Enormi creature deformi, macabri luoghi rimasti abitati solo da fantasmi e un ragazzino, immerso in un assordante silenzio interrotto da sinistri rumori di sottofondo. Sto parlando di Little Nightmares II, il nuovo platform narrativo di Bandai Namco Entertainment sviluppato dai ragazzi svedesi di Tarsier Studios. Ognuno di noi serba nel cuore paure ed ansie, cose successe in passato che inconsciamente si vogliono tenere nascoste. Questo titolo è in grado non solo di scovarle, ma di riportarle alla luce tornando indietro ai tempi della scuola, materializzando davanti agli occhi del giocatore l’orrore. Gli incubi prendono forma, diventano concreti, reali, e saremo proprio noi ad avere il compito di contrastarli.
Qui, infatti, non si tratta semplicemente di sconfiggere i mostri che in ogni momento tentano di agguantarci. Ciò che dovremo fare sarà vivere una storia, raccontata non con dialoghi e testi come di consueto, ma semplicemente attraverso i luoghi che andremo a visitare. Tutto questo, tentando di non venire sovrastati dalle mastodontiche e deformi proporzioni di qualsiasi cosa ci circondi. Il gameplay diventa, quindi, un mezzo attraverso il quale verranno evocate le emozioni più recondite del giocatore. L’atmosfera nella quale il fruitore si troverà immerso è difficile sia da definire che da collocare in un tempo storico. Tutto sembra come sfumato nel tempo, identificato solamente grazie a simboli ed archetipi che donano al gioco una parvenza di fiaba dai tratti malinconici e deviati.
L’illusionista Derren Brown, comparso in uno dei trailer di Little Nightmares II, ci spiega che gli incubi sono un fenomeno misterioso, incomprensibile. Essi, infatti, nonostante spesso non ricordiamo neanche di averli vissuti, hanno la capacità di influenzare la nostra mente in modi che non possiamo nemmeno immaginare. Questo è proprio ciò che accade nella Città Pallida, intrappolata in una dimensione distorta dal costante segnale radio proveniente da un gigantesco ripetitore. Come un richiamo a cui non si può resistere, ipnotizza le persone mediante gli schermi delle TV, diffondendo ovunque un malessere impalpabile quanto concreto, incarnato in una spaventosa creatura longilinea: lo Smilzo. Esploreremo un mondo aperto, che si alterna tra una natura selvaggia ed una città in rovina, contrapponendosi ai claustrofobici spazi angusti delle Fauci del primo capitolo.
Il nuovo protagonista che ci farà compagnia si chiama Mono, è un ragazzo con il volto interamente nascosto dietro una maschera di carta, forse per tentare di difendersi da ciò che lo circonda. Accanto a lui ritroviamo la piccola Six, che sarà fondamentale per percorrere questo viaggio in bilico tra prequel e sequel. Questa volta, riusciranno Mono e Six a sopravvivere agli orrori?
Little Nightmares II è letteralmente una costante ed inarrestabile allegoria, nata come l’incubo di due bambini in lotta con un mondo che sembra più una prigione e che poi muta in qualcosa di più profondo e vario. Nonostante i temi trattati siano chiari e la linea narrativa riprenda ampiamente quella utilizzata nel gioco precedente, il racconto risulta spesso criptico, forse troppo. I punti della trama rimasti in ombra, aggiunti all’impossibilità di collocare il tutto in una linea temporale precisa dell’universo narrativo, lasciano in chi gioca un senso di smarrimento: si vorrebbero colmare questi buchi, ma non ne viene data la possibilità, o almeno, così sembra. Sebbene durante la prima tranche saltino subito all’occhio alcune piccole mancanze all’interno della trama, malamente rattoppate con un alone di mistero, giocando il titolo una seconda volta si ha una rivelazione.
Percorrendo l’avventura con calma, infatti, si possono notare dettagli che inizialmente rimangono in secondo piano. Questi vanno a creare omogeneità, andando a riempire quelli che, a primo impatto, sembravano dei buchi della trama. Nonostante l’enigmaticità rimanga, in ogni caso, uno dei punti saldi del lavoro di Tarsier Studios, facendo attenzione si riesce a vedere il quadro completo e a cogliere le varie sfaccettature della trama nella loro interezza. Uno dei temi che più emerge, oltre a quello della paura della scuola che viene raccontato con minuziosità e precisione, è quello dell’evasione, la fuga da una crudele realtà che, invece che coltivare le giovani menti, le distrugge senza pietà.
Parlando del gameplay, Little Nightmares II si presenta come un platform a scorrimento orizzontale con la possibilità di sfruttare, in aggiunta, anche i movimenti in profondità. L’introduzione di quest’ultima, però, non ha portato grandi vantaggi al gioco. Spesso la percezione che si ha degli spazi non è in linea con i movimenti effettivi del piccolo Mono, portando così ad una scarsa precisione nel direzionare il personaggio e ad un controllo dei movimenti approssimativo. Il giocatore si troverà immerso in un’alternanza di silenziose e delicate fasi stealth e di enigmi da risolvere. Nascondersi dai feroci occhi del nemico di turno, la maggior parte delle volte enorme rispetto a noi e sicuramente inarrestabile, è un punto focale del gioco. Rispetto al primo capitolo, queste fasi sono molto più gestibili sia in termini di spazi, che nelle tempistiche entro le quali bisogna agire. Anche se nella maggior parte dei casi è facile intuire quando muoversi e dove nascondersi, la tensione è palpabile e resa concreta grazie all’aspetto sempre inquietante del nemico e alla musica azzeccata e d’effetto.
Per quanto riguarda gli enigmi, invece, si nota chiaramente una maggiore vastità e differenziazione delle ambientazioni in cui essi sono collocati. Questo, ha permesso agli sviluppatori di creare una gamma di approcci ai problemi più vasta, dando vita a soluzioni ingegnose capaci di mettere alla prova la mente del fruitore. Un’altra nota positiva dedicata agli enigmi è la loro interazione con la narrazione: nonostante non sempre la loro soluzione sia immediata, sia a causa dei meccanismi che delle tempistiche delle azioni, essi non rappresentano mai un ostacolo nella prosecuzione dell’avventura. Nel caso in cui, ad esempio, il giocatore si ritrovi ai ferri corti con uno dei rompicapo, la piccola Six andrà in suo aiuto dando, con lo sguardo, delle dritte su come agire. L’utilizzo del PNG a tale scopo risulta una trovata interessante ed efficace che, oltre ad abbassare il livello di frustrazione nel caso in cui si rimanga bloccati, rafforza quel senso di complicità che il team di Tarsier ha voluto creare tra i due protagonisti.
Viene quindi introdotta la meccanica cooperativa, un’altra novità apprezzata, funzionale e di grande effetto nonostante il gioco rimanga comunque single player. Il fatto che i livelli siano stati ampliati in termini di dimensioni e meccanismi, fa sì che il giocatore singolo non riesca più a gestire tutto da solo, rendendo la collaborazione fondamentale per uscire indenni dalla situazione. Six, la minuta bimba dal cappuccio giallo, ha il ruolo di fidata compagna che farà da spalla a Mono nel percorrere questa cupa e disturbante avventura. Grazie alla ben strutturata intelligenza artificiale che la governa, Six mostra comportamenti del tutto credibili e realistici, collaborando sia nell’esplorazione degli ambienti che nella risoluzione degli enigmi. Nonostante il supporto dell’AI introdotto, per il momento la serie di Little Nightmares rimane come già detto un’esperienza da giocatore singolo anche se, vista la funzionalità del duetto, non è da escludere che il prossimo capitolo potrebbe vertere all’inserimento della modalità multiplayer.
Parliamo ora dei combattimenti. Per movimentare un gameplay che altrimenti risulterebbe forse un po’ troppo statico, viene offerta la possibilità al fruitore di difendersi dai nemici utilizzando oggetti presenti nell’ambiente. Che sia un tubo metallico, un mestolo o un martello, ogni cosa che possiamo impugnare ed utilizzare come arma è, in proporzione a Mono, enorme (così come anche tutto il resto che lo circonda). Questa diversità di stazza rende l’utilizzo degli oggetti lento e faticoso, con la tempistica che gioca un ruolo decisivo per la riuscita della difesa: un solo colpo o un solo secondo di esitazione basteranno infatti per ucciderci.
Anche se a livello pratico può sembrare una scelta non azzeccata, questa particolare modalità di combattimento si amalgama perfettamente con l’intenzione degli sviluppatori di fare sentire il giocatore indifeso: impugnare un’arma non cambia il fatto che siamo fragili, in costante pericolo. Un altro elemento che mette in difficoltà il giocatore durante gli scontri, questa volta da un lato puramente tecnico, è la percezione della profondità che, come già accennato, risulta distorta ed ingannevole, rendendo difficoltoso colpire in modo preciso il nemico o infilarsi nei piccoli infratti per fuggire. Per sopperire a questa piccola lacuna e tamponare il sistema di trial and error decisamente abusato, ogni livello è costellato da checkpoint che permetteranno di non dover ripetere tutto dal principio ad ogni morte.
In quanto al ruolo fondamentale che l’ambiente ha nei confronti della parte narrativa, in Little Nightmares II l’environmental storytelling viene sfruttato pienamente. Nel gioco, infatti, si sente fortemente il concetto di “show don’t tell“, uno dei migliori strumenti in assoluto che un videogioco possa utilizzare per raccontare e raccontarsi. Il gioco invita chi ne fruisce a procedere lentamente per guardarsi attorno, analizzare le differenti sottotrame e notare tutti i piccoli dettagli nascosti che rendono vivo il mondo. La narrazione è indiretta, e l’unico modo per arrivare a conoscerla e capirne interamente il significato è mettere insieme tutti i pezzi del puzzle sparpagliati qua e là, nascosti nei livelli.
Dal punto di vista meramente artistico, ci troviamo davanti ad un ottimo lavoro. Il secondo capitolo della serie continua a lasciare senza fiato lo spettatore, trasportandolo in un mondo di terrore e ansia, a tratti catastrofico. I livelli sono ben strutturati: ogni singola stanza è il risultato della realizzazione di un’idea non solo curata nei minimi dettagli ma anche espressa nel modo migliore. Gli oggetti, le luci, la musica, i colori… tutto racconta una storia che, per i giocatori più acuti ed attenti, non avrà segreti.
Sia a livello artistico che a livello tecnico, quindi, il risultato è un’opera di pregio capace di far venire i brividi. Tutto è miscelato alla perfezione, i ricchi scenari sono accompagnati da una colonna sonora sempre ben riuscita, che riesce senza sforzo a creare picchi di tensione ed inquietudine. I Bulli, il Cacciatore, la Maestra e lo Smilzo, così come anche tutti gli altri personaggi, nonostante le loro spiccate diversità hanno un design da far accapponare la pelle, sono abitanti perfetti per un mondo così mostruoso.
Nonostante sia un’avventura completabile tranquillamente in circa 8 ore, Little Nightmares II lascia un segno netto nella mente del giocatore. A differenza del primo capitolo, nel quale si veniva inghiottiti da un’atmosfera disturbante e raccapricciante, qui il terrore che viene emanato dalle immagini è molto più concreto, esplicito e diretto. La sensazione è di essere spiati, braccati da orribili ed affamati mostri nascosti nell’ombra. Queste particolari sensazioni sono costanti ed irremovibili, contorte come i movimenti dei manichini deformi che infestano l’ospedale abbandonato, in attesa di un nostro passo falso per agguantarci.
Come denota anche la totale assenza di jumpscare, questo non è un gioco che ha l’esigenza di spaventare ma, piuttosto, di portare in vita incubi dell’immaginario collettivo, gli stessi che ognuno di noi, molto probabilmente, cela dentro di sé in segreto. Il nuovo nato di casa Bandai Namco è disponibile per tutte le piattaforme, pronto a trascinarvi in un lugubre, adorabile, piccolo incubo.
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