No Time To Die

007 no time to die recensione

Voto:

Sono passati 15 anni ormai da quando Daniel Craig ha fatto il suo esordio come James Bond nel folgorante Casino Royale, un action tesissimo e narrativamente interessante, che portava la creatura di Ian Fleming su nuovi lidi, più realistici e crudi. Arrivati ora al quinto capitolo con Craig, passando per film alti (Skyfall), bassi (Quantum of Solace) e discreti (Spectre), viene ingaggiato Cary Fukunaga, regista della fantastica prima stagione di True Detective, per dare una degna conclusione a quest’arco narrativo prima dell’ennesimo reboot.

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No Time To Die continua il percorso di decostruzione del personaggio di Bond già iniziato con Skyfall, che però con Spectre si era un po’ perso di vista in favore di atmosfere più classiche e sopra le righe. Il passato rimane un elemento chiave: non solo quello di Bond – ampiamente elaborato nel primo dei due capitoli diretti da Mendes – ma soprattutto quello della Dottoressa Madeleine Swann (Léa Seydoux), che inizierà ad emergere dopo essere rimasto per fin troppo tempo sepolto.

A livello narrativo forse questo è il film con Craig che meglio si ricollega al precedente, riprendendo precisamente con James ormai fuori dai radar, in giro per il mondo assieme a Madeleine. Un attacco improvviso ai danni dell’ex-007 durante un viaggio in Italia lo porterà a dubitare della fedeltà della sua nuova compagna – che ricordiamo essere la figlia di un membro della Spectre – trascinandolo al centro di un intrigo internazionale nel quale il furto di un’arma di distruzione di massa, apparentemente non correlato al resto, potrebbe essere la chiave per liberarsi finalmente dai peccati del passato.

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Fukunaga, come nei suoi lavori precedenti, spinge molto sull’approfondimento psicologico dei personaggi – da ricordare sul tema anche la sua miniserie Maniac – dipingendo un Bond ormai crepuscolare e sensibile, come mai se n’erano visti prima d’ora. La sua relazione con Madeleine viene analizzata quasi come un dramma matrimoniale, poiché la donna qui non è più solo un oggetto del desiderio come le classiche Bond girl, ma una vera e propria compagna di vita, e questo genera in lui paure e insicurezze mai provate prima. È un Bond sempre più umano che riesce anche a scherzare su sé stesso, deridendosi da solo per smorzare le sue stesse tensioni, ma che al contempo dimostra di essere ancora all’altezza del suo doppio zero. Anche la Dottoressa Swann, costretta ad affrontare tutto quello che voleva rimanesse nascosto, si scioglie emotivamente nei confronti di una famiglia che ha sempre cercato, vedendola minacciata da uno spettro del passato (Rami Malek) e dallo strappo nella sua relazione con James.

In No Time To Die il peso doloroso delle scelte fa più male dei proiettili, rendendo fragili anche i personaggi più duri, spezzando ogni loro certezza. La passione per la mente umana del regista si nota inoltre anche in alcuni comprimari dei film precedenti, mostrando un Blofeld (Christoph Waltz) ormai psichicamente instabile nella sua cella d’isolamento, o un M (Ralph Fiennes) sempre in bilico tra l’istituzionalità burocratica, la sindrome dell’impostore e il desiderio di rendere il mondo un posto più sicuro.

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La regia di Fukunaga è ottima e riesce a dare pathos ed equilibrio sia alle scene d’azione – molto spesso girate con degli ottimi piani sequenza, tra cui uno sulle scale ispirato chiaramente a quello di Atomica Bionda – che alle scene drammatiche, con una fotografia che molto spesso desatura i colori per creare un limbo nel quale Bond si muove spaesato e senza punti di riferimento. Impressionante da questo punto di vista una scena nelle foreste nebbiose del Nord Europa, in cui si viene a creare un’atmosfera da Antinferno.

La colonna sonora di Hans Zimmer, che per la prima volta si trova a lavorare con il franchise, riprende fedelmente sia i temi classici che quello omonimo del film interpretato da Billie Eilish, non disdegnando però qualche incursione elettronica di rilievo, principalmente nelle tracce d’azione.

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No Time To Die è la degna e ottima conclusione dell’arco narrativo di Daniel Craig, che riesce a tenere incollati allo schermo ed emozionare nonostante le sue 2 ore e 43 minuti: una durata forse eccessiva, ma che non pesa tanto su un film che fin dall’inizio mette in chiaro la drammaticità degli eventi. Il 25° film di Bond si distanzia dal filone classico non tanto per costruzione narrativa quanto drammatica, portando in scena personaggi pieni e umani evolutisi nel corso degli anni.

A convincere meno forse è proprio la new entry Rami Malek, non tanto per la sua interpretazione, sempre di livello, quanto per il personaggio che, pur essendo funzionale metaforicamente, è quello sviluppato in maniera più povera e si fa fatica a comprenderne tutte le motivazioni. Il film tuttavia non cerca motivazioni, ma la rappresentazione di un contatto umano che, una volta trovato, è forse l’unica cosa che ci permette di sopravvivere. Viene inoltre mostrato bene come le sovrastrutture di drammi e traumi irrisolti interferiscano inevitabilmente nei rapporti nonostante si tenti di ignorarle, facendo vacillare la fiducia che ne è alla base.

Andate a vedere No Time To Die aspettandovi non solo un capitolo di James Bond, ma un film che, pur essendo d’azione, dà il meglio di sé più nella calma che nel caos.

Un ringraziamento speciale a Universal Pictures

Lorexio Articoli
Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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