Il 22 dicembre su Netflix è uscito Bright, primo blockbuster prodotto dal colosso dello streaming video, che grazie ad una campagna pubblicitaria massiccia e fantasiose trovate promozionali, ma soprattutto la presenza di un attore del calibro di Will Smith, ha destato la curiosità di molti. Personalmente credevo che la storia fosse tratta da un libro, ma così non è: la sceneggiatura è opera di Max Landis, mentre la regia è affidata a David Ayer, lo stesso regista di Suicide Squad.
I protagonisti di questo innovativo urban fantasy sono gli agenti Ward e Jakoby, rispettivamente un umano ed un orco. In questa Los Angeles alternativa le creature del fantasy classico convivono “amabilmente” con gli umani, seppur divisi in rigide classi sociali. Ci sono Elfi ricchissimi che vivono nei quartieri alti e orchi ghettizzati costretti ai margini della società; nel mezzo si trovano gli uomini, in bilico tra due razze che conoscono da tempo ma che riservano loro sempre nuove sorprese. La realtà che ci viene presentata all’inizio e in modo sommario è quella di un mondo dove 2000 anni fa tutte le razze del mondo si sono riunite per sconfiggere il Signore Oscuro, a cui sono seguiti secoli di evoluzione e progresso che hanno portato alla società di oggi, non molto diversa da quella che viviamo noi, piena di violenza e discriminazione. La differenza è che qui ad essere discriminati sono gli orchi, colpevoli di essersi schierati dalla parte sbagliata della storia.
L’agente Jakoby è un orco, uno dei primi ad entrare in polizia grazie alle nuove “leggi per l’integrazione“. Lui è stato rinnegato dalla sua stessa razza e costretto a limarsi le zanne in segno di vergogna; è un tipo ottimista e onesto, il suo desiderio fin da piccolo è sempre stato quello di entrare in polizia, ed ha una sincera ammirazione verso il suo collega Daryl Ward oltre che un profondo senso di colpa per una sparatoria finita male. L’agente Ward, un veterano a pochi anni dalla pensione, non sopporta il suo compagno dopo ciò che è successo tra loro ma è costretto dai suoi superiori a farlo, visto che nessun altro poliziotto vuole avere a che fare con un orco. Le vicende per i due si complicano quando vengono chiamati ad intervenire in una situazione sospetta e si imbattono in un Bright, il solo in grado di governare la magia e maneggiare una bacchetta magica: l’oggetto più potente e desiderato sulla faccia della Terra.
La promozione così esagerata e i trailer accattivanti ponevano tutte le giuste premesse per un ottimo film, ma la realtà alternativa che propone si viene a scontrare con la nostra. Il regista si concentra sulle differenze di classe e i soprusi che sono costretti a subire gli orchi, ghettizzati e discriminati, come metafora di ciò che succede spesso nelle nostre città con coloro che appartengono agli strati sociali più bassi, però il risultato non è soddisfacente. Le scene di violenza e abuso sono sì d’impatto, ma il focus viene posto sulla figura di Jakoby e sulla sua lealtà, piuttosto che su quello che realmente accade sotto lo sguardo dei due poliziotti.
La polizia che dovrebbe garantire giustizia e ordine, vive invece un momento di grave crisi, con le caserme presidiate e chiuse come bunker e una corruzione che dilaga in ogni strato dell’istituzione. Questa corruzione viene portata agli estremi dalle situazioni che si verificano nel corso della narrazione e mette a dura prova l’inattaccabile senso dell’onore dei due protagonisti. Questi due personaggi si contendono amaramente il ruolo di unico eroe della storia, giocando a chi è il più giusto o il più forte e non riuscendo a coordinare e a far evolvere il proprio ruolo individuale. Gli eventi a cui devono far fronte ci presentano il classico viaggio dell’eroe, con i nemici da sconfiggere e la principessa da salvare, ma la biografia di ognuno è presentata in modo sommario, e la caratterizzazione dei personaggi è lasciata ad un livello superficiale, quasi solo estetico per alcuni.
Come accennavo prima, anche per quanto riguarda i due protagonisti, la loro psicologia non viene esplicata in modo approfondito e soddisfacente, lasciando molte cose in sospeso o addirittura poco chiare (soprattutto per quanto riguarda l’agente Ward). Questa sensazione di incompiuto e superficiale si vede anche nel contesto in cui si sviluppano gli eventi. Ci viene presentata solo la città di Los Angeles, non sappiamo cosa succeda nelle altre metropoli americane; le vicende del Signore Oscuro sono davvero “oscure” (passatemi il termine), non ci viene spiegato come sia nato e cresciuto il suo culto, e tutto il resto viene detto in maniera troppo frettolosa nei dialoghi. Se qualcuno si aspettava i classici spiegoni in salsa Tolkien ne resterà deluso. Questo film punta alla modernità e all’azione, ma riesce a centrare l’obiettivo solo in alcuni momenti. Le scene d’azione e gli inseguimenti in auto ad esempio non hanno quella potenza visiva tipica di altri blockbuster americani.
Io sono una grande fan del fantasy e, anche se in questa mia recensione ho mosso molte critiche al film, in realtà mi è piaciuto. Non lo annovero tra i miei preferiti in assoluto, ma nonostante i difetti ha saputo stupirmi per come sono stati mescolati l’ambientazione urbana, gli elementi da fantasy puro e tutte le varie novità del contesto, in maniera tale da far risultare il tutto il quanto più credibile e verosimile.
Questo film può essere definito come l’apripista di un nuovo tipo di prodotto, sia per format che genere, che Netflix vuole creare per fare concorrenza alle grandi major, e come ogni precursore che si rispetti commette degli errori, errori che però faranno (spero) da lezione a chi verrà dopo, magari anche al sequel stesso di Bright.
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