
Con Atelier Yumia, la longeva saga JRPG alchemica di Koei Tecmo e Gust Corporation intraprende un nuovo percorso abbandonando (seppur in parte) quelle che sono le caratteristiche principali del franchise, con l’obiettivo di attrarre un nuovo pubblico. I toni della storia, il gameplay e il ruolo dell’alchimia assumono significati diversi in questa incarnazione, scelte coraggiose che tuttavia non hanno di certo favorito la nascita di questa nuova sottoserie.
Atelier Yumia è il Final Fantasy XVI di Koei Tecmo
Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land (questo il titolo completo) è un capitolo che ambisce a tracciare una nuova rotta per il longevo franchise e lo fa a partire dal suo stesso racconto. Sebbene le alchimiste di casa Koei Tecmo ci abbiano sempre deliziato con avventure spensierate e raccontate dai toni leggeri, nella nuova iterazione la storia assume connotati decisamente cupi, dove il team di sviluppo ha optato per una trama più matura.
Nell’avventura con protagonista la giovane Yumia Liessfeldt l’alchimia rappresenta un vero e proprio pericolo, a tal punto da renderne la pratica un vero e proprio tabù. Tale scienza infatti è ritenuta come la principale responsabile dell’estinzione del regno di Aladiss, di cui ora rimangono soltanto le rovine. Tuttavia, scoprire la verità dietro la sua scomparsa sarà un compito della squadra di ricerca dell’Ordine di Eustella, un team a cui Yumia si unirà volentieri.
La ragazza, infatti, desidera indagare sui fatti che hanno scatenato l’immane disastro e scoprire che ruolo ha avuto l’utilizzo dell’alchimia in tutto ciò. La protagonista non sarà sola nella sua missione: ad accompagnarla ci saranno diversi personaggi come Isla e Viktor von Durer, Rutger, Nina e infine Lenja, alleati che si uniranno a Yumia man mano che scoprirà ciò che rimane di Aladiss.
La storia di Atelier Yumia non è assolutamente quella di un classico Atelier: giocandoci ho respirato un’aria completamente diversa. Qui non solo viene giudicato moralmente l’impiego dell’alchimia, ma entrano in scena anche tematiche piuttosto pesanti che allontanano questo nuovo capitolo da quell’allegria e spensieratezza finora abbracciate dal franchise.
Mentre il tema dei ricordi è centrale nell’evoluzione del racconto, a tal punto che grazie ad essi si scopriranno alcuni passaggi importanti dell’avventura, lo sviluppo dei personaggi rimane uno dei principali elementi della storia, grazie al quale ho potuto apprezzarne alcuni momenti significativi. Sebbene l’indagine che porterà alla luce la verità dietro l’estinzione di Aladiss caratterizzi l’evoluzione del racconto, Atelier Yumia infatti permette di costruire dei legami con i propri compagni e conoscerli a fondo.
Come già ribadito, l’arrivo di una nuova protagonista della serie Atelier rappresenta un nuovo inizio: attorno ad essa Gust non solo costruisce un sotto-franchise (come nel caso di Ryza o Sophie) che a conti fatti rappresenterà la saga per diversi anni, ma sperimenta anche nuove meccaniche di gioco e soprattutto una nuova narrazione, con lo scopo di attrarre nuovi utenti. A tal proposito, Atelier Yumia è un capitolo che sperimenta tanto – soprattutto col suo racconto – rivelandosi per l’appunto un’incarnazione rivolta più ai neofiti che agli appassionati della serie.
Questo lo si percepisce anche nelle storie che caratterizzano ciascun membro del cast, condite da un alone di vendetta, violenza e crudeltà, elementi che rarissimamente hanno avuto un ruolo nel canovaccio narrativo della saga. Un cambio di direzione che mi sento di paragonare con quello intrapreso da Final Fantasy XVI: il sedicesimo capitolo della fantasia finale targato Square Enix ha fatto parlare parecchio di sé non solo per il suo racconto decisamente più adulto, ma anche per gli stravolgimenti apportati al gameplay rispetto a come la serie ha abituato il suo pubblico, un percorso rischioso simile a quello intrapreso da Atelier Yumia.
Un gameplay confuso e un’alchimia troppo secondaria
Anche nel caso del gameplay il nuovo capitolo di Atelier cambia le carte in tavola. Sebbene venga preservata l’impalcatura JRPG, il suo battle system si avvicina agli action, dove il party utilizza una console di comandi per attivare le abilità in battaglia. In sostanza, Yumia e compagni durante un combattimento caricheranno le proprie mosse, e nel frattempo potranno muoversi nell’area liberamente per schivare o difendersi dagli attacchi degli avversari.
Il tutto si svolge come un beat ‘em up dove le battaglie risultano davvero confuse. Infatti il sistema di combattimento si riduce a un button mashing poco ragionato, nel quale il giocatore si ritrova ad attivare la prima abilità disponibile pur di arrecare danno ai nemici, sacrificando a conti fatti quegli aspetti strategici che si amalgamavano perfettamente con il crafting. Oltretutto, Atelier Yumia non riserva meccaniche di gioco innovative per la serie e si accontenta unicamente di cambiare la forma con cui esprime le principali caratteristiche di gameplay della saga, come l’uso di oggetti con effetti particolari o la realizzazione di equipaggiamenti con tratti unici o di altissimo livello.
Nelle precedenti incarnazioni della saga il sistema alchemico si amalgamava perfettamente con il combat system e con la progressione dei personaggi, poiché sbloccando nuove abilità dedicate al crafting era possibile realizzare equipaggiamenti più potenti sfruttando la fusione di due o più tratti. Difatti, grazie a questi fattori, l’alchimia non era solamente un espediente narrativo, ma anche un elemento estremamente fondamentale per l’evoluzione del gameplay.
Il principale dilemma che affligge la nuova creatura di Gust è il ruolo della suddetta pratica. L’alchimia è qualcosa di puramente accessorio per gran parte dell’avventura: fino ai titoli di coda mi è parsa troppo poco incisiva, come se nella sperimentazione di nuove idee si sia persa l’anima della saga. Quindi qual è effettivamente la direzione che Koei vuole intraprendere con Atelier Yumia?
Perché come se non bastasse, il regno di Aladiss si presenta come un’open map interconnessa e suddivisa in varie regioni, ma adotta diversi espedienti ludici spesso abusati dagli open world più massicci, invitando il giocatore a esplorare gli innumerevoli punti d’interesse posti proprio sulla mappa. Il titolo infatti punta maggiormente sull’esplorazione, che permette di ottenere punti abilità, ricette alchemiche e tesori di vario tipo per il party, ma è innegabile che l’integrazione di caratteristiche open world abbia appesantito l’esperienza in questo nuovo capitolo.
Ciò che si può apprezzare di Atelier Yumia sono alcune accortezze apportate alla raccolta di materiali. Innanzitutto non è più necessario costruire ed equipaggiare diversi strumenti: Yumia grazie alla sua staffa e al suo fucile potrà raccogliere tutti i tipi di ingredienti presenti nel gioco. Gli spostamenti da un punto all’altro del mondo di gioco poi sono repentini e il merito va non solo ai punti di viaggio rapido, ma anche a mezzi di spostamento che permettono di percorrere le lunghe distanze in poco tempo.
Nonostante sull’esplorazione sia stata posta maggiore cura, ciò che non ho digerito è proprio il sistema di crafting legato all’alchimia, che si mostra poco chiaro nonché limitato. Ogni ricetta può essere livellata al fine di creare oggetti di qualità superiore e con effetti migliori, eppure personalmente ho trovato il crafting meno interessante in questa iterazione della serie, poiché l’utilizzo dei tratti risulta molto poco chiaro.
Mentre in precedenza bastava unire due tratti per crearne uno nuovo e decisamente più potente, qui questi particolari bonus dovranno essere craftati. Per farlo sarà necessario scartare altri tratti in possesso e generarne uno nuovo casualmente. In questo modo, creare dei nuovi tratti è indubbiamente più complesso e non poterlo fare nel medesimo sistema di crafting attraverso una studiata combinazione di materiali rende l’alchimia di Atelier Yumia meno intrigante.
Inoltre, troviamo una sintesi dei materiali rapida e utilizzabile durante l’esplorazione per realizzare oggetti utili come kit di riparazione, proiettili e bende curative. Nominata Simple Synthesis, questa si rivela una versione limitata e semplificata del crafting eseguibile solamente presso l’Atelier o un altare.
Il team di sviluppo si è focalizzato su aspetti puramente accessori della serie, come la modalità creativa che permette di creare i propri accampamenti costruendo edifici e oggetti vari. Si tratta di veri e propri rifugi per il party, dove il giocatore può costruire una nuova base (o un nuovo Atelier) servendosi della propria immaginazione. Per quanto si tratti di una modalità interessante sulla carta, all’atto pratico l’ho trovata poco incentivata dal gioco stesso. L’unico motivo che potrebbe spingervi a creare una nuova base è la possibilità di utilizzarla come un punto di viaggio rapido.
Visivamente non al top
Rispetto ad Atelier Ryza 3, trovo che Atelier Yumia rappresenti un piccolo passo indietro sul piano visivo. La pesantezza del racconto viene trasmessa anche alla direzione artistica del titolo, che propone spesso paesaggi dove la distruzione e la sensazione di pericolo prevalgono su tutto il resto. Non mancano scorci interessanti, ma in sostanza le sensazioni cupe trasmesse dalla storia si percepiscono anche attraverso lo sguardo.
I paesaggi infatti hanno colori più spenti e personalmente li ho trovati persino spogli, tanto da portarmi ad esplorare ogni anfratto di Aladiss in maniera puramente passiva. Interessante invece il character design, per l’occasione curato dall’artista Benitama, che già in precedenza si è occupato del remake di Atelier Marie. Nonostante i personaggi nelle illustrazioni appaiano decisamente interessanti, i modelli poligonali mi sono sembrati piuttosto grezzi, in particolar modo nei filmati dove si perde l’espressività dei volti. A mio avviso, l’assenza di lineamenti più marcati e di una stilizzazione dei modelli non permette al character design di esprimersi al meglio nella trasposizione tridimensionale dei modelli, che risultano meno dettagliati in-game.
Sotto il profilo tecnico il titolo non presenta particolari problemi: su PlayStation 5 infatti Atelier Yumia si dimostra decisamente fluido e ciò lo si deve a un comparto grafico non proprio eccelso per le possibilità offerte dagli attuali hardware. Per quanto riguarda il comparto audio, abbiamo un doppiaggio giapponese di ottimo livello, con un cast di voci davvero interessante che vede il coinvolgimento di Takaya Kuroda, Takehito Koyasu e Jun Fukuyama, tanto per citarne alcuni.
Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land ha voluto tracciare un nuovo percorso per la serie Atelier, ma il tentativo in realtà non può dirsi esattamente riuscito. In particolar modo, trovo che questa volontà di raccontare una storia più adulta e stravolgere alcuni aspetti laddove non ce n’era bisogno abbia condotto il team di sviluppo sulla strada sbagliata, compiendo a conti fatti diversi passi falsi.
Ogni sottoserie deve pur sempre avere una propria anima e delle caratteristiche che la contraddistinguono dalle altre, soprattutto in un franchise così longevo come quello creato da Koei Tecmo e Gust. Nella ricerca di una propria identità, però, Atelier Yumia non riesce a capitalizzare come dovrebbe gli enormi passi in avanti fatti dal franchise negli ultimi anni.
Nonostante vi fosse dell’ottimo potenziale, il lavoro compiuto da Gust non lo trovo assolutamente all’altezza con le ultime incarnazioni della serie, risultando così in un’avventura non proprio memorabile: un gran peccato, specie se si considera che i ricordi giocano un ruolo così centrale nella storia.
Special thanks to Koei Tecmo
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