Weird: very strange or unusual, unexpected or not natural.
La parola italiana “strano/a” non basta, non è sufficiente a coprire tutte le sfumature del concetto di weirdness. “Inusuale”? Di troppo poco impatto. “Strambo”? No, ha davvero poco a che vedere con la comicità. “Misterioso”? No, i misteri sono fatti per essere svelati, e spesso nella weirdness non è prevista alcuna spiegazione. Insomma, il solo aggettivo ci dà non pochi problemi nella sua definizione, figuriamoci quando questo viene usato per tentare di definire un genere letterario. La caratteristica più singolare del genere, è dunque proprio la sua indefinibilità.
Viola Di Grado, che ha curato la prefazione di W.o.W. – Women of Weird (Moscabianca Edizioni), cerca però di venirci incontro: “Sottolineare la qualità bizzarra di qualcosa si limita, sottilmente, a definirla incatalogabile. È dunque un meccanismo ingegnoso del linguaggio, un tentativo di preservare la libertà di una scrittrice o di uno scrittore di inserire in una narrazione qualsiasi tipo di accadimento”.
In ognuno dei 12 racconti di questa raccolta non si sa mai cosa ci si troverà davanti, perché la forza del genere sta proprio nella varietà; così si spazia velocemente dall’horror alla fantascienza, dai racconti del mistero ad alcuni addirittura inclassificabili, tanto che ci si può ritrovare a dover scappare da un pianeta prossimo all’implosione e, solo qualche pagina dopo, a vedere il mondo attraverso gli occhi di un unicorno (o meglio, una versione molto meno fiabesca dei candidi unicorni cui siamo abituati).
Il minimo comune denominatore della raccolta, quindi, non è da cercarsi in un genere che, dichiaratamente, non vuole essere definito, quanto invece nella penna di chi scrive. I racconti di W.o.W. nascono tutti dal genio di autrici italiane che “hanno interpretato, ciascuna con il proprio tratto, le tematiche dell’onirico, del bizzarro, del perturbante”, sperimentando in un genere che l’opinione comune vuole dominato da autori di sesso maschile.
Altra costante in tutti i racconti è lo straniamento, più o meno ricercato, ottenuto quasi sempre descrivendo esperienze e sensazioni anomale utilizzando la prima persona singolare: il lettore si ritrova in un corpo che non conosce, ma del quale muove braccia e gambe e con il quale analizza sensi ed emozioni.
Raramente i protagonisti sono del tutto umani, e quando lo sono non vivono la realtà che noi tutti conosciamo. Ciò consente il distanziamento dal personaggio, ma allo stesso tempo una strana empatia che ci avvicina a lui, sensazione perfettamente sintetizzata da Di Grado in: “Essere strani significa essere abbastanza diversi da poter esaminare ogni tratto umano con la perizia neutrale dell’entomologo, e allo stesso tempo abbastanza uguali da riconoscersi in questi tratti quanto basta per struggersi di empatia”.
La sensazione di stranezza e incompiutezza – il weird appunto – è sottolineata dalla dimensione stessa del racconto breve, che ci scaraventa nel mezzo dell’azione senza troppi preamboli e ce ne fa uscire con l’impressione di esserne stati così coinvolti da aver lasciato lì dentro una vita a metà.
Tra i racconti più evocativi e stranianti, sicuramente Ricordo la luce (E. Emiliani), dove ci ritroviamo nelle vesti della novizia di un culto di altri mondi e scopriamo, quasi per sbaglio, uno dei misteri della nostra religione; aleggiamo tra il terreno – da cui cerchiamo di distaccarci – e il divino – cui aspiriamo, ma forse non ne siamo più tanto sicuri.
Tra i più coinvolgenti senza dubbio Progetto Berserkir (S. Bonfiglioli), in cui sperimentiamo la natura dei “mutaforma” norreni in una cornice molto più contemporanea, e Nei millenni (C. Salvatori), dove vestiamo i panni di una ricercatrice che gioca con la vita e la morte, ma anche gli “stracci” (consentitemi il gioco di parole) della mummia di un sacerdote del culto del Sole, lanciandoci in una sfrenata corsa nel trafficato mondo moderno.
Non mancano distopie claustrofobiche come Cupio dissolvi (F. Leonardi) o La Punizione Madre (N. De Lisi), ma i racconti più interessanti sono forse quelli che tentano, anche solo per un istante, di renderci parte integrante di un’entità collettiva, come in I ricognitori (L. De Santi), in cui siamo dei “kor”, esseri alieni che fanno parte di una società molto meno individualista della nostra, o in Caronte (L. Silvestri), dove, inaspettatamente, diventiamo gli occhi del pianeta che ha ospitato il nostro racconto.
Insomma, se volete assaporare qualcosa di veramente strano e fuori dal comune, se volete evadere anche solo per pochi minuti con la fantasia, affidatevi alle autrici di Women of Weird.
Un ringraziamento speciale a Moscabianca Edizioni
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