“La fine del mondo di qualcun altro” mi ha proprio colpita, colpita e affondata. Nel prologo l’autore svela che le prime otto pagine racchiudono il significato dell’intera storia, ed uno degli estratti più emblematici per me è: “La consapevolezza arriva quando meno te l’aspetti e fai un passo avanti e l’altro fuori. Guardi la tua vita dall’esterno e riesci a comprenderla come se fossi Dio. Ma a cosa serve comprendere le cose se non puoi partecipare? Mi alzo troppo tardi per cominciare a vivere oggi.”
La graphic novel di Giulio Mosca è ambientata in un mondo molto simile al nostro dove, in seguito alla caduta di un asteroide, le persone si sono ritrovate una strana app chiamata Tori installata sullo smartphone. L’applicazione permette di assistere alla vita quotidiana di creature aliene, che si differenziano da noi unicamente per il colore della pelle e del naso. Da quel giorno la maggioranza della popolazione non fa che guardare costantemente il proprio telefono per spiare la vita altrui, attaccandosi morbosamente ad un mondo lontano senza dare più valore alla propria esistenza.
Per fortuna, però, non tutti vivono incollati allo smartphone, sicuramente non il personaggio del Baffo e neanche il suo amico Cippi, anche se ciò non impedisce al protagonista di sentirsi insoddisfatto e di aver bisogno di qualcosa di diverso per staccare e magari andare avanti. Per questo motivo i due ragazzi decidono di andare in campeggio, luogo dove conosceranno la giovanissima En e suo padre.
Mentre questo strano nuovo gruppetto si muove per mettere il padre di En di fronte alla realtà (sperando di disintossicarlo dall’app), si viene a scoprire che il mondo di Tori ha le ore contate a causa del futuro impatto con un asteroide. Quali ripercussioni potrà avere questo evento sul mondo che li spia? Le ipotesi sono fondamentalmente due: suicidi di massa ed il crollo anche di questo mondo, oppure l’occasione per ricominciare a vivere la propria vita.
“La fine del mondo di qualcun altro” è un viaggio esistenziale, un tuffo nell’Io moderno in cui molte persone possono ritrovarsi. Non è come il noto fenomeno giapponese degli hikikomori, per cui si tende ad isolarsi e a vivere in una stanza, questa è un’altra malattia dell’animo, più nascosta, perché si esce, si sorride agli amici, ci si definisce “impegnati” eppure non si fa altro che perdere tempo e lasciarsi sfuggire tutto di mano. Più tempo passa, più tutto sembra irreparabile ed il “troppo tardi” diventa schiacciante.
I disegni sono essenziali, il giusto accompagnamento per dei dialoghi forti e delle didascalie ancora più potenti. La graphic novel è portatrice di più messaggi egualmente importanti e riassumibili in “imparare come essere felici”, perché ciò che realmente ci permette di sentirci realizzati è il momento in cui raggiungiamo la felicità ed il senso di incompiutezza scompare. Giulio Mosca ci indirizza verso la strada dell’agire per cambiare ciò che non ci soddisfa, smettendo di esser vittime della nostra stessa vita.
Avere 27 anni significa essere lontani dall’adolescenza, alle porte del “dover essere grandi” ma non ancora pronti per sentirsi tali. La sensazione di assistere alla propria vita come spettatore e non come protagonista è propria della maggioranza delle persone della nostra società, specialmente poi di quella fascia di età.
Vivere non è facile, essere soddisfatti della propria vita ancor meno. “La fine del mondo di qualcun altro” è una pietra miliare della presa di coscienza di questo stato, una chiave per ricominciare a vivere. Ne consiglio vivamente la lettura a tutti, perché anche se pensate di non averne bisogno, probabilmente qualcuno a voi vicino starà vivendo questo tormento.
Un ringraziamento speciale a ManFont
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.