
Bong Joon-ho non è sicuramente un regista che insegue le mode del momento, tant’è che abbiamo dovuto aspettare quasi 6 anni dal premiatissimo Parasite (vincitore sia della Palma d’Oro a Cannes 72 che di 4 Premi Oscar) prima di poter assistere alla sua ultima fatica. Questo suo terzo film “internazionale”, dopo Snowpiercer (2013) e Okja (2017), è liberamente tratto dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton, uscito in America nel 2022. Il regista aveva iniziato a scrivere la sceneggiatura già nel 2021 basandosi su una bozza del libro (visto che se n’era già assicurati i diritti), mentre la produzione vera e propria è iniziata l’anno seguente. Alla fine, dell’opera di Ashton qui è stata mantenuta intatta solo la premessa.
Nel futuro, il magnate della tecnologia Kenneth Marshall (Mark Ruffalo) sta iniziando i preparativi per lasciare la Terra e iniziare la colonizzazione del pianeta Nilfheim. Il protagonista Mickey Barnes (Robert Pattinson), invischiato in alcuni misfatti a causa dell’amico Timo (Steven Yeun), si arruola come “sacrificabile” nella spedizione di Marshall per poter abbandonare la Terra (e i suoi guai), senza però sapere a cosa andrà incontro.
Per essere un sacrificabile, infatti, Mickey viene sottoposto ad una serie di test, durante i quali il suo corpo e la sua coscienza vengono scansionati e salvati su un fantascientifico hard disk, così in caso di morte tutto il suo organismo potrà essere riprodotto da una specie di enorme stampante 3D, con tanto di backup della sua memoria. Questo perché il suo lavoro consisterà essenzialmente nel mettersi a rischio, sia durante il viaggio verso Nilfheim che durante la vera e propria colonizzazione, eseguendo i lavori più pericolosi e arrivando addirittura a fare la cavia da laboratorio. Il film inizia proprio con la diciassettesima copia di Mickey, già sul pianeta alieno, che racconta come sia arrivato fino a quel punto.
La prima mezz’ora del film funge da prologo ed è un susseguirsi di salti temporali con la voce narrante di Mickey 17 che, ironicamente, non solo racconta le sue disavventure ma presenta anche un po’ di “contesto” del film, parlando degli esperimenti finanziati da Marshall, della vita sulla nave coloniale durante il viaggio di 4 anni verso Nilfheim, e della sua relazione con Nasha (Naomi Ackie). Il tutto termina simbolicamente proprio con il title drop, andando a sancire l’inizio vero e proprio della storia, quando la mancata morte di Mickey 17 fa sì che venga comunque stampato Mickey 18, che ne diviene così un multiplo e non semplicemente un rimpiazzo.
La nota interessante dei multipli, già accennata nel prologo da Nasha, è la differenza di personalità tra le varie riproduzioni di Mickey. Se 17 è molto timido, accomodante e dalla voce stridula, 18 è al contrario molto più estremista, intraprendente e spaccone, caratteristiche che si riflettono anche in una voce più profonda. L’espediente, che sicuramente permette a Pattinson di dare agli spettatori un’ennesima prova istrionica della sua bravura, è in realtà il motore portante del film.
Tutte le identità di Mickey, comprese queste ultime due, sono “sacrificabili” e temporanee, e riflettono perfettamente quelle maschere digitali che si creano nell’internet dei social network, in cui singole persone detengono multipli account (di differenti piattaforme, ma spesso anche della stessa) grazie ai quali possono comportarsi in modo diverso, ed essere quindi persone completamente nuove agli occhi degli altri.
Anche in questo film Bong Joon-ho trova il modo di inserire la sua tagliente satira politica, che grazie a una patina umoristica può essere più esplicita del solito senza però risultare stucchevole o costruita, e che va a colpire direttamente quegli Stati Uniti ormai totalmente soggiogati dal potere dei tecno-oligarchi come Elon Musk (ovvia ispirazione per il personaggio interpretato da Mark Ruffalo). Nonostante questa satira verta giustamente su critiche ormai consolidate dal regista, ciò che rende interessante il punto di vista di Mickey 17 è come abbia potuto predire – se si pensa che è stato girato nel 2022 – sia la deriva più nazista di Musk (Marshall ha delle espressioni facciali molto simili a quelle di Mussolini e verso la fine del film ne assumerà anche alcune pose), sia l’attentato a Trump, con una scena terribilmente simile a quella accaduta nella realtà.
Il discorso più interessante e serio però è quello che riguarda l’agentività (umana e non) dei protagonisti: sia Mickey che Marshall hanno, nel presente e nel passato, due bottoni da premere, a cui attribuiscono entrambi un grande valore (per il primo quello di un trauma, per il secondo il potere sugli altri) ma di cui non conoscono l’effettivo funzionamento. Non sanno se premerli avrà davvero effetto sul mondo che li circonda, ma questa impressione di poterlo fare è ciò che li rende loro stessi, parte integrante della propria personalità. Non è un caso che infatti Mickey 18 veda il suo trauma in modo completamente diverso da quello di Mickey 17, perché è come se il film volesse stabilire che è la soggettività che plasma la realtà. Persino la storyline di Timo è pervasa dallo spettro di una ritorsione, a causa di un’azione compiuta ma rimasta “in stallo”.
Se questo non bastasse, viene messa in discussione anche l’agentività dei Creepers, le creature che popolano Nilfheim, che in stile Starship Troopers – più di una semplice ispirazione per il film – vengono sottovalutate e propagandate agli uomini della nave coloniale come insetti senza cervello, ma sarà chiaro che questa descrizione denigratoria gli è stata affibbiata solamente per giustificare la colonizzazione. Togliere l’agentività – e quindi quella che per noi è l’umanità – al nemico è una tattica efficacissima per rendere impossibile empatizzare con lui, e Bong Joon-ho sembra saperlo benissimo.
Un’ennesima tematica che va ad aggiungersi a queste, sempre conseguente al discorso di soggettività che plasma la realtà, è quello dei media e soprattutto dei video come testimonianza falsificabile, che sia la prova di un crimine o l’esaltazione storica di un leader. Marshall ha il proprio programma TV, che condivide con la moglie Ylfa (Toni Collette), e per qualsiasi evento pubblico viene ripreso e trasmesso sui canali di tutta la nave coloniale. Soprattutto nella seconda parte, si insiste molto sulla creazione di una storia per il Nilfheim colonizzato, chiaramente lontana dalla realtà mostrata dal film.
Se c’è un difetto principale che attanaglia tutto il film è forse proprio la sua eccessiva frammentazione, data dalla mole enorme di sottotrame e tematiche che Bong Joon-ho sembra non voler mai abbandonare. Anche nella parte finale, come all’inizio, si fa ricorso al voice over in un modo che sembra utile a far venire sbrigativamente tutti i nodi al pettine; una presunta diatriba tra il regista e la produzione sul final cut potrebbe spiegare il motivo dietro lo strano ritmo dell’intera storia. Nonostante alcune trovate di montaggio comunque notevoli e modernissime, che riescono a spostare il focus dello spettatore nello spazio e nel tempo senza però fargli perdere il filo, il girato sembra quasi strabordare dal film in sé, come se reclamasse altro screen-time.
Rimane comunque un buonissimo film di genere che forse stranierà principalmente chi si aspettava, dopo Parasite, un’altra pellicola art-house da festival, mentre Mickey 17 è assolutamente fantascienza, una fantascienza che sembra uscita tematicamente e stilisticamente dagli anni ’90, ma al cui centro pulsa un cuore moderno. Uno strano ibrido che però, come i suoi personaggi, vive proprio delle sue contraddizioni e sfumature, anche quelle più grezze.
Un ringraziamento speciale a Warner Bros. Italia
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