Il treno di Dalì è uno degli ultimi fumetti targato Shockdom su cui, lo ammetto, riponevo tante speranze, in quanto personalmente vicina all’artista Salvador Dalì. Leggere quindi un nome del genere nel titolo e vedere una copertina che rimandava all’estetica di tale artista, aveva decisamente alzato la mia asticella personale.
La storia ruota attorno all’investigatore Dalì, apparentemente con molto poco talento e tanti problemi da cui fuggire, che accetta un incarico che molti altri rifiuterebbero: ritrovare una persona scomparsa nella Città Nuova. Un’indagine non facile, costellata da personaggi peculiari che sembreranno apparire ciclicamente.
Non ci sono sottotrame e nemmeno tematiche forti, non è sicuramente un fumetto che propone o lascia un messaggio chiaro. È un fumetto da lasciar scorrere e fluire, che punta a lasciare delle sensazioni e scuotere l’animo, a “impressionare” il lettore con un’altalena di colori in cui la lente d’ingrandimento si posiziona sul protagonista, senza però concedere molto della sua figura, lasciandolo etereo in un limbo in cui si riesce a definire ben poco di lui.
Il problema ne Il treno di Dalì forse non sta nella sperimentazione, ma nel fatto che, essendo un fumetto che punta all’impatto visivo e all’emotività, almeno per quanto riguarda il mio giudizio non colpisce nel segno. Troppi interrogativi rimangono in sospeso, sinceramente ho sentito la mancanza di risposte. Viene offerto un mondo onirico, curioso, tutto da scoprire, ma viene tutto lasciato al flusso della narrazione che scorre come un fiume in piena e senza alcun controllo, espediente che non sembra avere piena efficacia in questo contesto.
Il lettore viene abbandonato troppo a sé stesso, confuso dalle ridotte coordinate narrative che gli vengono fornite, invece trovo che questo volume avrebbe potuto essere molto audace se avesse creduto ancora di più nel potere delle immagini, senza preoccuparsi di dover per forza dare al lettore qualche contentino, qualche nome, qualche informazione. Salvatore Vivenzio propone delle idee molto valide e innovative, che però avrebbero dovuto essere curate con più attenzione per esprimere al meglio il loro potenziale.
Il comparto grafico, a cura dell’esordiente Fabio Iamartino, mi lascia leggermente interdetta, perché in alcuni casi i disegni sono delle vere e proprie tavole evocative, mentre in altri, dove comunque non ci sono tracce di eccessivo dinamismo a giustificare una scelta del genere, risultano un caotico riempimento di colori con immagini caratterizzate da una grande fluidità. È come se il non prendere una strada ben delineata a livello di sceneggiatura si fosse rispecchiato anche nei disegni, che non hanno quindi seguito una via precisa e coerente.
Complessivamente si tratta di un discreto fumetto di esordio, ma la sua lettura non lascia grande soddisfazione, nonostante sia ben presente qualche picco di emotività, qualche attimo ben strutturato che lo impreziosisce. Il treno di Dalì ha tanto da offrire, ma va letto sapendo che come opera poteva dare di più.
Un ringraziamento speciale a Shockdom
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