One Second (Yi miao zhong) rappresenta il ritorno sulle scene di un pilastro del cinema cinese contemporaneo: Zhang Yimou. Un film – finalmente – spiccatamente autoriale e ben lontano dalla occidentalizzazione invadente a cui il cineasta ci aveva abituato negli ultimi anni (The Great Wall del 2016 ne è un esempio). Quest’ultima sua fatica fa parte della Selezione Ufficiale della 16ª Festa del Cinema di Roma e la trama è molto semplice, ma allo stesso tempo stuzzicante: siamo in piena Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, portata avanti dal presidente Mao Zedong. L’ambientazione è quindi quella di una Cina di metà anni ’60 in cui il detenuto Zhang Jiusheng (Zhang Yi), fuggito da un campo di lavoro forzato, raggiunge un piccolo villaggio rurale sperduto in mezzo a un soffocante deserto.
L’uomo ha un obiettivo ben preciso: visitare l’unica sala cinematografica presente nella cittadina per assistere alla proiezione di un cinegiornale di propaganda governativa, per la precisione il numero 22; ne è a dir poco ossessionato e il perché è tutto da scoprire. Il suddetto viaggio della speranza porta Zhang a conoscere due particolari individui: l’orfana vagabonda Liu (Liu Haocun) e il celebre Fan (interpretato da un Fan Wei in grande spolvero). Quest’ultimo gode del soprannome di Mr. Film, attribuitogli in quanto miglior proiezionista in circolazione. I due comprimari intrecceranno le loro vite con quella dell’ex galeotto, in un’avventura all’inseguimento della bobina di pellicola che contiene il filmato tanto bramato dal protagonista.
Ciò che salta subito all’occhio è l’ottimo comparto tecnico, dalla fotografia alla regia. La prima, ad opera di Zhao Xiaoding, è pervasa da tonalità ocra/marroni che rendono immersivi gli ambienti secchi e desolati, la seconda è orchestrata – non a caso – attraverso suggestivi campi lunghi, primi piani esemplari che ben delineano le emozioni dei personaggi e occasionali dettagli, soprattutto se si parla delle sequenze dedicate alla sala di proiezione al centro delle vicende. Nella cinematografia di Zhang Yimou – si prenda in considerazione soprattutto Lanterne Rosse del 1991 – la macchina a mano è spesso ridotta all’osso; c’è invece una predilezione per inquadrature fisse e movimenti di macchina calcolati. One Second non fa eccezione, offrendo frequentemente delle riprese che sembrano veri e propri quadri.
Viene da chiedersi se la spasmodica attenzione riservata al mondo del cinema, e in particolare alla buona vecchia pellicola, sia in fondo una componente autobiografica: il regista mostra il suo amore per la settima arte così come le sue varie sfaccettature; tra queste trova spazio anche un discreto feticismo: nel film la celluloide diventa addirittura merce di scambio da vendere o utilizzare come materia prima per creare curiosi oggetti di grande valore. L’opera del cineasta cinese è, in parte, metacinema che affronta svariati temi come la contrapposizione tra reale e immaginario o la vita di tutti i giorni opposta a un’esistenza mediata dalla televisione. Da apprezzare, inoltre, l’ottica pasoliniana sfruttata per sviscerare tutto il discorso: Yimou ci ricorda che, una volta seduti in sala, siamo tutti uguali, non c’è classe sociale che tenga.
A proposito di sociale, l’altro ingrediente inserito nel lungometraggio è, o meglio vorrebbe essere, una palese critica allo status quo maoista, dove lo stacanovismo – spesso e volentieri infantile – e il culto del popolo sono le due parole d’ordine. Perché ho usato il condizionale? Ebbene, questo aspetto – anche secondo Lorexio che ha avuto la possibilità di analizzare la pellicola insieme al sottoscritto – manca di mordente in quello che desidera raccontare: il tema viene scandagliato in maniera asettica e la narrazione risulta così leggermente spoglia e manchevole di empatia.
Nello specifico, il giudizio critico che Zhang Yimou rivolge al regime comunista cinese viene esemplificato attraverso interessanti citazioni alla filmografia del passato: le opere proiettate nel cinema di Mr. Film hanno tutti titoli e tematiche altisonanti filo-socialiste e militaresche; sembrano uscite direttamente dalla mente della nazista Leni Riefenstahl, autrice de Il trionfo della volontà. Si parla di cult come Heroic Sons and Daughters del 1964 firmato da Wu Zhaodi, utilizzati – in unione ai già citati cinegiornali che assomigliano a quelli diffusi in Italia dall’Istituto Luce in epoca fascista – per impartire alla popolazione i valori da seguire al fine di compiacere il Grande Leader. In questo, fortunatamente, One Second riesce a restituire bene il contesto sociale che condanna, mostrando anche quanto possa essere pericoloso il mezzo cinema se utilizzato per foraggiare la propaganda. Torna, insomma, uno dei temi ricorrenti della poetica di Yimou, ovvero la resilienza del popolo cinese di fronte alle avversità.
Venendo al nocciolo del problema, la riuscita solo parziale del film è da attribuire principalmente alla sceneggiatura: ben inteso, questa risulta davvero brillante in alcuni punti; riesce infatti a strappare qualche risata con dell’intelligente umorismo che, ovviamente, lascia molto campo libero al dramma. La lodevole recitazione di tutti gli attori poi, soprattutto se si cita Fan Wei, contribuisce a rendere lo scorrere degli eventi molto piacevole. Il lavoro, tuttavia, non è esente da difetti: certi avvenimenti chiave della trama evidenziano un malcelato cerchiobottismo da parte dell’autore, che evita, quindi, di prendere una posizione chiara in merito al sottotesto sociologico che dovrebbe essere uno dei punti di forza di tutta l’operazione.
Per citare Lorexio: “Il finale mi è sembrato attaccato con lo sputo” e ci si chiede subito il perché. Presto detto: One Second purtroppo è stato fortemente ostacolato dalla censura cinese, che ha impedito – all’ultimo secondo – la sua proiezione al Berlinale del 2019, costringendo il regista a tagliare i passaggi “scomodi” e a rigirare diverse scene nell’arco di due anni per sperare di poterlo distribuire. I cambiamenti si avvertono eccome, soprattutto nell’epilogo, per l’appunto: ho personalmente avuto la sensazione che le vicende potessero concludersi ben prima del previsto, con un finale amaro e carico di sfiducia verso quel tanto odiato comunismo di stampo cinese; si è optato invece per l’aggiunta di alcune sequenze ulteriori che donano alla trama una conclusione aperta e fuori luogo, encomiabile solo per una morale di fondo interessante, ma avulsa dal messaggio generale dello script.
Alla Festa del Cinema di Roma qualcuno ha obiettato affermando che sì, la creazione di Zhang Yimou è poco schierata politicamente, ma “non era certamente quello l’obiettivo“. A questo proposito, posso subito ribattere dicendo che il povero cineasta ha sperimentato sulla sua pelle ben dieci anni di lavori forzati inflittigli dal governo centrale. Mi sembra del tutto naturale quindi che l’uomo abbia desiderato ardentemente la possibilità di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, venendo disgraziatamente osteggiato.
One Second ha due volti: quello metacinematografico è decisamente da applaudire; scherzando, dopo la proiezione mi sono permesso di definirlo “il Nuovo Cinema Paradiso cinese“. Quello più spiccatamente politico è, di contro, troppo asciutto. Il verdetto finale spetta quindi allo spettatore, tutto dipende da cosa si cerca: se volete un lungometraggio profondamente politicizzato, l’avventura di Zhang non è esattamente ciò che fa per voi; se invece puntate a un film pregno, cinematograficamente parlando, rimarrete molto soddisfatti.
Quest’anno il panorama filmico orientale si è potuto fregiare di pellicole certamente migliori, tuttavia ciò non significa che la fatica di Yimou debba essere snobbata. È sicuramente uno dei titoli più validi alla Festa del Cinema di Roma, pur non raggiungendo i fasti di un La foresta dei pugnali volanti o del già citato Lanterne Rosse. I distributori Fenix Entertainment ed Europictures lo porteranno nei cinema italiani il 16 dicembre – e in seguito uscirà anche in home video – non esitate a recuperarlo.
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.