È sempre molto complicato parlare di un film che dovrebbe concludere una saga, soprattutto se questa va avanti da decenni. È ancora più complicato se si tratta di Evangelion, i cui Rebuild hanno sempre costituito un’operazione particolare, un retelling dallo scopo sempre dubbio e fumoso. Se con il primo film della tetralogia, You Are (Not) Alone, venivano seguite pedissequamente le prime 6 puntate della serie originale con solo qualche piccolo dettaglio diverso, già con il secondo You Can (Not) Advance le cose hanno iniziato a prendere una piega inaspettata, aggiungendo nuovi personaggi e tagliando direttamente verso la puntata 19, con l’inserimento di un finale completamente diverso.
È stato poi con il terzo film, You Can (Not) Redo, che sono sorti i veri problemi, dato il salto temporale in avanti di 14 anni e un rimescolamento completo delle carte in tavola per quel che riguarda il setting e il mood di Evangelion; inoltre è il film narrativamente più povero e “astratto” dei Rebuild, che lascia più domande che risposte. Ora, dopo ben 9 anni – un tempo di lavorazione lunghissimo, in quanto Hideaki Anno è stato impegnato in altri progetti come il bellissimo Shin Godzilla – e numerosissime teorie da parte dei fan, tra loop temporali, metanarrazioni e pippe mentali di ogni tipo, finalmente è venuto alla luce Evangelion 3.0+1.0: Thrice Upon a Time, la pietra tombale sull’intera opera.
Essendoci tanto di cui parlare a livello narrativo e analitico, voglio togliermi subito il fardello dell’aspetto tecnico. Come ci si poteva aspettare, il film è visivamente splendido, con un’animazione che riesce ad unire tradizionale e digitale come mai si era fatto prima d’ora, e con una direzione artistica sempre molto ispirata. Anno attinge anche dalle sue prime opere come GunBuster e Nadia, da cui riprende e rielabora alcune inquadrature o design, quasi come se questo film fosse la chiusura di un cerchio, per l’inizio di una nuova fase artistica.
C’è qualche sbavatura a livello di CG nel momento in cui questa è presente da sola in scena, poiché quando non mescolata all’animazione tradizionale i movimenti appaiono più meccanici, ma nulla di inguardabile. Anche nel sonoro il film vola altissimo, e nelle musiche dà il meglio di sé con alcuni riarrangiamenti dei classici della serie e nuove tracce molto belle, anche se ogni tanto stridono con le scene mostrate. In generale rimane comunque una OST di alto livello, che soprattutto alla fine, combinata con le immagini, non può che strappare una lacrimuccia.
Complessivamente la regia di Anno – che si è avvalso di altri tre collaboratori per dirigere le singole scene, ma sempre sotto la sua supervisione – è molto più dinamica che in passato, e la camera viene posta nei luoghi più improbabili, creando inquadrature, spesso anche in movimento, molto originali. Non mancano comunque i suoi lunghi piani sequenza fissi, il marchio di fabbrica di Evangelion e della sua opera tutta, ma vengono dosati per le parti più introspettive, riuscendo a gestire in modo perfetto anche l’azione.
La trama riprende esattamente dopo la fine del capitolo precedente, che ci aveva lasciato con Shinji, Asuka e Rei che camminavano nel deserto sconfinato. Dopo un prologo ambientato in Francia (i primi minuti presentati dallo studio Khara qualche tempo fa) che vedono la WILLE intenta a purificare le principali città del mondo dalla core-ification avvenuta a causa del Near Third Impact, Thrice Upon a Time continua seguendo il cammino dei tre protagonisti, che arrivano in un piccolo villaggio abitato dai sopravvissuti di Neo-Tokyo 3 dopo gli eventi del secondo film, stabilitisi lì da ormai più di 14 anni.
Questa prima parte del film, circa un’ora delle 2 e mezza totali, è sicuramente tra le migliori di tutto il progetto Rebuild, ricca di approfondimenti dei personaggi (finora tra i punti più bassi di questi film) e situazioni cariche di significato che contestualizzano, a posteriori, molte delle scene passate, rendendo un minimo più comprensibile anche il terzo film. Nel corso del lungometraggio, infatti, sono presenti anche alcuni piccoli flashback risalenti a quel time skip di 14 anni, permettendo così di far luce anche sulle cose più misteriose.
A livello narrativo l’inizio della seconda parte, per circa mezz’ora, prende fin troppo una piega simile a You Can (Not) Redo, finendo per perdere tempo con nomi altisonanti di tecnologie fittizie, e inserendo una parte action che stonava già in passato. Fortunatamente però questa fase è solo di passaggio per l’ultima, bellissima, sezione finale, nella quale non solo viene contestualizzato tutto il progetto Rebuild of Evangelion in un modo che nessuna teoria dei fan avrebbe potuto prevedere – tirando in ballo la nuova genesi (neon genesis) della serie originale – ma anche arrivando ad un momento “End of Evangelion” nel quale l’approfondimento psicologico di personaggi come Gendo o Kaworu supera persino il livello dell’opera originaria. Questo perché, secondo la mia personale interpretazione, Hideaki Anno è ormai invecchiato e non sente più le pressioni e i disagi del giovane Shinji, ma si rappresenta più come Gendo nelle sue turbe di uomo sempre alla ricerca di qualcosa che ormai ha perso, ma di cui una volta non aveva bisogno.
È proprio questo dramma, ormai, alla base di Evangelion, almeno nella sua ultima incarnazione: se nella serie originale Shinji arrivava alla consapevolezza di dover accettare il dolore, perché non è possibile la vita senza di esso, come non lo è la felicità senza la tristezza, in questi Rebuild si analizza più la possibilità delle relazioni interpersonali, il loro peso nella creazione di un carattere proprio e il dramma di perdere qualcuno e non poter vivere senza di esso. Shinji ormai è maturato, e sta seguendo il percorso di chi prima di lui ha calcato questa terra, arrivando però a una conclusione diversa grazie all’esperienza che ha acquisito.
In un discorso anche metacinematografico, il finale liberatorio rappresenta anche la fine di Evangelion come opera. L’opera esiste grazie ad Anno che ha creato i personaggi condannandoli a vivere quella vita per la sua catarsi personale, e ora che una nuova genesi è possibile, ora che anche lui si è liberato sia dell’escapismo (End of Evangelion) che della paura della perdita e della conoscenza (3.0+1.01), ora che anche lui è riuscito ad andare avanti nella sua vita, l’opera può finalmente “sparire” dal mondo. I suoi personaggi trovano così sollievo, e in un finale molto alla “Twin Peaks: The Return“, ma significativamente opposto, possono finalmente vivere una vita senza il dramma imposto dal loro creatore.
Evangelion è un’opera complessa, nata da un sentimento potente e distruttivo e che, nel corso del tempo, si è evoluta con il suo autore. Anche se questo percorso ha avuto alti e bassi, momenti indimenticabili e altri al limite del ridicolo, ricalca perfettamente la vita di una persona nella sua interezza. Evangelion ha sempre avuto da dire molto di più di una semplice storia di fantascienza, e ora che tutto è terminato non possiamo che essere felici per questo traguardo raggiunto, dopo 26 anni, da un autore così importante nel panorama mondiale, non solo per il campo dell’animazione. Goodbye, all of Evangelion. And One Last Kiss.
Un ringraziamento speciale ad Amazon Prime Video
schifezza totale. trama assente, dialoghi sterili. termini in inglese senza senso.
vedere 1 ora il clone di rei che lavora nei campi. per passare a tunnel dimensionali teletrasporti fusioni di fantascienza senza limiti.
trama senza senso , nessuna base solida. da fan della seria preferisco gli episodi 25 26.
tutto incompresibile.
Forse stai descrivendo il 3.33.
Comunque per rispondere seriamente, penso che tu ti ci sia approcciato nel modo sbagliato. Ormai la serie originale e EoE sono state abbandonate, e dispiace anche a me moltissimo. Quelle per me sono il vero capolavoro di Anno, ma con la direzione presa da questi Rebuild, Thrice Upon a Time è, insieme al secondo, il miglior film della tetralogia. La parte del “clone di Rei che lavora nei campi” è forse la più importante insieme a quella del final impact, quella dove finalmente si vede un po’ di evoluzione psicologica, cosa che mancava pesantemente in questi 4 film. Il discorso sulla sua identità inoltre chiarisce vari punti dei film precedenti ma, ovviamente, non è uno spiegone. Sicuramente posso darti ragione, tutta la parte centrale, quella prima del Final Impact, che riprende il “Mood” del terzo film mi ha stuccato e non poco, odio il qualunquismo fantascientifico e le cose fatte giusto per, ma non si può negare che li, almeno visivamente sia uno spettacolo. Il film non è incomprensibile, è solo confuso in alcune parti, ma ha dietro gli strascichi di altri 3 film (soprattutto il terzo) che più che rispondere gettavano carne al fuoco, e con questa conclusione posso ritenermi soddisfatto, soprattutto con la parte di Gendo, la parte migliore di tutti i Rebuild. Sicuramente questi quattro film sono stati un’operazione strana, forse inutile, ma potevano finire molto peggio dopo you (can) not redo. Non è quel capolavoro di EoE o della serie originale, ma qualcosa la vuole dire, e almeno qui, finalmente, il disegno diventa più chiaro.
una lagna pazzesca. mi sono visto in 4 serate i film appena usciti su amazon video.
un ragazzino di 14 anni che si piange addosso continuamente.
fantascenza incontrollata senza basi e punti fermi.
che interessa allo spettatore di subirci 3/4 dello stato spicologico dei personaggi.
mix tra il sonnifero di “odissea nelle spazio” ” “the counsoler” di ridley scott e i vari mockbluster della The Asylum.
anche se è un film di fantascenza, deve esserci almeno dei punti cardinali di cosa su puo fare o no all’interno di una trama. come se in fast & furion alle fine del film vin diesel si trasforma in thor, vola e scarica fulmini.
non pu puo da un momento al altro cancellare tutte le basi di trama, passando da fantascenza a assurdità.
Penso che tu non conosca proprio Evangelion come opera, e che non abbia visto la serie originale + The End of Evangelion degli anni 90. Questi film sono un retelling di quella storia, sono un plus e non possono sostituirla, ma solo ampliarla. Si vede che non conosci la storia perché è proprio il punto dell’opera parlare della crescita e delle insicurezze di un ragazzino di 14 anni che deve affrontare prove più grandi di lui e si rifugia sempre nell’escapismo. Sicuramente questi Rebuild hanno difetti, nella fantascienza che dal 3.33 non prende più una direzione precisa e che sembra anche gettata un po’ a caso, sicuramente, ma nelle altre tue critiche vedo solo un accanimento contro un’opera che non è stata compresa, in quanto la psicologia dei persona è proprio alla base di Eva. Ti consiglio di recuperare l’opera originale per capire davvero di cosa si parla e poi riguardare i film. Ma prima di tutto ti consiglierei, per cultura personale, di capire perché per te “Odissea nello Spazio” è soporifero e senza senso. Non puoi cercare sempre lo stesso film fatto di eventi che si susseguono come trama “fitta” in qualsiasi film. Molti servono anche per esperimere un sentimento, mandare un messaggio, far riflettere. Evangelion è una di queste (lo era almeno, nella serie originale, in questi Rebuild hanno pigiato un po’ troppo sulla fantascienza random, ti do ragione), ma la parte finale di questo 3.0+1.01 è l’essenza stessa dell’opera, forse l’unico momento, di tutti i Rebuild, davvero Evangelion. Cerca di ampliare anche un po’ i tuoi gusti capendo qual è lo scopo di un film, e che non tutti possono e devono essere l’intreccio di Nolan.
L’ evoluzione psicologica dei personaggi è ben organizzata, trama spettacolare che nonostante non abbia dato risposte vere e proprie allo spettatore lascia intendere la vera natura della real-time evangelion. Si può dire che il rebuild nel complesso sia a pari passo con la serie originale e the end, il fatto di vedere quest’ opera solo come un romanzo fantascientifico penso sia fortemente limitativo e bisognerebbe aprirsi ad una visione più aperta e filosofica della serie.
Hanno ha fatto un vero capolavoro.
*Anno e non Hanno scusate
Grazie per il commento, Vittorio! Recupera anche il podcast con gli amici di Distopia Evangelion, potresti trovarlo molto interessante: https://www.nerdevil.it/2021/09/11/nerdevilate-goodbye-all-of-evangelion/
Sono d’accordo col vedere Evangelion come un’opera filosofica e libera dai vincoli di un genere specifico, quello che contnua a farmi preferire la serie originale e The End rispetto ai rebuild è il fatto che siano un’opera più organica, che nonostante la filosofia sia comunque ascrivibile al genere fantascienza senza però venirne limitata, anzi creando quasi un nuovo canone, oltre ai guizzi registici incredibili dati dalla carenza di budget. I rebuild vanno completamente “fuori” da qualsiasi logica, compiendo scelte interessanti o meno, ma per gusto personale, nonstante ne riconosca la validità (la recensione parla chiaro, quest’ultimo insieme al secondo son dei film bellissimi) e portino situazioni incredibili come il passato di Gendo, ho sempre fatto fatica a digerirli completamente.