Voglio fare un gioco con voi. No, non sono Jigsaw e voi lettori non dovrete far nulla, tenteremo semplicemente un esperimento, qualcosa in cui forse non è mai riuscito nessuno: oggi proveremo a commentare un film DC senza nominare esplicitamente la concorrenza. Avete capito a chi mi riferisco. Ci riuscirò?
Aquaman è il sesto film del DCEU (o Worlds of DC come pare sia stato ufficialmente chiamato) e riprende la narrazione dagli avvenimenti accaduti in Justice League (altro noto capolavoro).
Il buon Arthur Curry è tornato a fare l’eroe nei mari senza volersi far troppo notare, ma raggiunto e spronato da Mera a recarsi ad Atlantide, verrà convinto da lei e dal fido Vulko ad intraprendere un viaggio per ritrovare il Sacro Tridente perduto del primo Re di Atlantide Atlan, così da fermare il fratellastro Orm ed evitare una guerra tra il mondo in superficie e quello marino.
Tante le cose da dire, difficile in questo caso metterle in ordine, così faremo un po’ come questo film: butteremo tutto in un grande calderone, in ordine sparso.
Iniziamo dai tanti spiegoni, a volte inseriti spezzando determinate sequenze, perché sennò non sapevano dove piazzarli. Il più esilarante è stato quello non necessario tra Aquaman e Vulko; i due stanno parlando della stessa identica cosa, solo che il primo crede sia leggenda, il secondo sa che si tratta di verità… ma dopo 2 secondi il personaggio interpretato da Willem Dafoe parte col narrare tutta storia: perché?! Certo, anche gli spettatori devono sapere, ma magari trovare un pretesto per farlo in maniera meno forzata sarebbe stato meno comico.
L’abbiamo nominato, quindi parliamo di Willem Defoe, una delle note positive del film. Del resto un attore di un certo calibro come lui è sempre sinonimo di garanzia, peccato che il suo Vulko non abbia abbastanza spazio, o magari non quello che avrebbe meritato, nonostante ciò lui e il suo rapporto col protagonista, tra flashback e ringiovanimenti, sono sufficientemente approfonditi da permettere allo spettatore di affezionarsi al personaggio quanto basta.
Di cattivi invece ne abbiamo ben 2, entrambi bisognosi di comunicare chi sono con i loro “Io sono Black Manta!”, “Io sono Ocean Master!”. Già, un po’ in stile cartoon.
Il nemico numero uno è Ocean Master, nome di battesimo Orm, interpretato dal pupillo del regista James Wan, Patrick Wilson. In questo caso vale il discorso contrario fatto per Vulko: le sue motivazioni sono sì illustrate e tecnicamente valide, ma rimangono superficiali e mai particolarmente approfondite da permetterci anche solo di provare ad empatizzare con lui, scadendo un po’ nel classico “voglio conquistare il mondo”. Per carità, quantomeno nulla a che vedere col pessimo Steppenwolf di Justice League.
Dall’altra parte abbiamo il Black Manta di Yahya Abdul-Mateen II, villain che riesce a non sfigurare malgrado il ruolo secondario: nonostante sia un criminale, quindi già dalla parte del torto, la sua sete di vendetta rimane comunque più avvincente di quella di potere di Orm, e dovendo scegliere chi rivedere in un sequel opterei sicuramente per lui.
Black Manta è inoltre protagonista di una delle scene più spettacolari della pellicola, con un adrenalinico inseguimento nella nostra (perennemente stereotipata) Sicilia. Qui troviamo uno di quei – non tantissimi a dire il vero – guizzi registici di James Wan, che dal canto suo pare faccia il possibile per dare un minimo di autorialità al prodotto. Poi ci sono scene come la maestosa battaglia subacquea finale, che potevano rendere molto meglio e invece risultano abbastanza deludenti, anche per via di scontri tutt’altro che chiari.
A proposito di Wan, è gia nota la sua polemica per la non candidatura agli Oscar della pellicola nella categoria dei migliori effetti speciali: caro James, capisco quanto tu voglia difendere a tutti i costi il lavoro che c’è stato dietro al film, ma per quanto effetti speciali tendenzialmente da videogame, alternati da ottime messe in scena e momenti imbarazzanti (un po’ come in Wonder Woman), possano essere anche spassosi, sgargianti e a tratti splendidi da vedere, siamo ancora lontani da una qualità compatibile con gli Oscar.
Il tono della pellicola è scanzonato, leggero, normale pensare sia volutamente tamarro, soprattutto osservando trashate come un polipone che suona i tamburi o un tabellone luminoso con elencate le caratteristiche degli sfidanti durante il primo scontro tra Arthur e Orm. Non mancano buoni momenti comici, anche se lasciano perplessi alcune battute degne di un cinepanettone. Per carità, nulla di eccessivo, va tutto benissimo e si ride spensieratamente, ma questo non è nulla di tutto ciò a cui ci aveva preparato finora l’universo cinematografico DC, (nonostante già in Justice League ci fosse stata una svolta più leggera).
Personalmente mi chiedo dove siano finiti i fan del dark Snyderiano che tanto esaltavano Man of Steel o Batman V Superman, bollando altre pellicole dello stesso genere come infantili, e che ora parlano di Aquaman come un capolavoro: non solo dovreste fare un ripasso di cinecomic (per non dire di Cinema), ma anche cercare un attimo di far pace col cervello. A dirlo è uno che nel suo piccolo ha apprezzato lo sforzo creativo di Snyder e digerisce con piacere pellicole come Aquaman, ma una volta che ci si è “schierati” non si può far finta di nulla e/o rimangiarsi la parola scadendo in una vergognosa incoerenza.
La colonna sonora è un altro aspetto del film che mi ha lasciato interdetto: se dovessi definirla con una sola parola la scelta ricadrebbe senz’altro su “bipolare“. Si va da “It’s No Good” dei Depeche Mode ad una cover di “Africa” ad opera di Pitbull (che poi sono i pezzi che rimangono più impressi), passando per altri brani pressoché anonimi.
Dulcis in fundo arriviamo ai veri protagonisti, Jason Momoa e Amber Heard, potenti stimolatori delle ghiandole salivari di maschietti e femminucce. Belli, bellissimi, lui scultoreo (tamarro), perennemente a petto nudo e pieno di tatuaggi, lei strafiga ma fine, affascinante, con in dotazione l’unica divisa/armatura scollata atlantidea. Fortunatamente i due risultano anche piuttosto amalgamati nei loro ruoli.
Ma prima di proseguire è bene fare una puntualizzazione: ricordate quando in Justice League Aquaman e Mera avevano combattuto ad Atlantide (ah no, non era Atlantide perché il nostro eroe non c’era mai stato prima) per difendere la Scatola Madre da Steppenwolf? A quanto pare non si conoscevano. Ebbene sì, visto che in una delle prime battute del film lui si rivolge a lei dicendo “non so nemmeno il tuo nome” (ma seriamente?).
Ridicoli errori di continuity a parte, sono loro due le vere star della pellicola, non solo per motivi estetici, ma per la buona alchimia, i bei giochi di sguardi e un rapporto sviluppato discretamente. Almeno per quanto li riguarda, lo spettatore riesce ad avere ben chiaro il quadro delle loro personalità e del loro background.
Ma passiamo subito da un estremo all’altro, con quello che è forse il lato più triste di Aquaman, ossia Aquaman stesso. No, non sono bipolare come chi ha scelto la musica del film, il problema non è Momoa, ormai perfettamente immedesimatosi anima e corpo nel ruolo, ma la storia di Aquaman come eroe nel senso più classico del termine.
Arthur Curry non ha un’evoluzione: come lo conosciamo all’inizio, così lo ritroviamo alla fine. Tutto ciò che ottiene è dovuto sempre alla spinta da parte di altri, ma soprattutto c’è un discorso di predestinazione che gli garantisce più facilmente il successo in alcune imprese. Dubito che l’intento degli autori fosse il seguente, ma il messaggio che passa (se si ha un anche solo un attimo di tempo per ripensare a quanto visto una volta usciti dalla sala) è: “non importa quanto ti impegni a raggiungere un obiettivo, se qualcuno è predestinato riuscirà comunque a sorpassarti e avere la meglio su di te con meno sforzi.”
Piuttosto triste, ma magari sono io il pignolo.
Eppure non me la sento di giudicare negativamente Aquaman. Nonostante i difetti, grazie anche alla regia di James Wan ed un evidente cambio di stile, con i suoi 143 minuti il film si lascia guardare senza particolari intoppi, divertendo ed entusiasmando. Non è un capolavoro come qualche fan troppo esaltato lo definisce, ma è senz’altro un buon cinecomic d’intrattenimento, che farà particolarmente breccia nello spettatore medio, complici anche gli scarni collegamenti agli altri film DC che lo rendono accessibile proprio a tutti.
Aquaman è uno di quei polpettoni che si mangiano con gusto ed ingordigia fino all’ultimo boccone; sazia e lascia soddisfatti, almeno fino a quando non si pensa a quanto sia veramente deliziosa una fiorentina, o magari non si vadano a leggere tutti gli ingredienti sulla sua confezione, ma questo solo pochi lo fanno.
Alla fine non si può dire che la Warner (in soldoni) stia facendo un brutto lavoro: ciò che sta provando a fare con buonissimi risultati (oltre un miliardo di dollari al box office mondiale) è accontentare il grande pubblico e non soltanto i fan DC più accaniti, che da un lato staranno esultando per i risultati, ma dall’altro potrebbero cominciare a sentire una prima piccola crepa nel cuore.
Se dite il contrario, voi Snyderiani della prima ora che continuate a spalare fango su altri cinecomic, vi credo e mi sta più che bene. Semplicemente, non fate finta di nulla sul modo in cui è profondamente cambiato il corso della DC al cinema. Per quanto mi riguarda, io mi sento di dire: viva i Worlds of DC.
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