Una battuta che ho letto spesso in queste settimane è su quanto abbia sofferto la schiena di Pedro Pascal a trainare tutto l’universo di Star Wars. Non sarà un devastante discorso di George Carlin, ma è tristemente vero.
In questa seconda stagione Din Djarin è ancora in viaggio con il “bambino“, nel tentativo di trovare un luogo sicuro e in cui possibilmente il piccolo si senta a casa. Nel corso delle avventure Mando farà la conoscenza di personalità note (non per lui) dell’universo creato da Lucas e inevitabilmente lo scontro con Moff Gideon andrà infuocandosi.
Nella prima stagione avevo riscontrato un solo problema: l’espediente della puntata verticale, con quest che il protagonista doveva affrontare di volta in volta. Era furbo, ma nascondeva una gestione della trama orizzontale poco omogenea. Ecco, arrivati a questo punto possiamo anche cancellare questo “neo”. Negare che The Mandalorian abbia basato praticamente ogni sua puntata su uno schema quasi da videogioco, in cui il protagonista deve compiere determinate missioni per ottenere un premio, è miope, ma non è (più) un difetto. In queste 8 nuove puntate infatti è stato molto più evidente come la macro trama si muovesse parallelamente alle avventure, e come ogni nuovo personaggio incontrato abbia aiutato in maniera lampante la crescita di Din.
Questo ci porta a quello che continua ad essere il vero punto a favore di questa serie: il puro e semplice intrattenimento. The Mandalorian non ha pretese, prende uno dei topos narrativi più utilizzati per divertirsi, divertirci ed emozionarci, inserendo belle citazioni cinematografiche (il solo episodio “La jedi” basta in quanto a omaggi della settima arte), coreografando ottimamente ogni scontro e regalandoci momenti da brividi.
Il talento di Jon Favreau è stato proprio quello di calibrare l’effetto nostalgico che Star Wars sa creare, persino su un ventitreenne come il sottoscritto, che si è appassionato alla saga decisamente qualche anno dopo l’uscita nelle sale dell’Episodio IV. Quest’effetto si ritrova in tante piccole cose: negli alieni antropomorfi fortemente pupazzosi, nelle transizioni, nei particolari poco credibili di armature e soldati e, soprattutto, in alcune pietre angolari dello Star Wars originale, che qui vengono piazzate lungo la serie con il contagocce.
Sicuramente, però, il ritorno tanto atteso di uno dei personaggi più amati della saga e la prima comparsa live-action del personaggio forse più amato di Filoni, sono stati elementi fondamentali nel successo di questa stagione.
Arriviamo dunque alle performance attoriali. La ex-Vipera Rossa Pedro Pascal continua a mostrare eccezionale talento nel comunicare quanto deve -quasi- costantemente coperto dal casco, e non si può non citare l’enorme lavoro che gli stunt hanno portato in scena in questa serie, contribuendo a dare un’incredibile sensazione di “artigianalità” e fisicità agli scontri. Tuttavia a brillare è, per la quarta volta come antagonista in una serie tv di grandissimo successo, Giancarlo Esposito, la cui voce e l’aspetto serio continuano ad essere tratti perfetti per un villain freddo e spietato, indifferentemente se ci troviamo su una nave ammiraglia o nell’ufficio dietro un fast-food.
Se poi passiamo al lato tecnico non si può non lodare il lavoro nella fotografia e nella soundtrack. La prima ci regala fotogrammi meravigliosi (la combo nebbia-spada laser non smetterà mai di fare effetto) e la seconda accompagna le scene in maniera eccepibile (l’ultima puntata mostra a pieno le potenzialità di trovare la giusta traccia ai giusti protagonisti della scena).
È doveroso infine citare due altri aspetti magari non proprio centrali che hanno fatto guadagnare punti alla serie. Il primo è il “fattore cuteness“. L’inserimento di un personaggio o un animale carino e che ispiri solo buoni sentimenti è sempre stato importante nella saga (uno dei tanti modi per puntare sul merchandise), basti pensare a creature come gli Ewok -almeno tecnicamente carini- o i Porg dell’ultima trilogia, o ad alcuni droidi come D-O, comparso nell’Episodio IX.
Il più famoso però è BB-8, ed è proprio confrontando l’utilizzo di questo droide con l’elemento cute di The Mandalorian che si nota la qualità del prodotto seriale. BB-8 non ha alcuno spessore caratteriale, è piazzato lì solo per essere carino e di conseguenza dopo poco diventa anche fastidioso. Dall’altro lato “Baby Yoda” è l’elemento pivotale della serie, ma soprattutto ha contestualizzate alcune azioni, che quindi non si esauriscono in quel momento ma tornano per inspessire il suo personaggio e quello di Mando.
L’altro aspetto che ha influito molto è stato il metodo di rilascio della serie. Questo è un argomento che apre sempre molte discussioni e secondo me non c’è una risposta applicabile universalmente: alcune serie hanno senso rilasciate in blocco, altre acquistano valore date al pubblico settimanalmente. Lost, The Boys e The Mandalorian sono sicuramente da includere nella seconda categoria.
Puntate come “La tragedia” perderebbero la metà del pathos se subito dopo potessimo guardare la puntata successiva, o la puntata finale “Il salvataggio” non avrebbe avuto lo stesso effetto senza settimane di climax e di preparazione. Non ci si può quindi esimere dal complimentarsi con Disney per questa scelta, che sicuramente è stata dettata da scelte stilistiche e non dall’incastrarci a mantenere l’abbonamento alla sua piattaforma per mesi.
Al netto della struttura degli episodi, che può piacere o non piacere, questa è stata una grande stagione. Sono state chiuse al meglio importanti storyline ed è stato preparato il terreno per svariati nuovi prodotti (oltre ad Ahsoka e Rangers of the New Republic, è stato annunciato lo spinoff su Boba Fett), ma soprattutto per il futuro del cowboy spaziale e il suo rapporto -sempre più complesso- con la cultura mandaloriana.
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