È inutile negarlo: Ubisoft attualmente è una compagnia in pieno tracollo, economico e artistico. L’assenza sistemica di idee fresche e originali, unite a pessime politiche aziendali sono due dei fattori che hanno trasformato uno degli studi più apprezzati e fiorenti dell’industria videoludica nell’ombra di sé stesso. Il cammino sul viale del tramonto perdura già da diversi anni e si tratta di un’involuzione che noi della redazione di Nerdevil – nel nostro piccolo – abbiamo tentato di analizzare lo scorso ottobre. Il tempo passa, ma la situazione pare solo peggiorare: è per questo che l’azienda sta correndo ai ripari in tutti i modi possibili, raschiando il fondo del barile e spremendo quelle poche IP ancora fruttifere che godono dell’affetto dei giocatori.
È il caso di Watch Dogs, breve saga di cui ho amato il primo capitolo – sebbene fortemente castrato dallo sviluppo – e giocato con vivo interesse il secondo. Purtroppo non posso dire lo stesso rapportandomi a Watch Dogs: Legion, terza iterazione per me poco incisiva, annacquata e deficitaria di una direzione artistica di livello (problemi oggigiorno riscontrabili in altre produzioni targate Ubisoft). Proprio Legion – accolto tiepidamente dai fan – ha infatti segnato il crollo della serie, sparita dai radar dopo il 2020.
Il 2022 – novembre 2024 per noi italiani – ha visto un timido ritorno sulle scene di Watch Dogs, ma in forma diversa, con un manga spin-off ambientato a Tokyo, scritto da Seiichi Shirato e illustrato da Syuhey Kamo. Lo studio francese non è nuovo a esperimenti del genere, basti pensare semplicemente a tutti i prodotti collaterali dedicati ad Assassin’s Creed che spaziano dai romanzi alle graphic novel, passando per i webtoon. Questo manga riesce a riaccendere l’interesse per Watch Dogs o è solo l’ennesimo tentativo di racimolare un minimo di notorietà e denaro?
Le premesse di Watch Dogs: Tokyo, manga legato a doppio filo con il primo capitolo della saga, sono le seguenti: il successo del ctOS implementato per la prima volta a Chicago nel 2011 ha convinto la Blume Corporation – creatrice del sistema operativo nonché antagonista principale – a fondare un distaccamento giapponese. A Tokyo nasce dunque il J-ctOS, un’infrastruttura informatica atta al controllo capillare dei servizi cittadini e della popolazione, operazione che viene svolta tramite la raccolta e l’immagazzinamento di centinaia di migliaia di dati personali (abitudini, acquisti online, conversazioni, legami di parentela…).
Come viene raccontato anche nei videogiochi, lo scopo del ctOS vorrebbe essere nobile: il suo enorme database e il potente algoritmo lo rendono uno strumento di previsione della criminalità adottato dalle forze dell’ordine per sveltire le indagini e – nel caso del Giappone – per arginare le attività della yakuza. Purtroppo il progetto si rivela ben presto virtuoso solo sulla carta. La gestione dei dati sensibili dei cittadini non segue regole definite e viola in tutto e per tutto la tutela della privacy, esponendo le persone a nuovi rischi, tra cui l’operato dei Fixer: criminali informatici che rivestono il ruolo di killer su commissione.
In questo status quo a dir poco bollente si inserisce il protagonista Goda, un giovane ispettore al servizio del Dipartimento Anticrimine Organizzato della Questura di Tokyo che crede fermamente nella giustizia. Dopo aver messo in discussione le indagini svolte per la risoluzione di un insolito omicidio, decide di investigare da solo, scoprendo una verità scottante: il J-ctOS viene sfruttato dal governo con fini propagandistici per manipolare i bollettini elettorali e, soprattutto, il dipartimento di polizia stesso. Poco prima di essere messo a tacere, Goda incontra SSB, un membro del Tyo DedSec, gruppo di hacktivisti che si oppone alla Blume Japan. La giovane hacker offre all’ispettore la possibilità di abbandonare la sua vita da poliziotto e di unirsi a una “Guerra Fredda informatica” per riconquistare la sua libertà e ripulire la metropoli dal controllo del ctOS.
Ciò che salta subito all’occhio sfogliando le pagine è lo stile moderno e giovanile del manga che già da tempo contraddistingue anche il resto delle produzioni Ubisoft, linea editoriale – a onor del vero – più tendente al cringe che al vero coinvolgimento emotivo. Indubbiamente è l’estetica a lasciar trasparire quanto detto: l’impostazione delle tavole, spesso divise in molteplici vignette oblique e irregolari, mira a dare dinamismo alle scene che, tuttavia, vengono scandite senza particolare inventiva. Le sequenze d’azione vedono l’alternanza di primi piani, dettagli e coreografie sempre leggibili, ma manchevoli dei guizzi intriganti che – per esempio – è possibile ritrovare in opere affini come Sakamoto Days.
Un inseguimento in auto che chiude le vicende di questo primo volume è, tutto sommato, il momento più elettrizzante della storia: canonico per costruzione, ma ritmato ed entusiasmante siccome riprende le stesse meccaniche dei videogiochi. Peccato per il lavoro non sempre all’altezza di Syuhey Kamo, illustratore che fa un uso fin troppo generoso di retini e soprattutto di toni scuri, ombreggiature e campiture nere. Dosi così massicce di inchiostro appesantiscono i disegni e, paradossalmente, appiattiscono le immagini riducendone la profondità: un effetto che penalizza le figure umane, spesso indistinguibili dagli sfondi. In questo senso, lo svolgersi degli eventi in situazioni prevalentemente notturne non aiuta.
Alti e bassi anche sul fronte della narrazione, che affonda le radici in generi rodati fondendo spionaggio, thriller e dramma poliziesco. Una scelta stimolante, ma – almeno in questa prima uscita – mai audace: ancora una volta Ubisoft gioca sul sicuro; aggiungere qui e là elementi “esotici” come la lotta alla yakuza – vista l’ambientazione nipponica – non basta. Nello specifico, Goda non è altro che la controparte asiatica del ben più celebre Aiden Pearce, protagonista del Watch Dogs originale. Molto somigliante nei tratti psicologici e nell’aspetto, l’ex poliziotto si dimostra un agente meticoloso, testardo e gelido, nonché dubbioso sull’impiego dell’intelligenza artificiale per la sorveglianza dei civili.
Lunghi flashback che compongono la maggior parte del racconto illustrano l’operato dell’ispettore prima di entrare a far parte dei Tyo DedSec. Sempre affiancato dal sergente Motobe, il talentuoso Goda agisce per conto del governo, chiedendosi se il J-ctOS prevenga davvero il crimine o se il suo algoritmo sia solo una complessa rete che risponde a regole arbitrarie. D’altronde, chi controlla i flussi di informazioni controlla il popolo.
Proprio quando questi dubbi si rivelano fondati entra in scena la coprotagonista SSB, spalla decisamente più esuberante che, però, si rivela presto bidimensionale e dal background scarsamente approfondito (a differenza del Wrench di Watch Dogs 2 che potremmo definire la sua versione maschile). La calma quasi meditativa del personaggio principale entra in netto contrasto con la violenza caotica della sua nuova amica hacker, di bella presenza e (guarda caso) pronta ad assumere il ruolo di waifu avvenente come già accaduto con Clara Lille, compagna di Aiden Pearce.
Se da un lato la chimica tra i due eroi funziona proprio perché ricca di divergenze, lo stesso non si può dire per il modo in cui vengono affrontati i temi cardine della storia. Tra governi corrotti, abusi di algoritmi e intelligenza artificiale invasiva – questioni più che mai attuali al giorno d’oggi – è lecito aspettarsi una certa maturità nel discuterne e invece il tutto viene introdotto e trattato con dialoghi semplicistici, mordi e fuggi. Si cerca di sviscerare i significati di verità e giustizia, ma il risultato finale è a tratti bambinesco. Battute come “Non so dirti che cos’è la giustizia. Però, finché siamo vivi, dobbiamo portare avanti ciò che ognuno di noi ritiene giusto” sono banali e non accendono riflessioni di rilievo. Certo, Watch Dogs: Tokyo è e rimane un manga d’intrattenimento, ma chiedere qualcosa in più di frasi fatte che sembrano uscite direttamente da un reel motivazionale di TikTok non mi pare fuori luogo.
Si spera dunque che i prossimi volumi della serie possano limare i punti deboli e inspessire i punti di forza analizzati finora. Il fumetto ha bisogno di svilupparsi molto di più: questa manciata di capitoli introduttivi hanno gettato le basi per uno spin-off interessante, ora manca la ciccia tra colpi di scena, frangenti action e psicologia dei personaggi. Se non si deciderà a ingranare, rimarrà un prodotto adatto ai neofiti della saga e agli appassionati più sfegatati, nulla più. Chi cerca un manga di alta levatura dovrebbe orientarsi su altro, e dato che stiamo parlando del catalogo Star Comics consiglio caldamente Sanctuary di Sho Fumimura e Ryōichi Ikegami, da cui – probabilmente – è stata ripresa molto alla lontana l’ossatura della trama per questa iterazione orientale di Watch Dogs.
Se volessi concludere questa recensione con del sano cinismo, potrei dire che Watch Dogs: Tokyo non è altro che una pigra manovra di marketing di una Ubisoft alle strette, uno studio nel panico che ricorre a tutte le sue (poche) cartucce pur di dare qualcosa in pasto al pubblico, servendo tuttavia minestre riscaldate. La penuria di idee è fortissima e ogni critica è giustificata, ma il mio affetto residuo per il publisher francese e per alcune delle sue più celebri creazioni mi porta – forse stupidamente – a porre fiducia in questo piccolo progetto. In ogni caso, è un bene ricordare che, in questi casi disperati, se non ci si aspetta nulla non si rimarrà delusi.
Un ringraziamento speciale a Star Comics
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