È bello pensare che in futuro la “rinascita” del cinema post-covid sarà identificata con un lucertolone atomico ed uno scimmione troppo cresciuto. Ebbene sì, perché quelli che pensavano che Tenet sarebbe stato l’apripista di una nuova stagione cinematografica, non avevano ancora fatto i conti con il Dio e con il Re, Godzilla e Kong che, dati alla mano, stanno facendo faville ai box office di tutto il mondo (ovviamente dove è consentito, mentre l’Italia, che apre i cinema solo per trasmettere le messe, è tristemente fuori da questo giro).
Godzilla vs. Kong è il quarto tassello del MonsterVerse, l’unico universo cinematografico rimasto in piedi oltre a quello Marvel, che quatto quatto, e non senza qualche intoppo di produzione, è riuscito dopo 7 anni anni a costruire le basi per arrivare al suo grande obiettivo: far scontrare due (veri) mostri sacri del cinema. Ma, peccato dirlo, il risultato finale lascia qualche perplessità.
Il film riprende le fila della storia 3 anni dopo Godzilla II: King of the Monsters, e già qui sorge spontanea la prima domanda: che fine hanno fatto tutti i titani che si erano inchinati davanti a Godzilla? Li hanno catturati? Li ha uccisi Godzilla? Se ne sono andati da qualche parte? Si sono suicidati? Non ci è dato saperlo e forse non lo sapremo mai, nonostante sarebbero bastate due linee di dialogo messe in bocca a qualcuno per chiudere questo discorso.
A parte ciò, ci ritroviamo Godzilla che dopo 3 anni di “pace” attacca misteriosamente una base della Apex Cybernetics, colosso hi-tech (dal budget apparentemente illimitato) che punta a “risolvere” il problema dei Titani. Dall’altra parte del globo troviamo invece il pacifico Kong nella sua isola, contenuto in una base Monarch (da quanto visto in Kong: Skull Island risultava piuttosto arduo arrivare sull’isola, figuriamoci costruirci qualcosa, ma tant’è…), pronto ad essere impiegato per determinati scopi che è meglio non anticipare.
Si sa, l’anello debole nei film sui kaiju è stato spesso rappresentato dal fattore umano, sul modesto standard di qualità delle sottotrame, atte nella maggior parte dei casi solo a favorire o innescare la furia dei mostri; ma se nei capitoli precedenti il livello era stato grossomodo sufficiente, in Godzilla vs. Kong l’asticella risulta indubbiamente abbassata.
Attorno ad un numero di personaggi eccessivo (ricorderò al massimo 2 o 3 nomi) con conseguenti buoni attori sprecati e caratterizzazioni profonde quanto una pozzanghera, viene imbastita una storia raccontata frettolosamente, in maniera a tratti troppo leggera (c’è anche il comic relief della situazione) e con dinamiche e risvolti di trama troppo raffazzonati e semplicistici. È ovvio che tutto debba condurre in una determinata direzione, ma a differenza dei precedenti capitoli viene palesemente a mancare quella sorta di “autorialità” nella narrazione che (ovviamente con tutti i limiti del caso) riusciva a rendere plausibili anche degli antichi ed enormi mostri sparsi per il globo.
Si chiude un occhio su alcuni espedienti narrativi stranoti nel cinema, ma (tanto per fare un esempio) vedere un ricercatore/scrittore che da un momento all’altro riesce a pilotare un nuovo prototipo di aereo antigravitazionale, è qualcosa che va ben oltre la sospensione dell’incredulità.
La storia di per sé non sarebbe stata neanche malvagia con 20 minuti in più a disposizione (questo è paradossalmente il film più breve del MonsterVerse) e con qualche personaggio superfluo tagliato, condizioni che, oltre ad amplificare la carica emotiva della storia, avrebbero potuto valorizzare personaggi potenzialmente interessanti come il figlio del Dottor Serizawa (non uno chiunque) ed impedire di bollare la maggior parte dei comprimari come macchiette buone o cattive, senza particolari sfumature.
Non è un caso che gli unici con i quali si possa provare ad empatizzare siano proprio i due protagonisti principali del film. A tal proposito, giustamente vi starete chiedendo: “sì, ma quindi Godzilla e Kong?”
Era necessaria questa sorta di introduzione, perché se da un lato con Godzilla vs. Kong purtroppo si raggiunge il punto più basso della saga per quel che riguarda gli umani, dall’altro è il capitolo che ci regala i migliori scontri tra titani mai visti finora. Che siano in mare o in città, le sberle, i calci, i colpi di coda e tutte le mosse possibili dei protagonisti risultano decisamente più credibili di molti dialoghi all’interno del film.
Il regista Adam Wingard dimostra di saper gestire alla grande delle situazioni potenzialmente caotiche portando sullo schermo combattimenti chiari, coinvolgenti, mai confusionari e mai troppo reiterati, esaltati alla grande da musiche che nei momenti giusti elevano al massimo la spettacolarità, e forse riescono a regalare anche qualche momento di epicità.
Alla fine è quasi impossibile non esaltarsi davanti a questo faccia a faccia tra miti del cinema e ad un tale spettacolo per gli occhi. È vero, nei film precedenti erano maggiormente percepibili tematiche come l’equilibrio nel mondo, il ruolo dei titani in esso e quello marginale ma invadente nell’uomo, tutti concetti che probabilmente aiutavano lo spettatore ad immergersi e ad immedesimarsi ancor di più nella storia. O magari, semplicemente, sono diventato troppo pignolo io, chi lo sa.
Quasi sicuramente la maggior parte del pubblico non vorrà altro che vedere il lucertolone e il gorilla più famosi del cinema darsele di santa ragione, e sotto questo punto di vista nessuno, inclusi i fan di vecchia data, potrà rimanere deluso. È proprio per questo (altrimenti perché guardare un film del genere?) che Godzilla vs. Kong non può non risultare spassoso e gradevole. Il Dio e il Re non solo “salvano” il cinema post-covid, ma riescono a fare il loro sporco lavoro e, alla fin fine, a salvare anche il film.
Probabilmente non sarà il crossover che tutti si aspettavano, ma forse è proprio quello di cui avevamo bisogno ad oggi. Lunga vita a Godzilla e Kong, sempre e comunque.
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