Into the Pit (PC)

into the pit recensione

Voto:

Uno dei titoli che più ha catturato il mio interesse durante l’ultima Gamescom è stato senz’altro Into the Pit, sviluppato da Nullpointer Games e pubblicato da Humble Games. Sarà per la sua omonimia con un grandioso pezzo dei Testament, per il suo stile così terribilmente unico o forse per la mia inguaribile propensione verso i titoli indie, ma avevo aspettative altissime per questo retro-FPS.

La valutazione in stelline che avrete senz’altro già sbirciato lascia, ovviamente, intuire la presenza di diversi problemi che non permettono ad Into the Pit di spiccare il volo, ma sappiate che non tutto è da buttare e buone idee ci sono eccome. Inoltre ricordate che l’ultima fatica targata Nullpointer Games è parte del catalogo Xbox Game Pass, pertanto potrete provarlo senza costi aggiuntivi qualora possediate l’abbonamento su PC o su Xbox.

Into the Pit azione
Una tipica fase di azione in Into the Pit.

Se c’è un genere che è stato capace di donarci tantissime soddisfazioni negli ultimi anni è proprio quello dei roguelike, includendo anche interpretazioni più o meno pure, definite roguelite; basti pensare a titoli del calibro di Deathloop, Returnal ma anche, perché no, a produzioni minori come Hades, Dead Cells e Void Bastards. Into the Pit, sebbene attinga anche da altri sottogeneri, deve parecchi dei suoi elementi a questa tipologia di videogame. Chi conosce roguelike e roguelite sa bene quanto sia difficile trovare un virtuoso bilanciamento che consenta alla ripetizione (o loop) delle partite di non essere noiosa e, appunto, ripetitiva. Giocando una delle opere di riferimento sopra citate, si innesca il felice meccanismo “un’altra e poi smetto”, cosa che, purtroppo, non accade in Into the Pit appena superate già le prime 2/3 ore di gioco. Sfortunatamente, nonostante un impianto ludico ragionato e completo, si ha ben presto la sensazione di aver visto quasi tutto quello che il gioco ha da offrire.

Dopo la scarna e frettolosa introduzione narrativa, il nostro personaggio, un mago capace di scagliare raggi di energia da entrambe le mani (sempre visibili a schermo), si ritrova in un villaggio pressoché disabitato. Interloquendo con i pochi cittadini rimasti, ben barricati dietro le porte delle proprie residenze, e guidati da una voce mistica, si capisce che per riportare il nucleo urbano alla normalità bisognerà spezzare la maledizione che lo attanaglia salvando, nel frattempo, anche gli abitanti dispersi. Attraverso un rituale e delle rune mistiche, si potrà aprire il “pozzo“, ovvero un portale che conduce a un mondo infernale stratificato, un po’ come l’inferno dantesco. Ogni discesa nel pozzo rappresenta un livello a sé stante, costituito da 4 strati diversi più un boss. Per discendere in uno strato più in profondità bisognerà sempre completare 4 quadri ed estrarre le reliquie presenti in ognuno di essi.

Into the Pit pozzo
La stanza del pozzo, attivabile attraverso il rituale.

È molto interessante notare come ognuna di queste stratificazioni funga da sotto-hub e si possano affrontare i quadri nell’ordine che si preferisce, scegliendo tra coppie degli stessi. Sulla porta di ognuno di questi è indicata la valuta chiamata mote, ottenibile esplorando il livello, e risulta strategicamente fondamentale non solo memorizzare l’utilità delle diverse motes, ma anche e soprattutto capire verso quale di queste indirizzare la propria ricerca. Ognuna di queste valute, infatti, permette il miglioramento di particolari aspetti della propria build, e non tutte vengono conservate una volta morti o ucciso il boss di turno.

La Mote della fortuna ad esempio è una di queste, e influisce sulla rarità dei potenziamenti ottenibili in una determinata partita, che siano sull’arma della mano sinistra o destra, o sul proprio sistema di difesa. La Mote del denaro, invece, viene mantenuta dal personaggio anche in caso di dipartita, ed è spendibile nel villaggio per comprare altre abilità passive e forgiare nuove rune. Ho molto apprezzato queste meccaniche, che ritengo donino strategicità e profondità ad un videogame che per natura, invece, è votato ad enfatizzare il gunplay pienamente DOOM-like.

Into the Pit Villaggio
Il Villaggio, hub centrale del gioco, in tutto il suo tetro splendore.

Prima di entrare nel pozzo è possibile personalizzare la propria build, inserendo potenziamenti che aumentano la vita, la fortuna, la quantità di motes trovabili e così via. Queste abilità vanno ottenute interrogando gli NPC che man mano si aggiungeranno al villaggio quando salvati dal mondo infernale. Più abitanti torneranno dall’altra dimensione e più servizi riapriranno nel centro cittadino, permettendoci di differenziare sempre di più le nostre abilità, almeno teoricamente. Purtroppo, tastiera e mouse alla mano, le differenze saranno quasi impercettibili e si finirà sempre e comunque per scegliere una combinazione di attacchi e potenziamenti infinitamente più efficace delle altre.

Selezionare sulla mano sinistra l’equivalente dello shotgun e su quella destra un arma da lunghissima distanza, oltre che puntare sul ripristino della vita attraverso le motes, diventa sin da subito una scelta obbligata per avere una vita facile, a tutto discapito della sperimentazione, scatenando la ripetitività già citata. Se aggiungiamo lo scarso tasso di sfida offerto dai boss e la dozzinale differenziazione dei nemici che ricalcano, con skin diverse, giusto una manciata di tipologie, si capisce quanto il solo ottimo gunplay offerto dal gioco non basti a mantenere alta la barra dell’interesse per un tempo prolungato. Peccato.

Into the Pit boss
I boss di fine livello purtroppo non rappresentano una sfida per il giocatore.

Anche sotto il profilo puramente artistico Into The Pit non riesce a capitalizzare le incoraggianti premesse. Se l’eccellente lavoro compiuto sull’art style è assolutamente evidente anche appena iniziata l’avventura, è altrettanto vero che una maggiore varietà e soprattutto una colonna sonora più avvincente avrebbero giovato enormemente alla produzione. Capisco benissimo chi, come me, si sia innamorato del comparto visivo del retro-FPS targato Nullpointer Games dopo aver visto un trailer, ma sappiate che la struttura stessa del gioco, così frammentata e chiusa, non giova neanche alla varietà estetica pur tenendo in considerazione la natura procedurale dei livelli. Tra l’altro la frenesia delle azioni sullo schermo, oltre che l’oscurità delle ambientazioni, avrebbero reso più naturale un accompagnamento metal, magari doom o goth, piuttosto che lo scialbo e ridondante tappeto musicale presentato.

Into the Pit reliquie
Vedete quell’oggetto giallo e luminoso sullo sfondo? Ebbene sì, è una reliquia (keystone).

Into The Pit è un videogame dalla doppia anima, un retro-FPS con ricche influenze rogue dall’art-style convincente e riconoscibile, ma con una struttura di gioco ripetitiva e mal calibrata. Dispiace vedere dissipati l’ottimo gunplay, la strategicità necessaria per ottimizzare la propria build e un così vivido comparto visivo. Nullpointer Games ha senz’altro dimostrato di avere talenti cristallini nelle proprie file; ora bisogna solo aspettare che, con l’esperienza, siano in grado di migliorare quanto già di buono visto in questo gioco.

Special thanks to Humble Games

Vivo nella costante speranza che venga finalmente costruita un'astronave per Namek. Nell'attesa, tra una tazza di caffè d'orzo e una pizza Hawaiiana, impiego il mio tempo videogiocando e discutendo di argomenti che non interessano a nessuno. Nelle ore diurne sono un architetto.

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