In occasione di una mostra dedicata a Dylan Dog a Pescara, abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Maurizio Di Vincenzo, uno dei migliori disegnatori dell’indagatore dell’incubo, che con grande simpatia e disponibilità ci ha raccontato qualche interessante aneddoto sul suo lavoro. Ci siamo preparati in anticipo qualche domanda e il nostro Dolan Dox si è occupato di porle al Maestro (a cui tra l’altro sta stretto questo appellativo).
DD: Domanda di rito sul tuo esordio in Bonelli: com’è stato entrare in quell’ambiente? Hai dovuto cambiare o evolvere il tuo modo di lavorare?
MDV: Loro mi hanno mandato un foglio con una sorta di decalogo sulle cose che normalmente non vengono fatte sugli albi Bonelli, come ad esempio far uscire gli elementi dalle vignette, poi nello specifico non mi ricordo il resto, però era tutto conforme a quello che era già il mio modo di disegnare, io addirittura per quello che mi riguarda sono fermamente convinto della gabbia a sei vignette tutte uguali, per cui figurati, sono più che inquadrato! Secondo me dal punto di vista della narrazione sono più adatte a un certo tipo di prodotto rispetto magari alle gabbie “isteriche” dei fumetti americani, perché quando queste hanno una funzionalità narrativa va più che bene, altrimenti no, io le definisco “isteriche” appunto perché spesso sono fini a sé stesse e secondo me non vanno bene.
DD: Al 1998 risale il tuo primo albo “Hook l’implacabile” (DyD n. 139), che ha ottenuto comunque un buon successo nonostante il momento forse non particolarmente roseo per la testata. Come ti sei trovato? Conoscevi già il personaggio o sei dovuto partire da zero?
MDV: Io compravo Dylan Dog dal primo numero e conoscevo gli autori che vi lavoravano, erano miei amici. Nel ’98 erano già vent’anni che facevo quel lavoro, per cui avevo conoscenze nell’ambiente e con i colleghi c’era un continuo scambio di informazioni, anche riguardo Dylan Dog, ad esempio con Marco Soldi e Gustavo Trigo, insomma non ero l’ultimo arrivato. L’unica differenza è che venivo da ESP che era una testata un po’ più libera dal punto di vista narrativo, mentre su Dylan Dog ho dovuto stabilire un registro diverso, ma questo fa parte dell’adattarsi a qualsiasi nuovo lavoro.
DD: Per restare in tema ti anticipo quella che sarebbe stata la domanda successiva: nel momento in cui è subentrato Recchioni c’è stata qualche evoluzione in questi termini? Hai avuto nuove direttive particolari?
MDV: No, assolutamente, anche perché io in genere lavoro su più storie contemporaneamente, non solo all’interno della testata, ma proprio in Bonelli. Da quando è subentrato Recchioni a quando ho finito gli albi sono passati un paio d’anni, per cui i miei primi Dylan Dog sotto la gestione Recchioni, ma non diretta, sono andati sull’Old Boy. Il mio primo albo “mutuato” davvero da Recchioni lo sto facendo adesso ed è sui testi di Riccardo Secchi, il figlio del famoso sceneggiatore Max Bunker.
DD: Volevo per l’appunto chiederti qualche aneddoto particolare riguardo agli sceneggiatori con cui hai lavorato, tra i quali mi vengono in mente Ruju, Manfredi, Medda, Di Gregorio, Faraci…
MDV: Ho ben poco da raccontare sugli sceneggiatori, loro non pensano che disegnare sia un’attività autonoma che richiede un pensiero (ride, ndr). Gli sceneggiatori non hanno una grande considerazione dei disegnatori, che “rovinano” le loro storie, non hanno una grandissima capacità di visualizzazione, per cui a volte capita che descrivano delle cose in maniera iper-dettagliata, senza rendersi contro che spesso è impossibile inserire tutto quello che vorrebbero e che qualora si riuscissero a mettere più cose possibili sarebbe compromessa la lettura.
DD: Avevamo reso questa domanda il più possibile politically correct e abbiamo ottenuto tutto il contrario!
MDV: Ma no, scherzo, alla fine con gli sceneggiatori si instaura un rapporto che va al di là del semplice rapporto lavorativo, perché spesso attraverso le chiacchierate con le quali ci si coordina su una storia magari si mettono le basi per quelle future. Con gli sceneggiatori con cui poi ci si trova bene e sulla stessa lunghezza d’onda, nasce la scintilla per collaborazioni future: con tutti gli sceneggiatori coi quali ho lavorato successivamente ho fatto cose più mirate, per dire, quando ho iniziato con Ruju, che dal mio punto di vista è molto d’azione e in un certo senso poco adatto a Dylan Dog (ma è riuscito comunque a gestirlo benissimo), nel momento in cui ha potuto fare una sua serie ha chiamato me, perché si è reso conto evidentemente che capivo il suo linguaggio. Con Di Gregorio poi penso che abbiamo fatto tra le storie più belle di Dylan Dog, proprio grazie agli scontri e le critiche iniziali che in seguito ci hanno portato a raggiungere un equilibrio.
D: C’è uno sceneggiatore con cui non hai ancora lavorato e ti piacerebbe collaborare?
MDV: Veramente ho lavorato un po’ con tutti, certo mi piacerebbe lavorare con Sclavi, ma non credo che abbia più la voglia di una volta, per cui chissà…però è l’unico che mi viene in mente in questo momento.
D: Fuori da Dylan Dog cosa ti è piaciuto fare di più? Io seguivo molto Magico Vento.
MDV: Mi è piaciuto tantissimo fare ESP, secondo me è stato un capolavoro non abbastanza apprezzato, non tanto dal pubblico quanto dagli editori. Sarebbe potuto diventare uno dei fumetti italiani classici, invece sono usciti solo 18 numeri, più altri extra sparsi qua e là.
D: In conclusione, due parole sulla mia amica Rita Porretto e “Il lago nero”, l’ultima storia su cui avete lavorato assieme.
MDV: Te lo anticipo qui, ma poi ne parlerò anche con lei: con Rita purtroppo ho comunicato pochissimo perché avevo dei problemi familiari e credo che lei si sia fatta un’idea di me come di uno un po’ burbero (ride, ndr), perché non le ho mandato nemmeno una tavola, non avevo lo studio, non avevo nulla, lavoravo dove potevo, su una tavoletta di masonite a casa di chiunque, non avevo a disposizione nemmeno lo scanner e ci ha pensato il matitista a fare da tramite per le comunicazioni, quindi ne approfitto per mandarle un caro saluto.
Video con l’intervista integrale:
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