Ridley Scott è uno dei miei registi preferiti in assoluto, ed è tra i più prolifici del panorama hollywoodiano. In pochi possono vantare una filmografia che inizi con 3 capolavori, uno dietro l’altro – I Duellanti, Alien e Blade Runner – e sebbene non abbia mai più raggiunto le vette di questo trittico inziale, il suo lavoro riesce sempre a suscitare grandi riflessioni e porre questioni importanti, soprattutto quando tocca la fantascienza.
Non solo l’acclamato The Martian, ma anche i bistrattati Prometheus e Alien: Covenant – tutti alla base delle riflessioni di questa serie – sono tra i migliori film del decennio passato, e la serie tv Raised by Wolves, di cui è produttore esecutivo e regista (per i primi due episodi), non è che la naturale continuazione ed evoluzione della filosofia Scottiana di quei temi a lui cari quali la religione, la nascita, la creazione, l’identità e le implicazioni morali della sopravvivenza.
Raised by Wolves è la storia di due androidi, Madre (Amanda Collin) e Padre (Abubakar Salim), che vengono inviati di nascosto sul pianeta Kepler-22b con una scorta di ovuli fecondati per dare il via ad una nuova atea umanità, al fine di evitarne l’estinzione. La Terra, infatti, è stata ormai dilaniata dalla guerra tra i Mitraici, religiosi devoti al dio Sol e vincitori del conflitto, e gli atei, condannati a rimanere sul pianeta morente. I religiosi hanno a disposizione una gigantesca nave spaziale, “l’arca“, sulla quale fuggire per continuare a vivere secondo i loro ideali e fondando la loro città sacra su un nuovo pianeta (ovviamente Kepler-22b).
La serie è incentrata proprio su questo scontro ideologico, e su come queste due correnti di pensiero possano crescere in modo diverso i figli, pur facendo parte della stessa umanità. Protagonisti indiscussi infatti, oltre ai due androidi e la rispettiva coppia genitoriale Mitraica – Marcus e Sue, interpretati rispettivamente da Travis Fimmel e Niahm Algar – sono i bambini, che in una folta schiera riescono a coprire quasi tutto lo spettro dei comportamenti umani, lasciando brillare inoltre Campion e Paul come personaggi di spicco.
I dilemmi morali messi in gioco durante gli episodi non sono mai banali e tutta la serie si svolge come un’evoluzione continua dei personaggi, ma soprattutto delle loro convinzioni, che lentamente cadono sempre di più fino ad una vera e propria distruzione degli ideali – umani o androidi che siano – e la successiva ricostruzione a seconda delle esperienze vissute. Non è possibile replicare l’esperienza umana su un pianeta che non è la Terra, l’adattamento è l’unico modo di sopravvivere, anche a costo di rinunciare alla propria identità.
La narrazione, seppur piena di metafore e riferimenti religiosi, riesce a non essere mai ridondante e non gravare mai sul ritmo, che di conseguenza risulta sempre perfettamente calibrato sulla sua velocità, prendendosi i suoi tempi ma senza diventare noioso. La parte migliore di Raised by Wolves sta proprio nel “come” vengono trattati determinati temi, e soprattutto, pur parlando tantissimo di dualità – uomo/macchina, sacro/profano, bambini/adulti, amore/odio, vita/morte, sé stessi/altri – riesce a non tracciare mai una linea netta, evitando così di separare ciò che vuole rappresentare.
Si porta avanti la tesi secondo la quale i comportamenti umani non sono ascrivibili non solo ai geni, ma anche alla propria ideologia, creando dei personaggi veramente complessi e sfaccettati, grazie anche ad una performance attoriale fantastica da parte di tutti i coinvolti, da Travis Fimmel (già apprezzato in Vikings) ad Amanda Collin, probabilmente la sorpresa più grande. Anche a livello visivo la serie è fantastica, con una fotografia dai colori desaturati, estremamente pertinente, fino ad una regia sempre ispirata ed elevata per un prodotto televisivo.
Gli effetti speciali sono quasi sempre ottimi, se non per qualche sbavatura che però non inficia minimamente la visione. Per tutte le 10 puntate la serie riesce a mantenere altissima l’attenzione, creando nuovi misteri e proponendo immagini che parlano da sole, andando a stimolare la fantasia degli spettatori in attesa della seconda stagione. Tuttavia ciò che viene messo in scena è già talmente bello e pregno di significato così com’è che anche il cliffhanger finale lascia soddisfatti dell’intera visione.
Il progetto è nato per HBO Max dalla penna di Aaron Guzikowski (già sceneggiatore del film Prisoners di Denis Villenueve), che inoltre lo supervisiona completamente insieme a Ridley Scott, dal quale mutua gran parte dell’immaginario visivo fantascientifico. Gli androidi, nelle loro parti interne, sono palesemente quelli dell’universo di Alien (composti di liquido bianco e una serie di sfere e organi dalla forma umana); le creature che abitano il pianeta, pur avendo forma umanoide, in molte scene vengono riprese con delle sembianze da “xenomorfo”, così come molte scene dell’ultima puntata richiamano il capolavoro di Scott; la tecnologia, sia umana che aliena, ricorda molto quella di Prometheus e Covenant, con dei rimandi anche più che palesi.
Inoltre i temi trattati, dalla nascita e creazione fino alla religione, sono trattati esattamente come nell’immaginario proposto del regista britannico. Complice anche l’incertezza sul futuro della sua trilogia prequel di Alien, e colpito dal progetto di Guzikowski, Ridley Scott sembra quasi voler continuare tematicamente quanto gli è stato tolto dalle mani, partecipando per la prima volta attivamente ad un prodotto televisivo, elevandolo dalla mediocrità della serialità moderna con una proposta sì autoriale, ma fruibile da chiunque, sempre consapevole di dover fare un passo in più rispetto ai prodotti di puro intrattenimento.
Raised by Wolves è, a mio parere, un piccolo gioiello televisivo, arrivato da noi qualche mese in ritardo rispetto all’uscita USA grazie a Sky, che merita la visione non solo se amate il lavoro di Ridley Scott, ma anche se siete appassionati della fantascienza più elevata, quella capace di sondare l’animo umano pur ponendosi a migliaia di anni luce di distanza, avendo solide basi sul quotidiano ed analizzandole all’estremo tramite il genere. Aspetto con ansia la seconda stagione, che è da poco entrata in produzione, nella speranza che la prima non rimanga un unicum. Vero, Westworld?
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.