Nel 2000 Joseph Allen Maldonado-Passage (nato come Schreibvogel) acquistò due cuccioli di tigre. Esattamente venti anni dopo, più di 34 milioni di persone (34.3 milioni solo nei primi 10 giorni e solo negli USA) si ritrovano davanti allo schermo a divorare i 7 episodi di Tiger King, documentario true crime Netflix sulla vita di Joseph Schreibvogel, meglio conosciuto come Joe Exotic, gestore di un imponente zoo in Oklahoma, il Greater Wynnewood Exotic Animal Park, e dei suoi folli colleghi.
Grazie a questa miniserie, attorno alla figura di Joe Exotic è esplosa una venerazione folle, che ha dato seguito a centinaia di meme, cosplay da parte di vari vip, ma anche nuove attenzioni ad un’indagine legata alle vicende della docu-serie, e potrebbe dare persino più forza ad una richiesta di grazia federale.
La domanda che però gli infedeli, i cinici e i semplici curiosi si pongono è: cos’ha di tanto speciale Tiger King? Cos’ha rapito decine di milioni di persone, rendendo la miniserie uno degli show release più fruttuosi di sempre per Netflix (battendo Stranger Things 2 e minacciando di detronizzare anche Stranger Things 3)?
Il primo motivo è sicuramente la costruzione del documentario. Netflix non è nuova a miniserie documentaristiche di genere true crime: penso a prodotti come The Keepers, La scomparsa di Maddie McCan e Making a Murderer, con cui il nuovo fenomeno mondiale condivide non solo il genere, ma anche il modo di trascinare lo spettatore. Questi documentari infatti non si limitano a ricostruire la vicenda, cercando di essere quanto più esaurienti tramite documenti ufficiali, ma montano tali rivelazioni in modo da creare colpi di scena e cliffhanger a fine puntata.
Chiaramente questa scelta registica, pur catturando lo spettatore con più efficacia, porta con sé inevitabili critiche, il più delle volte leggere come quelle espresse da John Finlay (ex-ragazzo di Joe Exotic), infastidito da come lo show abbia omesso dettagli della sua vita in favore del dramma, ma anche molto importanti, come la ricostruzione di una grave vicenda riguardante l’arcinemica Carole Baskin, verso la quale la miniserie non si mostra imparziale quanto dovrebbe.
In ogni caso Tiger King non cade, a mio parere, nella trappola più insidiosa che questi progetti inevitabilmente trovano sul loro percorso: la romanticizzazione del cattivo. Nonostante venga dato ampio spazio ai pensieri e alla versione di Joe Exotic delle situazioni grottesche che si susseguono durante il periodo di gestione dello zoo, non si avverte mai una qualche forma di perdono o di compassione. Al contrario il trattamento che sia Schreibvogel che i suoi colleghi e concorrenti riservano agli animali è denunciato senza mezzi termini dalla crudezza delle scene.
Il secondo, e più importante, motivo del successo della docu-serie è chiaramente il suo soggetto: una sequela di vicende così poco credibili da non poter essere inventate, il cui cast è formato da pseudo-santoni di culti deviati, milionarie con armadi pieni di scheletri, imprenditori meschini e svariati figuranti con una quantità totale di denti e arti decisamente inferiore a quanto ci si aspetterebbe dai semplici calcoli matematici, con il cosiddetto Tiger King al centro di tutto.
Joe Exotic è un eccentrico guardiano dello zoo gay impegnato in una relazione poliamorosa con due ragazzi, John Finlay e Travis Maldonado, con un reality show portato avanti da lui stesso e una discutibile carriera da cantante condotta parallelamente. Ad incrementare la caratterizzazione del nostro protagonista si aggiungono poi la sua condizione sociale e lo Stato che fa da sfondo.
Joe infatti, pur essendo nato in Kansas, si era stanziato in Oklahoma (regione che dal 1968 vota per i Repubblicani e dove, nel 2016, Trump ha preso ben il 65% dei voti, contro il 28% ottenuto dai Democratici) ed insieme ai suoi collaboratori è la (fin troppo) perfetta rappresentazione del redneck, ovvero uno statunitense delle regioni del sud solitamente povero e poco scolarizzato, in costante tensione per riscattarsi. Senza dubbio tutti questi elementi, presenti non solo in Exotic ma anche in varie personalità di spicco della docu-serie, creano senza sforzo un grande interesse, non volto ad alimentare un patetico senso di elitarismo che io per primo condanno, ma utilissimo a farci riflettere.
Guidare con una tigre sul sedile del passeggero può aiutarci a rimettere in discussione l’impatto che un certo stile di vita ha su di noi e sulle altre specie. L’arrivare a compiere reati alla ricerca di una rivalsa sociale, il comprare secchi di munizioni al Walmart, le associazioni animaliste dagli scopi discutibili, il sessismo, l’omofobia, senza contare i succitati culti sessuali e i milioni di dollari accumulati con modalità decisamente borderline, offrono tutti spunti caratteristici per farci riflettere su di noi e sulla società che ci circonda.
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