Ad Hollywood devono aver pensato che i libri di Edgar Rice Burroughs stessero in pace da troppo tempo, visto che nessuno li scomodava da un bel po’, almeno da quando nel 2012 hanno portato al cinema l’immeritatamente sfortunato “John Carter”. Senza considerare il cartone animato classico della Disney, è dal film dell’84 “Greystoke – La Leggenda di Tarzan” che nessuno adattava in versione live action le avventure dell’uomo-scimmia più famoso di sempre.
La storia di questo nuovo adattamento si apre con una prospettiva completamente diversa rispetto alle precedenti versioni; sono passati otto anni da quando l’uomo una volta conosciuto come Tarzan ha abbandonato la giungla africana per una vita signorile nei panni di John Clayton III, Lord di Greystoke, un perfetto Lord inglese civilizzato che alza il mignolo quando beve il tè. Viene invitato di nuovo in Congo con la funzione di emissario di commercio del Parlamento su consiglio di George Washington Williams (Samuel L. Jackson), ma ignora di essere diventato in realtà una pedina in una convergenza mortale di avidità e vendetta ideata dal Capitano belga Léon Rom (Christoph Waltz) per conto dello stato Belga oberato dai debiti e desideroso di mettere le mani sui diamanti congolesi.
Dopo un inizio promettente, il film si arena nella baia del già visto e già sentito, per arrivare pigramente alla fine senza un reale colpo di scena. Infatti inizialmente sembra che gli sceneggiatori, Adam Cozad e Craig Brewer, vogliano davvero raccontare la storia che già conosciamo tutti da un punto di vista completamente nuovo, affrontando l’eterna lotta natura/cultura da parte di un Tarzan “civilizzato”, ma arrivati all’intervallo ci rendiamo conto che si trattava solo di un’illusione perché, complici i numerosi flashback, ci viene di nuovo riproposta la storia del bambino orfano di genitori abbandonato nella giungla e cresciuto dalle scimmie.
Il regista David Yates, noto per aver diretto ben 4 numerosi capitoli della saga di Harry Potter, e al lavoro anche sullo spin-off “Animali fantastici e dove trovarli”, sembra non aver fatto tesoro dell’esperienza maturata ad Hogwarts, perché in alcuni momenti la regia mi è sembrata incerta ed ingenua, sensazione magari amplificata anche da un uso improprio della computer grafica: anche nelle scene più caratteristiche del mondo creato da Burroughs, come ad esempio lo spostamento con le liane, il film sembra troppo simile ad un videogioco e la CGI, unita ad un taglio quasi supereroistico, tende ad alienare lo spettatore da quel rapporto con la natura su cui la storia è incentrata. Può darsi che ormai l’occhio dello spettatore moderno sia talmente tanto abituato alla computer grafica, da far sembrare scadenti tutti gli effetti che risultano al di sotto della perfezione. Al pari della regia, anche la fotografia risulta piatta, sicuramente capace di rendere merito alle bellezze paesaggistiche del continente nero, ma purtroppo incapace di dare risalto ai momenti drammatici.
Christoph Waltz è lontano dal cattivo che l’ha reso famoso, il colonnello Hans Landa di “Bastardi Senza Gloria”, ma non siamo neanche vicini al domatore da circo di “Come l’acqua per gli Elefanti”: svolge il compitino assegnato senza entusiasmo, ma riesce ad essere comunque credibile nonostante il fatto che il suo personaggio non si separi mai dal suo rosario e lo usi in modi che neanche Indiana Jones con la frusta. Ho trovato abbastanza irritante anche il personaggio di Jane interpretato da Margot Robbie, che qui non ha altro ruolo se non quello della fanciulla da salvare.
Sicuramente non si può negare l’impegno fisico e recitativo dell’attore protagonista Alexander Skarsgård, salito alla ribalta dopo tanti film indipendenti, ma soprattutto grazie al ruolo del vampiro Eric Northman nella serie tv “True Blood”, che regge sulle sue ampie spalle tutto il peso del film. Alexander colpisce non solo per l’incredibile prestanza fisica, ma anche per la sua bravura come attore, ad esempio all’inizio del film riesce a trasmettere anche solo con lo sguardo tutta l’inadeguatezza di uno spirito libero costretto dalla civilizzazione a reprimere la sua vera natura. Samuel L. Jackson poi, nonostante il ruolo da semplice comprimario, ruba la scena ogni volta, ed è suo il merito di alleggerire la tensione nei momenti eccessivamente seriosi.
In conclusione The Legend of Tarzan è un godibilissimo film d’avventura, ma forse non destinato a rimanere nella memoria.
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