Diabolik, il ladro dagli occhi di ghiaccio secondo i Manetti Bros.

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Dopo quasi un anno di rinvio causa Covid, finalmente il film di Diabolik ad opera dei Manetti Bros. arriva nelle sale italiane, anche se nell’infelice data del 16 dicembre (un giorno dopo l’attesissimo Spider-Man: No Way Home). La coppia di registi italiani ha sempre portato a opinioni super polarizzanti, ma qualsiasi sia il vostro pensiero sui loro lavori gli va riconosciuto di aver contribuito alla rinascita del cinema di genere in Italia. I timori sulla scelta di adattare il fumetto delle sorelle Giussani, un caposaldo dell’editoria italiana, erano quindi alimentati sia dalle opinioni contrastanti sui Manetti che da un’ormai diffusa (ma immotivata) diffidenza per qualsiasi cosa porti il marchio italiano. Ma com’è andata veramente?

diabolik luca marinelli

Come ha raccontato il CEO di Astorina (storica casa editrice del fumetto) durante l’ultima conferenza stampa del film, dopo il Diabolik di Mario Bava del 1968 sono state rifiutate oltre 50 proposte di realizzazione di una nuova pellicola sul personaggio. Con la proposta dei Manetti, invece, la casa editrice ha sentito una connessione molto profonda, e la loro intenzione di realizzare un film “di” Diabolik, e non “su” Diabolik (senza quindi stravolgere la natura del personaggio), ha reso possibile quest’impresa da oltre 9 milioni di dollari, prodotta in collaborazione con Rai Cinema e Mompracem. La trama è ispirata al numero 3 della testata a fumetti, “L’Arresto di Diabolik“, risalente al 1963 e il primo in cui le sorelle Giussani hanno introdotto il personaggio di Eva Kant, facendo davvero nascere la dinamica di Diabolik come la conosciamo.

Il film dei Manetti infatti è incentrato proprio sul primo incontro tra Eva e Diabolik, interpretati rispettivamente da Miriam Leone e Luca Marinelli, con un sempre presente Ginko (Valerio Mastandrea) che già dalla prima scena è al perenne inseguimento del ladro. L’arrivo a Clerville della ricca ereditiera Lady Kant porta ad attivare sia l’ispettore che il ladro, intenti a sfruttare la giovane per i loro scopi. Nonostante però l’obiettivo principale di Diabolik sia il furto del diamante rosa custodito nella cassaforte dell’ereditiera, l’incontro con Eva scatenerà in lui emozioni che non aveva mai provato prima, e che lo porteranno a rivalutare la sua filosofia di vita solitaria e pianificatrice fino al millimetro.

diabolik film eva kant

La messa in scena dei due registi è molto convincente, ispirandosi (dichiaratamente) a maestri come Hitchcock e Bava, da cui mutuano la fotografia – che può ricordare molto quella di film come Vertigo o La finestra sul cortile – e alcune scelte stilistiche di regia. Nonostante questo però non mancano tocchi di ipermodernità, come split-screen multipli che ricordano molto le vignette del fumetto o inserti disegnati che mostrano il piano della rapina. Una delle scelte che mi ha colpito di più è la rappresentazione del lancio del coltello, con un focus sulla lama e lo sfondo che si muove velocemente, molto suggestiva e in linea con l’estetica fumettosa della pellicola.

Anche la sceneggiatura ha il pregio di non essere mai troppo seriosa, pur prendendosi sul serio. È bello che similmente ai cinecomic più riusciti – Batman di Burton, Spider-Man di Raimi o Hellboy di del Toro – non si cerchi un realismo estremo per qualcosa che sarebbe fin troppo sopra le righe per essere vero, ma si riesca a raccontare una storia over the top con la giusta enfasi, conferendole anche un tono drammatico. I problemi principali del film tuttavia risiedono nelle scelte che lo rendono fin troppo attinente al cartaceo, dimenticando la sua essenza cinematografica. Se infatti gli arzigogoli logici e fisici di Diabolik non risultano mai fuori contesto, alcuni suoi “gadget” sullo schermo non riescono a dare il meglio. Posso anche credere ad un carretto con il retro della E-Type che di notte confonde i poliziotti e riesce a far disperdere le tracce del ladro, mentre mi è difficile credere che Diabolik abbia costruito un sistema radiocomandato che riesce a far alzare una strada a suo piacimento per evitare un posto di blocco.

diabolik ginko valerio mastandrea

Altra nota dolente – e questa purtroppo fa molto male – sono i dialoghi del film, tutti troppo didascalici e scritti come si farebbe per la carta stampata. Spesso i personaggi risultano poco credibili per quello che dicono, in quanto le frasi esplicitano sempre tutto senza mai lasciare sottintesi, come invece farebbe una persona normale parlando. Ad esempio, se in un fumetto leggo “Aspetta, ho sentito un rumore” non mi stranisce come a sentirlo recitato da un attore in carne ed ossa, che molto più realisticamente direbbe “cos’era?” o “cos’è stato?”. Nonostante questo, grazie alla bravura degli attori si riescono a portare avanti anche dinamiche interessanti, come quella tra Eva Kant e Diabolik, che evolve in modo naturale e convincente, facendo rimpiangere però dei dialoghi scritti come si deve.

La durata della pellicola, circa 2 ore e 10 minuti, forse risulta un po’ eccessiva. Si sarebbe potuto tagliare qualcosa nella parte centrale, limando una ventina di minuti che potevano giovare alla fruibilità del film, che comunque riesce a tenere un ritmo sempre alto e, nonostante i colpi di scena siano abbastanza telefonati – dopotutto la base è un fumettone degli anni ’60 – è bello vedere come i Manetti Bros. abbiano deciso di rappresentarli. Forse solo nella scena della “ghigliottina” (quando vedrete capirete a che mi riferisco) si sono dimenticati un piccolo particolare che fa storcere un po’ il naso, e dispiace per un prodotto che altrimenti scorre benissimo dall’inizio alla fine.

diabolik film covo

Come già detto, tecnicamente il film è ineccepibile, e anche la ricostruzione storica degli anni ’60 – sebbene di una città fittizia – è molto buona, con l’unica nota di demerito ai semafori, che non sono stati minimamente cambiati e quindi spiccano con la loro plastica verde moderna in un contesto totalmente avulso a quell’estetica. Gli interni invece sono perfetti, soprattutto per quel che riguarda il covo di Diabolik, in pieno futurismo anni ’60/’70. Le performance attoriali sono quasi tutte di livello, e spiccano particolarmente quelle di Mastandrea e Alessandro Roja, quest’ultimo nel ruolo del vice ministro della giustizia corrotto Giorgio, che ricorda molto il Dandi di Romanzo Criminale. Forse è proprio Luca Marinelli quello più sottotono, facendo sembrare il suo Diabolik sì monolitico, ma quasi più simile a Batman (con la voce super impostata) che al seducente (ma silenzioso) criminale del fumetto.

Diabolik al di là di tutto è un film prezioso, non tanto per il suo alto valore artistico, quanto per la capacità di far capire che il cinema italiano è in piena rinascita e anche noi possiamo aspirare a realizzare dei nostri cinecomic. La strada per produrre un capolavoro è sicuramente lunga, ma questo film, anche più di Freaks Out che strizzava fin troppo l’occhio agli USA, dimostra la bontà e l’identità del nostro cinema anche in lidi troppo poco esplorati. Peccato per i difetti, dovuti probabilmente a una gestione non felice di tutto l’esorbitante – per i nostri standard – budget fornito ai registi, speso forse più in estetica che in sostanza (anche gli effetti speciali sono ottimi, e quasi mai in CG), ma ciò non toglie che l’ultimo lavoro dei Manetti sia un altro tassello importante per il cinema nel nostro paese. Avanti così.

Lorexio Articoli
Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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