Bisogna ammettere che ormai da tempo buona parte del pubblico non ripone più grandi speranze nei lungometraggi targati DC, che spesso negli anni sono risultati pesanti come mattoni o, peggio, realizzati davvero male. Gli unici ad essere usciti da questo schema finora sono stati The Suicide Squad di James Gunn – che in quanto a cinecomic può ormai fare scuola – Joker di Todd Phillips e The Batman di Matt Reeves.
Una cosa però è certa: se in un progetto legato a questo genere inserisci Dwayne Johnson (aka The Rock), il pubblico “drizza le antenne” e tende a concedere maggiore fiducia perfino ad un cinecomic DC. Non certo perché si tratti di un attore tra i più impegnati del panorama moderno, ma perché da moltissimo tempo il suo volto è associato a un tipo di blockbuster ad altissimo tasso di intrattenimento. In buona sostanza, i suoi film non ci piacciono perché la sceneggiatura è degna di un premio Oscar, ma perché quantomeno ci fanno staccare la spina per due ore con il nostro amato eroe che compie imprese a dir poco improbabili.
Purtroppo questa recensione ha lo “scopo” di spiegare perché, nonostante la presenza dell’amatissima star degli action movie, Black Adam non si salva sotto nessun punto di vista. O, per dirla con una locuzione che potrebbe quasi sembrare un meme, perché vedere The Rock “che fa cose” in questo caso non basta a salvare la baracca.
Black Adam si pone come un film sulle origini di questo antieroe, spiegandoci dapprima nel dettaglio il motivo per cui è stato scelto come Campione ottenendo i poteri, per poi procedere a gettare le basi per il suo sviluppo. Purtroppo però la carne al fuoco è veramente troppa e nessuno degli argomenti trattati è approfondito o ha una particolare attrattiva. Teth Adam (questo il suo vero nome) viene risvegliato dopo ben 5000 anni per poter liberare il suo popolo nel paese di Kahndaq, ma inizia a fare giustizia in via del tutto arbitraria, superando più volte il confine tra ciò che è giusto e sbagliato, così per fermarlo interviene una squadra di supereroi chiamata Justice Society. Questo però rappresenta solo la prima metà della trama, dal momento che in contemporanea inizia a manifestarsi una minaccia più grande.
Viene quindi affrontata in modo superficiale la genesi del personaggio, che forse avrebbe meritato un approfondimento maggiore, e allo stesso modo il suo rapporto con gli eroi che tentano di fermarlo manca di spunti di riflessione interessanti. Ma soprattutto il confronto con il vero villain arriva dopo una sfibrante ora e mezza, rendendolo poco entusiasmante. Tutto, insomma, fallisce nell’intento di creare vera curiosità nello spettatore, che si trascina per due ore nella visione di combattimenti che, peraltro, non sono neanche così esaltanti. La costruzione delle scene, infatti, presenta gravi problemi nella regia e nel montaggio (sia audio che video), e l’alternanza tra tono “alto” e commedia – quest’ibrido che la Warner sta tentando per dare un’aria meno austera ai propri film – danneggia pesantemente anche il ritmo delle sequenze.
Perfino Dwayne Johnson, unica vera attrattiva del film, rimane dunque imprigionato in questo personaggio che non ha niente a che vedere con quello che il pubblico si aspettava. Non è mai abbastanza comico, non essendo quello il suo reale ruolo, ma non è nemmeno il The Rock dei disaster movie, pronto a compiere gesta totalmente folli ma incredibilmente divertenti. È “solo” una strana via di mezzo, una bambola di sale che non fa ridere e non compie acrobazie di nessun tipo, dal momento che si limita ad incassare colpi come se fossero carezze e a dispensarne di più pesanti.
La Justice Society poi fallisce sotto ogni punto di vista, presentandosi come un’accozzaglia di personaggi messi insieme per caso. Abbiamo Hawkman (Aldis Hodge), una specie di strano ibrido tra Birdman e il Falcon della Marvel; Albert Rothstein (Noah Centineo), che ha preso in prestito il costume dallo zio Atom Smasher con una maschera che ricorda quella di Deadpool, e rappresenta la spalla comica che non fa mai ridere; Cyclone (Quintessa Swindell), la ragazza vestita come una Winx con i poteri del vento (o così ci viene presentata all’inizio); infine Kent Nelson, il Dottor Fate, lo 007 di Pierce Brosnan vestito come un damerino che ha rubato l’elmo a Leonida di 300. Se li mettessimo tutti in un bar avremmo l’inizio di una barzelletta. Nessuno di loro ha una personalità interessante, tridimensionale e si limitano ad attraversare il film per concedere qualche battuta o siparietto comico davvero poco allettante.
Insomma un bel minestrone di personaggi e trame che risultano quasi scollati tra loro e che si limitano solo ad accennare gli spunti di riflessione che il film avrebbe dovuto comportare: come si definisce il concetto di giustizia e chi può dire cosa sia giusto o sbagliato?
Come se il quadro non fosse già abbastanza tragico, il ritmo delle scene a volte è totalmente sbagliato e le battute comiche non trovano una collocazione perfetta nei dialoghi, tra campi e controcampi tagliati con l’accetta che non risultano mai fluidi. Il montaggio, come già suggerito più sopra, ne esce quindi completamente sconfitto, non concedendoci mai il tempo di godere di un dialogo che abbia le giuste tempistiche o inquadrature. Perfino il comparto sonoro è spesso fallace, con attacchi musicali collocati male o addirittura un missaggio sonoro che tiene conto del punto di ascolto in maniera completamente arbitraria (rendendo dunque non “leggibili” alcuni dialoghi). La fotografia ricalca perfettamente il gusto estetico dei film precedenti, leggermente sovraesposta e spesso tendente al dorato. A mio avviso un difetto, visto che questo film in particolare avrebbe giovato sicuramente di colori più accesi, decisi, e contrasti più forti tra luce e ombra (anche per rimarcare la già menzionata dicotomia tra bene e male).
La CGI, per chiudere il discorso del comparto tecnico, è in più occasioni terrificante. Ogni inquadratura che ha richiesto dosi massicce di effetti speciali, in particolare sul corpo di Dwayne Johnson quando non veste i panni di Black Adam o sulle fattezze del villain, risulta completamente posticcia. Il villain in particolare ricorda quasi il lavoro fatto sull’Hellboy diretto da Neil Marshall, il che non è esattamente un complimento.
Infine, per tornare alla narrazione, ogni plot twist è assolutamente prevedibile e non crea mai quell’effetto sorpresa tipico del genere. Colpi di scena banali si susseguono senza mai concedere una vera emozione e lasciando lo spettatore a chiedersi perché abbia perso due ore di tempo per arrivare ad una rivelazione che, in realtà, era già stata “annunciata” all’inizio.
In quanto alle spinose questioni sulla continuità, sappiamo benissimo che ormai il concetto di DCEU è diventato a dir poco fumoso e i film post-Snyder non hanno la pretesa di collegarsi tra loro, tuttavia qui fanno la loro comparsa ben due guest star provenienti da altri lavori (che non vi rivelo, ma se siete abbastanza informati saprete già di chi parlo). Questo crea una certa confusione, visto che a conti fatti il film sembra slegato dagli altri cinecomic DC, anche da Shazam! nonostante ne condivida appieno l’immaginario.
Black Adam è un film completamente privo di aspetti positivi a causa di una trama banale, superficiale e quasi confusionaria, che si adagia su un’estetica scomposta che non permette di godere nemmeno delle scene prettamente d’azione. The Rock ne esce sconfitto, incapace di portare il modello di eroe a cui siamo abituati nei suoi blockbuster in “favore” di un personaggio ingessato e banalmente violento. Le due stelle, dunque, le guadagna principalmente per la buona colonna sonora, anche se non sempre favorita dai terribili montaggi audio di cui ho discusso poc’anzi. Un vero peccato, perché – pur non essendo il film che il pubblico attendeva con più ansia quest’anno – aveva creato un certo hype per la presenza di Johnson, alle prese con il suo primo cinecomic.
Un ringraziamento speciale a Warner Bros. Italia
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