Approdato a Luglio 2015 su PS4 a un anno dalla sua uscita PC, peraltro con alcune migliorie dal punto di vista tecnico e del gameplay, mi sono finalmente deciso a mettere mano a The Vanishing Of Ethan Carter, l’indie degli sviluppatori polacchi The Astronauts che già da un po’ aveva attirato la mia curiosità.
Nel gioco impersoneremo Paul Prospero, detective del paranormale appena giunto nella piccola cittadina di Red Creek Valley in risposta alla lettera di un ragazzino chiamato Ethan Carter, di cui si sono perse le tracce. Impareremo molto presto che questo luogo nasconde oscuri segreti e nulla è davvero come sembra.
La prima frase che ci si parerà davanti sarà “Questo gioco è un’esperienza narrativa che non ti tiene per mano”, una sintesi perfetta a parer mio, ma ovviamente voglio darvi una visione più ampia del tutto. Siamo davanti a un titolo interamente incentrato sulla narrativa, ma le sue meccaniche si rifanno molto più alle vecchie avventure grafiche punta e clicca che non a giochi come Beyond: Two Souls, più simili a dei “film interattivi”. Non saremo guidati in nessun modo: niente indicatori, mappe, cutscene, obiettivi, niente di niente. Ci ritroveremo a Red Creek Valley senza la minima idea su cosa fare e dove andare e tutto sarà lasciato alla nostra curiosità e al nostro intuito. Nonostante ciò è sorprendente come il level design consenta ad un giocatore attento di trovare tutti i luoghi d’interesse necessari per ricomporre gli avvenimenti e arrivare alla conclusione.
Di base il gameplay è di stampo investigativo, quindi tutto ciò che dovremo fare sarà appunto capire come si sono svolti certi eventi ricorrendo innanzitutto ai nostri poteri da sensitivo, ma anche risolvendo enigmi e leggendo i vari documenti che troveremo in giro. Il bello è che non esiste un modo “corretto” per giocare a The Vanishing Of Ethan Carter: la nostra partita sarà sempre differente da quella di un altro, per via della libertà concessaci nell’ignorare o meno alcuni dettagli e nel dare priorità alla risoluzione di un mistero anziché un altro. Queste meccaniche rendono il titolo magnificamente immersivo, caratteristica a cui contribuiscono anche (ovviamente) la visuale in prima persona, ma soprattutto una grafica che lascia a bocca aperta.
Non sembra di trovarsi davanti ad un indie e invece… gli sviluppatori hanno utilizzato in maniera magistrale l’Unreal Engine 4 riuscendo a dar vita ad ambientazioni tremendamente realistiche, sia per quanto riguarda l’enorme quantità di dettagli che per un’illuminazione davanti alla quale molti giochi AAA possono solo inchinarsi. Ogni luogo riesce a trasmettere sensazioni diverse ed è assurdo come siano curati perfettamente anche quelli secondari ai fini della storia. Il lavoro eccezionale, però, riguarda esclusivamente le ambientazioni, mentre i modelli dei personaggi non sono assolutamente all’altezza del resto, poiché molto poveri di dettagli e animati in maniera piuttosto semplice.
Anche nella fluidità il gioco mostra delle pecche a causa di piccoli freeze in cui è possibile incorrere ogni tanto, che comunque non minano il gameplay, ma possono rivelarsi molto fastidiosi (ah, un piccolo appunto: su PS4 il limite del framerate è preimpostato a 30, ma potete cambiarlo in “illimitato” nelle opzioni, fatelo senza pensarci due volte). Se da un punto di vista tecnico quindi il titolo mostra un po’ il fianco, con difettucci tra l’altro trascurabili, da quello artistico si rivela ineccepibile e le ambientazioni sono sempre accompagnate da musiche stupende che contribuiscono dannatamente bene a trasmetterci le sensazioni più adatte alle immagini su schermo.
Senza fare alcun tipo di spoiler, la trama di questo gioco dall’inizio alla fine è un susseguirsi di colpi di scena costituiti da avvenimenti surreali e folli, che mi hanno spiazzato e lasciato ad occhi sgranati in più di un’occasione. Alcuni misteri da risolvere fanno persino riferimento alle opere di Lovecraft (non lo direste mai ad un primo impatto) con spruzzate di horror non eccessive, e la cittadina stessa in cui si svolgono gli eventi ci fa già capire che qualcosa non va dal fatto che è completamente disabitata, decadente e immersa in un crepuscolo perenne, tutte caratteristiche delle quali verremo a capo nel finale. Niente è lasciato al caso e tutto contribuisce all’intero quadro della storia con cui abbiamo a che fare.
The Vanishing Of Ethan Carter di per sé è di breve durata: io l’ho concluso nel giro di appena due giorni (giocandoci molto), ma è difficile quantificare precisamente il tempo necessario a portare a termine un’avventura di questo tipo, perché dipende tutto dall’abilità del giocatore nel capire cosa fare per uscire da una situazione di stallo completo o nel risolvere gli enigmi. Fidatevi, nessuna di queste due cose è obiettivamente semplice, sempre per la questione del “non tenervi per mano”: alle volte capiterà semplicemente di aver ignorato un oggetto con cui interagire, perché questi non lampeggiano come la maggior parte dei giochi ormai ci ha abituato. Quindi c’è chi magari lo riuscirà a completare in mezza giornata o chi avrà bisogno anche di una settimana per farlo. Fatto sta che la durata del titolo è “annacquata” da un problema in cui purtroppo il suo genere incorre spesso, ossia il potersi spostare solo a piedi con la semplice possibilità di correre, data l’assenza di veicoli o opzioni di viaggi rapido disponibili da subito. Quando saremo bloccati e ci ritroveremo a fare avanti e indietro tra i vari punti d’interesse, in una mappa anche piuttosto grande, il gioco diventerà quindi un frustrante simulatore di passeggiata e questo è il difetto più grande che possiede, poiché quello che disturba maggiormente il divertimento.
Nel complesso considero The Vanishing Of Ethan Carter un ottimo titolo e lo consiglio a tutti coloro che amano i giochi dalla forte componente narrativa, grazie a una storia intensa e mozzafiato difficile da dimenticare e un’immersività senza pari, coadiuvata da una grafica tra le più belle e realistiche viste finora su PS4. Non mi stupirebbe se in futuro ne facessero un porting per i visori di realtà virtuale!
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