
Prima o poi ogni creativo si ritrova a confrontarsi con un momento di blocco, e alcuni colgono la palla al balzo per sbloccarsi ispirandosi alla mancanza di ispirazione stessa. Ormai è un espediente abbastanza noto, com’è noto che non è da tutti riuscire a gestirlo, perché se alle volte il risultato può essere geniale, più spesso è evidente il tentativo di grattare il fondo del barile.
Fortunatamente non è questo il caso di Maccio Capatonda, che alle prese con quella che sembra essere stata una vera crisi creativa, si è lanciato in un’impresa di questo tipo con Sconfort Zone, la sua nuova serie disponibile su Prime Video. In quello che è tutto un gioco metanarrativo, infatti, Maccio (o per meglio dire Marcello Macchia) interpreta sé stesso in preda a una disperata sindrome da foglio bianco, mentre la scadenza per la consegna di una nuova serie tv si fa sempre più vicina.
Dopo averle provate tutte per ritrovare l’ispirazione, Maccio si imbatte per caso nel dottor Arnaldo Braggadocio (un Giorgio Montanini in formissima), luminare della psicologia, che gli propone una terapia d’urto: dovrà uscire dalla propria comfort zone, mettendosi volutamente a disagio in un percorso fatto di diverse prove da affrontare. Delle fatiche a cui il novello Ercole di Chieti non si sottrarrà, per quanto andando avanti diventino sempre più difficili e dolorose.
Sconfort Zone è stata descritta dal suo stesso autore come “una serie seria“, e a parte il gioco di parole che rivela la voglia di non prendersi comunque troppo sul serio, a conti fatti è vero: c’è un’immancabile comicità surreale che permea il tutto e la serie fa certamente ridere, ma questa volta vediamo più Marcello che Maccio, in una commistione tra finzione e realtà che porta con sé anche dei toni più drammatici.
C’è un buon equilibrio tra queste due anime, e la componente comica ne esce persino rafforzata, dal momento che non ci si aspetta costantemente l’arrivo di una battuta, fatta eccezione per alcune gag ricorrenti come quella di Valerio (Valerio Desirò) che non azzecca mai un gioco di parole, e la combriccola di amici/pessimi consiglieri di Maccio composta da Fru, Edoardo Ferrario e Valerio Lundini, con quest’ultimo che ogni volta snocciola aneddoti assurdi su conoscenti random. In quanto abruzzese io stesso, inoltre, ho trovato esilaranti le parti con i genitori di Maccio che litigano in dialetto: sentire frasi come “Puzza cascà pi li scal ng li man ‘nsaccocce” (Che tu possa cadere dalle scale con le mani in tasca) su Prime Video è stata un’esperienza mistica.
Al di là delle risate, le questioni messe sul piatto da Sconfort Zone però sono molto interessanti, e toccano particolarmente le corde di chi sa cosa voglia dire dedicarsi ad attività creative. In più c’è il punto di vista di chi ha ottenuto fama e successo, e ne mostra l’altro lato della medaglia che consiste nel peso delle aspettative altrui e il sentirsi incastrati nel fare all’infinito quello che ha già funzionato in passato, senza poter aspirare liberamente a qualcosa di nuovo. Maccio si trova in una situazione di stallo perché da un lato tutti vogliono che continui a portare i suoi personaggi più noti come Mariottide e Padre Maronno, dall’altro lui ne è stufo e vorrebbe dimostrare di saper fare anche altro. Ma cosa? Difficile capirlo, un po’ per mancanza di stimoli e un po’ perché in fondo lasciare la strada vecchia per la nuova è rischioso, e la paura di sbagliare può far sembrare ogni potenziale idea insulsa.
Braggadocio dunque cerca di tornare al motivo originario per cui Maccio fa quello che fa, e lo trova in un bisogno di evadere dalla realtà, realtà in cui però ora il comico diventato strafamoso si trova fin troppo a suo agio, privandolo degli stimoli di un tempo. Per questo lo psicologo lo costringe a mettersi in situazioni a dir poco scomode, ma perseguire così tenacemente e ad ogni costo un proprio bisogno personale di realizzazione è un percorso insidioso, che porta inevitabilmente a ignorare i bisogni delle persone care che ci circondano. La narrazione in questo senso è molto coinvolgente, e porta noi stessi a chiederci fin dove saremmo disposti a spingerci al posto del protagonista, se anche noi avremmo fatto le stesse cose e perché. Domande che restano attaccate anche al termine della visione, e non è affatto scontato per una serie di Maccio Capatonda, da cui per l’appunto il pubblico si aspetta solo di ridere.
Che l’obiettivo dell’autore fosse quello di uscire da una reale impasse, dimostrare di saper fare qualcosa di più profondo di “shcopareee!” o semplicemente divertirsi e divertirci con quella che gli sembrava un’intrigante idea metanarrativa (o magari anche tutte queste cose insieme), l’esperimento può dirsi riuscito. Sconfort Zone nel corso dei suoi 6 episodi ci immerge in un mondo in cui il confine tra realtà e finzione è labile, e che dà anche da pensare in maniera non banale. Difficile però goderne appieno senza empatizzare con la mancanza d’ispirazione descritta e senza conoscere la lore di Maccio: in fondo è una serie che parla principalmente ai suoi fan, anche se sono pronto a scommettere che ironicamente una parte di questi avrebbe comunque preferito rivedere gli stessi personaggi di sempre. Maronn’!
Un ringraziamento speciale a Prime Video e Golin
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