Premetto che mi sono avvicinato al manga e all’anime all’età di 17 anni perché incuriosito dal suo successo e devo dire di non esserne rimasto deluso. La storia sembrava semplice: un ragazzo trova un quaderno col potere di uccidere le persone e decide di diventare il giudice supremo. Cosa potrà mai andare storto, no? Insomma Light è un ragazzo intelligente e saprà sicuramente non superare il confine tra giudice imparziale e pazzo omicida sociopatico…
Ma non siamo qui a parlare di cosa era Death Note, bensì della sua rinascita, se così possiamo definirla, in forma di film live action prodotto da Netflix.
La prima cosa che colpisce è il cambio di location dell’intera vicenda, spostatasi dal Giappone a Seattle, in America. Dopo i titoli di testa che sembrano usciti dalla classica serie tv per adolescenti, facciamo la conoscenza del protagonista Light… Turner? *rumore di vinile interrotto* no, aspetta… seriamente!? C’era davvero bisogno di cambiare il cognome? Ok, torniamo a noi. Light è il classico liceale nerd che cerca di passare inosservato fino a quando non entra in contatto con il Death Note. L’incontro con il famoso quadernetto della morte lo porterà a considerarsi l’unico in grado di scegliere tra buoni e cattivi (oltre a far colpo sulla belloccia di turno) e di conseguenza punirli come meglio crede grazie all’aiuto dell’inquietante Ryuk (si pronuncia ri-uk, ci tiene), il Dio della Morte goloso di mele connesso al quaderno. Gli eventi relativi alla scoperta del diario porteranno Light, ora venerato anonimamente in tutto il mondo con il nome di Kira come salvatore dell’umanità, a scontrarsi con la mente del brillante L, una sorta di investigatore privato di sedici anni goloso di caramelle e che sembra essere uscito direttamente da Watch Dogs.
Il film in sé colpisce, ma nei modi sbagliati: partendo dall’introduzione che sembra uscita davvero da Beverly Hills 90210, con inutili scene di vita da college che non c’entrano assolutamente niente con il tema del film. Ora, capisco che si tratti di una vicenda che ha come protagonisti adolescenti in età da liceo, ma la sequenza degli allenamenti di football e delle cheerleader non ci azzecca molto con tutto il resto. La regia non sembra avere le idee chiare su quale fosse l’atmosfera del soggetto di partenza, così si limita a inquadrature a caso della città e delle persone nella loro vita quotidiana, che dove le metti fanno sempre da riempitivo.
I protagonisti sono su un livello a parte: Light ha lo spessore di un foglio di carta e si guadagna da vivere facendo i compiti per gli altri studenti, vive con il padre poliziotto che passa le giornate ad alcolizzarsi sul divano in seguito alla morte della moglie a causa di un malavitoso assolto poi per non si sa quale cavillo giudiziario (fin qui sembra la solita americanata, no?). La coprotagonista femminile, della quale non dicono il nome manco a pagarla oro, passa dal ruolo di cheerleader svampita e sboccata a sexy genio del male dopo che il protagonista le mostra di avere la capacità di uccidere le persone tramite un diario (farsi due domande no, eh? Boh saranno nuovi modi di flirtare a me sconosciuti). Infine Elle, la più grande delusione di tutto il film.
Nella serie originale L (lo chiamo così per distinguerlo dalla controparte del film) è un brillante, seppur inquietante, genietto adolescente con una serie di comportamenti al limite dell’ossessivo-compulsivo che collabora con la polizia di Tokyo per scovare il famigerato Kira, mentre Elle è un ragazzetto goloso di caramelle dalla mente geniale, che però si limita a snocciolare deduzioni con l’espressività di Tavoletta della serie Ed, Edd & Eddy e l’unica cosa che ha in comune con la sua controparte è l’assumere la sua tipica posa una sola volta in tutto il film. Menzione d’onore va fatta a quel sosia non autorizzato di Pennywise di nome Ryuk, che è passato da essere l’annoiato Dio della Morte che ha scagliato il suo quaderno sulla terra in cerca di divertimento al sociopatico animaletto da compagnia del giovane Turner (non Will, Light).
La cosa che più colpisce (in negativo, ovviamente) è la resa delle morti dei cattivoni giustiziati dal protagonista. Pregate di avere uno stomaco forte perché le scene di morte sono la cosa più insensatamente splatter che abbiate mai visto. Immaginate un capitolo di Final Destination girato con gli effetti speciali di un film de La Casa di Raimi e avrete la resa di un omicidio in questo film.
Tirando le somme, il Death Note di Netflix non è un brutto film… è un pessimo film! Già in passato sono state realizzate versioni in live action di manga e anime con risultati disastrosi (basti pensare a Dragon Ball Evolution, anzi non ci pensate e cancellate quel film dalla vostra memoria), ma mai con un livello così infimo di attinenza al soggetto originario.
Se non avete mai visto o letto un episodio dell’originale potreste anche pensare di dargli una possibilità, altrimenti evitate di sprecare inutilmente 1 ora e 40 della vostra vita.
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