ATTENZIONE: QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER SUL FINALE DI ATTACK ON TITAN
Con la conclusione di Attack On Titan molti fan sono rimasti delusi dalla rapidità con la quale gli ultimi eventi sono stati narrati: è come se il nostro desiderio del mondo e della filosofia messi in gioco da Isayama non si sia ancora placato.
Effettivamente, durante i 10 anni di pubblicazione, la fitta rete di idee e pensieri dietro le pagine del manga ha creato un’interconnessione molto sviluppata tra eventi apparentemente molto distanti e sconnessi tra loro, tanto da lasciare sbalorditi anche i più attenti lettori e fruitori.
Tralasciando i primi volumi, dove Hajime Isayama mostrava ancora un tratto parecchio immaturo e delle idee non troppo chiare su quello che la sua storia sarebbe poi andata a raccontare, l’organicità e coesione dell’intera narrazione è disarmante.
La storia rappresenta una continua escalation che giunge infine al suo climax naturale e ideale. Stiamo parlando di un finale sicuramente non sopra le righe, sorprendente o innovativo, ma un finale giusto e coerente. In un certo senso potremmo definirlo anticlimatico, ma sicuramente tutto tranne che deludente.
Ridurre la complessità di un lavoro così mastodontico sicuramente non è un’impresa facile. I temi trattati durante la serializzazione sono stati innumerevoli e vari, andando a toccare le più svariate criticità della natura umana e non solo. In ogni caso, credo sia evidente come il tema cardine di tutto ciò che muove gli eventi e sprona i personaggi all’azione sia l’idea di libertà e libero arbitrio.
I protagonisti di AoT sono sempre stati affamati di libertà, dalla prima pagina fino a concludersi con l’ultima: un filo rosso che trascina con sé tutti i significati, i paradossi e le implicazioni che un ideale di questo tipo nasconde in maniera infida.
Il tranello teso dal libero arbitrio, di certo non immediatamente intuitivo, è stato reso da Isayama particolarmente concreto e di facile comprensione anche per i lettori meno avvezzi ai temi filosofici.
“Non stai sbagliando, perciò se vuoi fallo. La nostra differenza nel giudicare viene dall’esperienza. Non devi pensarci, scegli. Io non so a cosa credere, non l’ho mai saputo, nessuno può sapere il risultato delle nostre decisioni, perciò scegli qualcosa di cui non ti pentirai.”
Questo è il discorso pronunciato da Levi, che forse, meglio di tanti altri, rappresenta la centralità che assume il libero arbitrio all’interno della narrazione del fumetto; tuttavia, nel corso dei volumi, questa posizione cambia radicalmente, mostrando che la scelta libera non è mai stata un’opzione.
L’influenza del pensiero altrui, l’influenza delle azioni passate e del destino futuro ci forzano a prendere decisioni che solo apparentemente sono libere e nostre, ma che in realtà sono indotte e costrette da tutti questi fattori.
Eren, grazie alle conoscenze temporali che ottiene, comprende che in realtà una vera scelta non c’è mai stata, la strada percorribile è una sola ed era stata già segnata da lui e da tutti gli altri attori passati e futuri.
Avvisa i suoi compagni che saranno liberi di fermare la “marcia” se lo vorranno, conoscendo già in principio la decisione che prenderanno. Eren continua a giocare sulla linea di confine tra coincidenza del libero arbitrio con il determinismo, una sorta di compatibilismo, dell’essere e del non poter non essere.
Fino a che punto la nostra scelta è libera se era già scritto che l’avremmo già intrapresa? La consapevolezza di questo aspetto cambia radicalmente la psicologia del protagonista, cambia la sua interpretazione della sua stessa vita e di quella di tutti gli altri, lo porta a maturare e, allo stesso tempo, a riconfermare quella che è la sua unica strada presente e percorribile.
Sulle ali della libertà dello Jaeger (uccello presente nell’ultimo capitolo) volano tutti i personaggi principali, con una consapevolezza più o meno approfondita di quello che sia realmente la libertà, in un certo senso dimostrando che, per quanto la libertà sia un utopistico ideale nullificato dal determinismo imperante, sia comunque un leitmotiv e uno sprono per tutte le loro ambizioni e azioni. Personaggi come Historia rappresentano appieno questo concetto “anfibio” (con una doppia essenza); spesso la libertà coincide con il restare chiusi in gabbia andando in un certo senso a scontrarsi con l’idea intuitiva che abbiamo della stessa.
Effettivamente il protagonista è il personaggio che nel corso di tutti i capitoli matura ed evolve di più rispetto a qualsiasi altro. Noi lettori lo abbiamo visto crescere nella sua forza e nelle sue convinzioni. Tuttavia, la stessa cosa non può essere detta per molti altri personaggi (comunque principali nella narrazione), che purtroppo restano piuttosto piatti e privi di una forte evoluzione psicologica.
Sicuramente questo non fa bene alla coerenza della narrazione dell’opera. D’altro canto, se la psicologia di molti personaggi non è stata ben delineata e approfondita, la stessa cosa non si può dire per la razionalità e freddezza che assume la descrizione delle dinamiche sociali e psicologiche delle grandi masse che, maltusianamente, non fanno altro che riconfermare l’egoismo intrinseco alla nostra specie.
Il focus dell’autore è incentrato soprattutto nella descrizione perfetta della realtà in cui siamo immersi e nella scala di grigi di cui è formata: in AoT non ci sono buoni o cattivi, giusti o ingiusti, ci sono solo persone diverse con culture e idee diverse che si scontrano diametralmente per i loro punti di vista disgiuntivi.
Il capitolo finale riesce a chiudere tutti gli interrogativi e a mettere un punto fermo alla storia di Eren e dei Giganti. L’Attacco dei Giganti in questo modo non lascia nessuna domanda senza risposta e nessun dubbio insoluto. Proprio per questi motivi non mi sento di recriminarlo: un finale così era necessario per una giusta conclusione dell’opera in toto. Sicuramente stiamo parlando di un manga e un finale che segneranno il genere e il mercato per molti anni a seguire, imponendo un nuovo standard di profondità narrativa, complessità e realismo nel worldbuilding.
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