La base di un film decente è l’essere “grammaticalmente” giusto: scrittura, recitazione, fotografia, montaggio e tutto il resto, devono essere quantomeno sufficienti affinché un film risulti godibile. Per definirlo buono questo poi deve emozionare o comunque smuovere qualcosa dentro, coinvolgere gli spettatori almeno un minimo; con questo metro di giudizio, mi sento di poter definire ciò di cui vi parlerò in questa recensione meraviglioso.
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, diretto da Sydney Sibilia (regista di Smetto quando Voglio) e scritto sempre da lui assieme a Francesca Manieri (autrice di Veloce come il vento e Luna Nera) è un turbinio delle più svariate emozioni: si ride, si piange e ci si arrabbia grazie a battute e personaggi scritti non solo bene, ma con il cuore. Inoltre, è uno di quei (pochi) film in cui la dicitura “tratto da una storia vera” non equivale a una mistificazione o eventi strazianti o pesanti, ma al contrario permette di rendere i dialoghi e le scene ancora più divertenti e incredibili.
Siamo nella Bologna di fine anni ’60, e Giorgio Rosa (Elio Germano) si è appena laureato in ingegneria insieme all’amico Maurizio (Leonardo Lidi). Nel pub dove fanno baldoria Giorgio si incrocia con Gabriella (Matilda De Angelis), la sua ex-fidanzata, che per quanto gli voglia bene non riesce a stare sulla sua lunghezza d’onda, essendo lui un inventore visionario che vede il mondo a modo suo, e che spesso si distrae o combina disastri. Giorgio si offre di accompagnare a casa Gabriella in una macchina costruita da lui, che di conseguenza non ha targa, ed essendo sprovvisto di patente li arrestano tutt’e due; ciò li porta a litigare aspramente, con Gabriella che gli ribadisce come il mondo non sia suo e che deve scendere a patti con la realtà.
Sarà proprio questo a dare il via all’inventiva di Giorgio e permettergli, insieme ad una serie fortuita di eventi, di creare insieme a Maurizio un’isola fuori dalle acque territoriali italiane (a 20 minuti di barca da Rimini) e dichiararla indipendente. Questo duo, insieme a un naufrago, un organizzatore di feste tedesco nonché disertore nazista, e una barista appena diciannovenne, sfideranno quasi senza volerlo l’intero stato italiano, con i politici al governo che tra opinione pubblica e chiesa non sapranno dove sbattere la testa, e con Giorgio stesso che andrà fino a Strasburgo per ufficializzare l’esistenza e l’indipendenza dell’Isola delle Rose, o meglio Insulo de la Rozoj.
Tutto ciò che è mostrato nel film è tanto incredibile quanto veritiero: si fecero un governo, uno stemma, monete e francobolli, adottando come lingua ufficiale l’esperanto; ovvio che alcuni dettagli o eventi siano stati romanzati, tagliati o aggiunti, ma questo era necessario per poter raccontare questa vicenda nel modo più scorrevole e coinvolgente possibile.
La scrittura però non è l’unico elemento che eccelle: la fotografia rende le immagini spettacolari, il montaggio svolge egregiamente il suo dovere, e la colonna sonora colpisce al cuore grazie a brani originali e canzoni dell’epoca. Ogni singolo attore inoltre si rivela perfetto per la propria parte (con una menzione speciale ad Andrea Pennacchi nei panni del padre di Giorgio); Elio Germano e Matilda De Angelis danno ai loro personaggi un marcato accento bolognese, che sorprende e fa tanto sorridere quanto emozionare. La regia di Sibilia non è ovviamente da meno, e grazie a lui tutti questi ottimi ingredienti vengono combinati portando su Netflix uno splendido lavoro d’équipe.
Tuttavia, uno dei più grandi meriti di questo film è alzare o quantomeno mantenere in alto l’asticella della qualità del cinema italiano, come hanno fatto negli ultimi anni il già citato Smetto Quando Voglio, Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento, Dogman e (purtroppo) pochi altri. In un panorama di solito rigurgitante di “commedie” alla Vanzina o di film drammatici ambientati quasi esclusivamente a Roma, L’incredibile storia dell’Isola delle Rose lascia sperare che prodotti come questi diventino sempre più la norma e non solo perle occasionali; come insegna giustamente Giorgio Rosa, bisogna pur rischiare per cambiare il mondo… o quantomeno provarci!
Un ringraziamento speciale a Netflix
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