Parlare ora di Unpacking potrebbe risultare ripetitivo, ma qui su Nerdevil non gli era stato ancora dedicato un articolo. Questo curioso titolo è stato sdoganato negli ultimi mesi grazie al debutto sul Game Pass di Xbox, stupendo la critica con una narrativa silente e decisamente sentimentale. Una vita raccontata attraverso l’atto finale del trasloco, quando una volta giunti in una nuova casa bisogna riaprire quegli scatoloni riempiti con cura e sistemare i propri frammenti. Personalmente non ho mai vissuto l’atto del trasloco e difficilmente posso immedesimarmi in tale esperienza attraverso il videogioco, tuttavia se c’è qualcosa che mi ha colpito di questo titolo è indubbiamente la sua semplicità.
Sia chiaro, sento il bisogno di fare un’analisi leggermente particolare del gioco, e ho bisogno innanzitutto di farvi una piccola confessione: sono un maniaco dell’ordine. Sento la necessità, il più delle volte, di mantenere i miei spazi in ordine e puliti, traendone una sincera soddisfazione. Ciò non solo si riflette nel mio stile di vita e in ciò che faccio tutti i giorni, ma ha anche influenzato non poco la mia esperienza con Unpacking, che il 10 maggio è finalmente approdato su PlayStation 4 e PlayStation 5.
Il gioco sviluppato dai ragazzi di Witch Beam ha fatto sorgere in me qualche riflessione: soffro così tanto di un’ossessione per l’ordine? Mentre giocavo ad Unpacking questa domanda rimbalzava nella mia testa, e man mano che svuotavo gli scatoloni mi accorgevo di quanto ero testardo nel mettere in ordine il loro contenuto. Dopotutto bastava sistemare gli oggetti, non importava in quale sequenza o con chissà quale rispetto per gli spazi, contava solo che ogni elemento si trovasse nel suo ambiente. Questo personalmente non mi soddisfaceva affatto, e quindi quei livelli che potevano concludersi nel giro di qualche minuto man mano si sono estesi per diverse ore, finché non ne ho tratto la medesima soddisfazione che provo quando sistemo la mia stanza. Unpacking ha evidenziato ancora di più quella che inavvertitamente è diventata una mia fissazione.
Ludicamente il gioco si può spiegare in maniera semplice: vivendo un racconto, affrontiamo l’ultimo atto del trasloco in una nuova casa, svuotando gli scatoloni e sistemando tutti gli oggetti nelle varie stanze, scoprendo passo dopo passo le abitudini delle persone a cui appartengono. Tuttavia titoli come Unpacking mi ricordano quanto siano personali le esperienze con i videogiochi, indipendentemente dal fatto di essere un critico professionista o un videogiocatore qualsiasi. Questa piccola parentesi si allaccia perfettamente al personalissimo dubbio accennato poco fa. La mia esperienza con Unpacking non si rifà al flusso dei ricordi scaturito dal rinvenimento di oggetti dimenticati, bensì si basa sulla necessità di seguire una routine all’interno di uno spazio virtuale. Difatti Unpacking mi ha ricordato tantissimo le mie abitudini settimanali delle pulizie, risaltando soprattutto l’ordine che ho costruito nei miei spazi.
Trovo che sia alquanto incredibile che un titolo così piccolo (in termini di produzione) sia stato capace di mettermi davanti al mio odio sconfinato verso il disordine, dandomi modo di sfogarmi attraverso il suo gameplay, che in poche parole mi ha assuefatto. Sebbene all’apparenza possa sembrare molto semplice, infatti, dietro vi è una dinamica da puzzle-game ben curata, che però non lascia molto spazio alla libertà ludica, dal momento che le varie categorie di oggetti hanno posti definiti in cui rientrare: i libri vanno negli scaffali, le console nel mobiletto della TV, e così via.
Nonostante questo possa risultare limitante, devo ammettere di aver percepito una certa pace interiore giocando ad Unpacking, poiché ha rappresentato il mio ideale di vita casalinga. Vedere stanze così ordinate che brulicano di oggetti di vario tipo mi ha permesso di sognare in maniera genuina la mia futura casa, merito soprattutto degli scenari curati e ben diversificati che il gioco mi ha fatto riordinare. Da un appartamento di lusso ad una bella casa con diverse camere da letto, fino alla cameretta dell’infanzia, i vari ambienti non sono soltanto belli nella loro estetica, ma offrono anche spazi ampi in cui poter sistemare i propri ricordi.
Pur non avendo potuto immedesimarmi appieno a causa della mia inesperienza con i traslochi, ho apprezzato come gli sviluppatori siano riusciti a raccontarmi la vita della protagonista senza però mai mostrarla od offrendo una linea di dialogo, introducendomi invece quelli che sono i suoi oggetti di lavoro o di svago.
Nonostante l’avventura si concluda nel giro di 5 ore, devo sottolineare che non c’è stato un attimo in cui la mia attenzione per il gioco è calata, nemmeno dopo il centesimo o millesimo oggetto tirato fuori dagli scatoloni, dandomi sempre una leggiadra soddisfazione ad ogni stanza sistemata. È qui che sento completamente mia l’esperienza avuta con Unpacking, un qualcosa che difficilmente può replicarsi in altre sedi. La pace interiore che il suo “ordine videoludico” mi ha recato viene amplificata da diversi aspetti, tra cui l’assenza di un timer per il completamento degli scenari, la sua pixel art curata e colorita, e la sua musica rilassante.
Inoltre se pensate che una volta completato il livello sia finita lì, vi sbagliate. Con mia sorpresa, tornando in uno degli scenari portati a termine, mi sono accorto di alcuni cambiamenti nelle stanze: nella cucina, prima linda e pulita, ho notato che nel lavandino c’erano dei piatti sporchi, così come spostandomi nel soggiorno ho visto diversi giocattoli per bambini a terra, segni evidenti di una casa vissuta. Ironicamente potrei dire che la storia inizi proprio dopo i titoli di coda. Questo fatto in particolare mi ha colpito, poiché spesso i videogiochi mostrano tutto ciò che hanno da mostrare nel percorso che va dai titoli di testa a quelli di coda, e ho trovato affascinante come qui la vita del nostro alter ego virtuale continui anche dopo l’epilogo.
La mia esperienza con Unpacking deriva da un mio stile di vita che a volte ricade nell’ossessione per l’ordine. Sebbene proponga una narrativa strettamente legata al gameplay, quest’ultimo caratterizzato da una semplicità sconfinata, ad attrarmi di più è stata quella possibilità di essere in parte me stesso all’interno di un videogioco. Ciò che posso consigliarvi è di provare con mano la creatura di Witch Beam e lasciarvi andare nel suo contesto zen.
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