Con molto piacere, anche se con un po’ di ritardo, mi assumo l’onere e l’onore di commentare il nuovo inedito, firmato da nientepopodimenochè Paola “Barby” Barbato (“barby” è come la chiamo affettuosamente io, a scanso di equivoci).
Limitando al minimo gli spoiler, voglio cominciare dalla fine, essendo l’idea di base della trama decisamente pregevole e anche relativamente originale, benché modestamente io avessi già intuito qualcosa verso metà albo. Ci troviamo di fronte a un episodio assolutamente “psicologico”, di quelli che, non ho paura a dirlo, hanno fatto sognare le vecchie generazioni di Dylan.
Il “mostro” altro non è che un’infrastruttura, per così dire, della mostruosità dell’essere umano nella sua complessità e nelle sue sfaccettature. E’ stata forse la sua sostanziale “neutralità”, la mancanza di una vera e propria aggressività, per quanto in contrasto con l’aspetto truce, a farmi intuire che la risoluzione sarebbe andata a parare altrove, assieme, ve lo concedo, al suo tormentare persone tra di loro sconosciute, fatto questo trito e ritrito che non può non far tornare alla mente capolavori quali “Giorno maledetto” e “Frankenstein” in cui appunto le vittime sono in realtà colpevoli. Molto ingegnoso sul piano della creatività mettere al fianco dell’indagatore una ritrattista, fatto cruciale che in qualche modo darà inizio alla risoluzione della trama, consentendo una sorta di “adunanza” delle vittime-colpevoli. Tornando a questi ultimi, vale la pena di sottolineare che in questo caso tuttavia non si tratta di vere e proprie colpe, ma qui mi fermo perché SPOILEREREI troppo (voglio un nobel in coniugazione verbi improbabili dopo questa), svelandovi ciò che in quest’albo c’è di geniale, certamente non la pensata del secolo, ma sicuramente qualcosa che per me, che con le mie lamente della superficialità degli ultimi numeri vi ho ormai probabilmente nauseato nelle mie recensioni, è decisamente una boccata d’aria fresca.
Andando a ritroso, il difetto che ho riscontrato, se difetto si può chiamare, è la marcata preponderanza di cliché dylaniati, almeno per quanto riguarda i primi sviluppi della trama: difficile non pensare infatti a “Quando la città dorme” se addormentarsi diventa per la cliente di Dylan motivo di timore (e non a caso l’albo si apre intelligentemente ed elegantemente con un risveglio molto turbolento che segna l’inizio dell’effettivo incubo della malcapitata), e ovviamente anche a quell’altro capolavoro assoluto che è “Sogni” (albo speciale successivo all’ancor più celebre “Sette anime dannate” – nota per gli ignoranti!), anche se il mitico Wells è stato sostituito con un’improbabile “dottoressa House” che funge da ciliegina sulla torta per la risoluzione, ma non sarebbe stato più simpatico ed “onorevole” cogliere l’occasione per svelare qualcosa sul mitico Lord, piuttosto anzichenò, o magari la scelta la si è volutamente evitata per non esagerare con la “citazione” (piccola frecciatina per Barby)? Ovviamente nulla di grave, anzi, pollice in su per le pillole di scienza nell’albo: verificherò per pura curiosità personale se è vero che la corrente elettrica a bassa intensità può stimolare alcune facoltà cerebrali, mentre invece ho molto apprezzato la veridicità delle informazioni mediche inerentemente ai sonniferi e alla fase r.e.m.
Voglio a questo punto fare il passo più lungo della gamba e spendere due parole sulla molto discussa copertina. Come prima cosa: ok per il “brilla nel buio” benché non faccia granché pendant con la storia (anzi, oserei dire che non c’entra nulla), ma considerata la profondità e l’organicità della trama, perché relegare il tutto ad una banalissima faccia di DyD, seppur (?) decorata da una sorta di bastone di Asclepio che poi scopriremo essere una chiave (ebbene sì)? Una copertina del genere mi è sembrata in qualche modo una vera e propria offesa alla genialità della sceneggiatrice, e forse anche ai lettori: davvero esiste qualcuno che compra Dylan Dog perché la copertina “brilla nel buio”? Io direi col cavolo che brilla nel buio (che poi boh, tutta sta luce non la fa neanche), l’ombra del marketing stavolta si è allargata un po’ troppo, e onestamente spero di non trovarmi in futuro copertine glitterate, pelose, petalose o sa il cavolo cos’altro. Non perché abbia qualcosa contro questo tipo di trovate, ma perché poi mi troverei costretto a dare ragione a chi dice che la redazione sta grattando il fondo del barile.
Per terminare, clamoroso e sincerissimo pollice in su per i disegni: il tratto di questo disegnatore è uno di quelli che non dimentichi, in quanto ogni tavola è una piccola opera d’arte in cui ogni dettaglio è apprezzabile e ogni volto comunica perfettamente le emozioni del personaggio (ragion per cui il “mostro” di turno risulta particolarmente inquietante nella sua freddezza e impassibilità, oltre che nell’aspetto trasandato e truce). Oserei dire anzi che la matita è molto migliorata rispetto ad albi del passato, maturando e rinforzando personalità e identità: davvero dei disegni da 10 e lode, e se lo dico io che dò sempre poca importanza al settore…
Vi saluto, vado a cellophanare quest’ottimo albo con la speranza di leggere ancora storie di questa caratura: urrà per Barby, urrà per Dylan!
Dolan Dox
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