La prima stagione di The Boys è stata sicuramente una delle più grandi sorprese dello scorso anno, soprattutto per uno come me che non ama particolarmente i supereroi nelle loro vesti più “mainstream”. Quelle prime 8 puntate erano folgoranti, non tanto per il ritmo narrativo, quanto per l’intelligenza dei temi trattati e la loro messa in scena, riuscendo nell’intento di essere estremamente esplicita, ma mai volgarmente gratuita. Unendo tutto questo ad un cliffhanger finale sicuramente degno di nota, la serie Amazon Prime Video ha fatto subito breccia nel mio cuore, generando un’aspettativa che, seppur molto alta, è stata ampiamente ripagata dai nuovi episodi.
Ciò che colpisce di questa seconda stagione, ancora più che nella prima, è la cura maniacale che gli autori hanno riposto nel creare parallelismi con la realtà in cui viviamo. Un inizio di episodio come quello della puntata 7, “Butcher, Baker, Candle Maker“, è tra i più potenti e significativamente carichi che abbia visto negli ultimi anni, poiché riesce a spiegare l’alienazione dell’uomo moderno e la sua suscettibilità a determinate informazioni in meno di 2 minuti.
Il tema cardine di tutta la nuova stagione è infatti proprio l’importanza delle informazioni, la loro manipolazione ed i conseguenti effetti sull’opinione pubblica, il tutto amplificato grazie all’introduzione del personaggio di Stormfront, una supereroina dal passato decisamente oscuro, che aiutata dalla sua schiera di ammiratori – che oggi definiremmo “simp” – riesce a manipolare le notizie per mascherare le sue ipocrisie ed alimentare o screditare gli eventi a sua discrezione.
Tutti i temi cari alla serie, inoltre, vengono snocciolati perfettamente, in un quadro che dipinge la cultura capitalista moderna degli Stati Uniti per quello che è: una ricerca del guadagno e del prestigio sopra qualsiasi etica o morale, che sfrutta ogni tipo di elemento solo a scopo di lucro, banalizzando e piegando ai propri fini ogni messaggio positivo. Si passa dalla creazione di icone inclusive (omosessuali, diversamente abili, minoranze) solo per pubblicità, alla fidelizzazione al prodotto, che rende l’opinione pubblica anestetizzata alla critica oggettiva ed offre una scusa a qualsiasi comportamento delle multinazionali (qualcuno ha detto Disney?), arrivando fino alla destrutturazione del supereroe classico, che ormai ha superato anche la descrizione post-moderna dipinta in Watchmen.
Nella storia di Alan Moore, i vigilanti sono descritti come umani, con i propri vizi e le proprie (poche) virtù, che però posseggono sempre ambizioni e potenzialità fuori dal comune; in The Boys i supereroi sono post-post-moderni, la loro moralità è in vendita al miglior offerente e le loro ambizioni, quando presenti, sono assolutamente egoistiche, mancando anche della megalomania (sia buona che cattiva) che ha sempre contraddistinto chiunque sia dotato di poteri sovrannaturali. Non è un caso, infatti, che l’unico “piano malvagio” classicamente fumettistico proposto sia legato all’ideologia nazista – presente negli anni delle golden e silver age dei supereroi – che qui esiste solo come “eredità” tramandata ai personaggi per motivi diversi, e non come idea originale di qualcuno di essi.
Volendo parlare di mera trama, invece, a differenza del primo arco narrativo il ritmo qui si fa molto più disteso, complice anche la scelta di diluire le puntate con uscite settimanali, dando più spazio all’approfondimento di tutti i personaggi, non solo quelli principali. Vengono esaminate anche le relazioni tra di essi, facendo spiccare, su tutti, Frenchie con Kimiko, Patriota con Stormfront e Abisso con la Chiesa della Collettività ed il suo tentativo di redenzione, tra le parti più esilaranti della serie. Apportare alla narrazione questa scelta – non apprezzata da molti binge-watcher – è stata secondo me un’ottima mossa per permettere uno slow burn verso un esplosivo finale che, oltre a non esser scontato e riserbare non poche sorprese, mette un primo punto alla storia dei Boys, non rimanendo in sospeso come il precedente, ma gettando ottime basi per le prossime stagioni.
Senza soffermarmi sul livello tecnico dell’opera, secondo me folle per i temi messi in scena e la loro “pericolosità” mediatica, gradirei spendere poche righe per parlare di qualche chicca inserita dagli autori, che rende il tutto ancora più “croccante”. Per esempio, i porno sui supereroi che si vedono nell’episodio 7 sono stati registrati per intero ed Eric Kripke, showrunner della serie, ha intenzione di rilasciarli per intero. Nel finale della seconda stagione è stata recuperata l’unica scena tagliata dalla stagione precedente perché “troppo esplicita”, e inserita in modo perfetto a testimonianza di quanto Amazon si fidi dei propri autori. Un personaggio dalla chiara ideologia nazista, quando si rivolge ad un bambino chiedendogli cosa gli piace, allude alla personalità di PewDiePie, che è stata al centro di scandali per un suo presunto antisemitismo. Come si fa a non amare questa serie?
La stagione 2 di The Boys per me è un chiaro passo avanti rispetto alla precedente, poiché trasforma un piccolo racconto dissacrante in una forte allegoria del mondo moderno, espandendo i suoi orizzonti e puntando sempre più in alto. Al netto di qualche sottotrama non al livello delle altre (fratello di Kimiko, sto guardando te), anche questa volta i Ragazzi sono assolutamente promossi e già non vedo l’ora rivederli in azione.
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