando definitivamente la crossmedialità, e le aziende cercano di cristallizzare nelle menti degli appassionati il loro brand attraverso uno storytelling universale che abbracci e renda coerenti tra loro stili, codici e linguaggi differenti, è ovvio che un qualsiasi annuncio si trasformi in un cerchio di diffidenza. Sebbene i risultati possano essere economicamente gratificanti, il rischio di espandersi oltre la misura può provocare, e lo ha già fatto molte volte, tonfi clamorosi.
Un sincero terrore mi si dipinse in volto al reveal di Indiana Jones e l’antico cerchio, e mantenni un certo grado di controllo solo perché sotto ai titoli roboanti c’era la firma di Machine Games. Dopo un anno di comunicazione dell’opera qualitativamente altalenante, stringere tra le mani cappello e frusta e vedere come la talentuosa casa di sviluppo abbia fuso egregiamente linguaggio cinematografico e videoludico ha dissolto quel cerchio, sostituendolo con uno ben più antico composto in egual misura da amore per antiche rovine inesplorate e quello per il videogioco. Indiana Jones e l’antico cerchio rappresenta una traduzione coerente e centrata, una lettera d’amore per i fan dell’archeologo più famoso del mondo scritta dalla sapiente penna di Machine Games che ha immerso nel calamaio non solo l’anima di Indy, ma anche la sua.
Come al cinema?
Con una storia che parte seguendo pedissequamente i film e solo in un secondo momento si distacca per assumere dei connotati unici, si arriva ai titoli di coda proprio come si fece al tempo al cinema: leggermente storditi ma felici di aver vissuto un’avventura indimenticabile nei quattro angoli del globo, il tutto sorretto dalla colonna sonora maestosa, sequenze movimentate e dal coraggio di un protagonista che non si prende mai troppo sul serio.
Dal punto di vista della scrittura, senza fare spoiler, ci sono tutti gli ingredienti che ci si aspetterebbe di trovare, codificati e coniugati alla perfezione pad alla mano. Le scene di intermezzo costituiscono a mio avviso un vertice al punto che le sequenze potrebbero far parte tranquillamente di un film della trilogia originale per taglio e dialoghi. Tutto è stato adattato con cura e dovizia di particolari, aggiungendo una spruzzata di novità di tanto in tanto. Non si devia mai dalla strada maestra, e non c’è bisogno, essendo anche il gioco costruito intorno a questa potente licenza così coerente che non solo gli si cuce addosso senza alcuna forzatura, ma anzi ne sottende e amplifica la magia con tale naturalezza da farla sembrare quasi un’operazione facile.
Scazzottate e tombe segrete
Indiana Jones è un gioco di avventura, molto prima di qualsiasi altra cosa. Gli elementi action, ruolistici e più in generale di progressione videoludica convergono volutamente nell’esplorazione degli ambienti, condizione fondamentale per tradurre quel senso di scoperta che altrimenti non avrebbe trovato respiro in architetture più lineari. L’opera si snoda infatti attraverso varie macro-zone, microcosmi ludici in cui anche il mero collezionabile diventa sfida, ed è cruciale agire in maniera stealth ricorrendo alle mani il meno possibile e ancora meno all’uso delle bocche da fuoco. Si possono trovare sparsi in giro oggetti che possono essere usati come strumenti d’offesa, ad esempio padelle e scope, ma tutti hanno una durabilità limitata e costringono a cambiare approccio di frequente.
L’esplorazione è sempre stimolante, merito di un level design che soprattutto nella prima zona è sapientemente amalgamato con l’ambiente che deve rappresentare, e gironzolando si possono trovare potenziamenti alle abilità, segreti da decifrare e missioni secondarie, che anche se ridotte di numero approfondiscono temi toccati dalla main-quest. Esiste secondo me una leggera flessione qualitativa nell’esperienza dei luoghi open-map andando avanti, ed è squisitamente ludica, mai scenica o che coinvolga i punti di interesse: se nella prima zona ho sentito delle vibes alla Dishonored per possibilità di approcci (pur senza minimamente toccare le sue vette, e non credo intendesse farlo) procedendo ho riscontrato una struttura dei livelli più scolastica, forse complice la struttura ludica che si reitera di zona in zona o forse per il vero problema di Indiana Jones e l’antico cerchio; l’IA dei nemici.
Le ingenuità di un’incredibile avventura
Se all’inizio si procede più a tentoni, studiando la situazione, una volta che è si è preso le misure del sistema di gioco ci si rende presto conto che alcune accortezze sono del tutto inutili: in un’occasione mi è capitato di rompere il muro con una mazza a due mani e un nemico, che era seduto a due metri di distanza, si è semplicemente insospettito del rumore per poi rimettersi a riposo senza battere ciglio. Potrei raccontare tonnellate di episodi simili, e casi come questo aumentano a dismisura quando gli spazi del mondo di gioco si fanno più estesi. Chiaramente l’economia di gioco non si basa su queste forzature, e ogni opera va letta il più possibile col senso che gli viene impresso, per questo non critico un sistema action meno rifinito ma mi sarei aspettato qualcosa in più dal punto di vista delle routine comportamentali sia dell’IA nemica che amica.
Fortunatamente è una problematica che non tocca in alcun modo la storia principale, sempre superba nel raccontare Indiana Jones attraverso il linguaggio del videogioco, più in particolare quello dei puzzle e dei rompicapi. Sebbene nessuno di questi costringa a strizzarsi il cervello, la loro risoluzione riesce nel delicato compito di soddisfare il giocatore, che dopo una intuizione corretta non vede l’ora di scoprire cosa si celi dietro la porta che si sta aprendo lentamente. Discorso analogo per i puzzle del mondo di gioco, in cui l’impegno richiesto è leggermente superiore ma sono del tutto facoltativi, dotando l’opera di un certo tipo di stratificazione che tenderà a far contenti il maggior numero possibile di utenti.
Mosso dal versatile id Tech, il mondo di gioco creato da Machine Games e Lucasfilm Games appare vivido e pulito su Xbox Series X, dove scendendo solo raramente sotto la soglia dei 60 fps restituisce panorami meravigliosi e variegati, pur senza brillare per conta poligonale. L’unico appunto riguarda le animazioni facciali, decisamente sottotono eppure fondanti in un’opera dal taglio cinematografico come questa.
Indiana Jones e l’antico Cerchio riesce dove molti altri hanno fallito, donando un forte spessore videoludico a una traduzione sublime del linguaggio cinematografico. La ripresa fedele di situazioni, temi e tono stilistico che abbiamo imparato ad amare al cinema sono intrecciati a un game design che ha compreso l’essenza di Indiana Jones e la fa sua grazie a uno studio di sviluppo che già prima di questo titolo avrebbe potuto insegnare all’università, semmai ci fosse stato un corso su dialoghi sopra le righe e nazisti. Menzione d’onore per l’uso della prima persona che, con buona pace di chi vorrebbe la creazione artistica ancorata a stilemi ben precisi, è efficace nel donare immersività al giocatore, mai stato così protagonista delle avventure del Professor Henry Jones.
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