Il Gatto con gli Stivali 2: L’ultimo desiderio

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L’universo cinematografico di Shrek, dopo quei capolavori dei primi due film e altri due sequel sempre più stanchi e fiacchi, si era concluso nel 2011 con lo spin-off sul Gatto con gli Stivali. Ora, a distanza di ben 11 anni, DreamWorks ha deciso curiosamente di portare al cinema proprio un seguito di quest’ultimo, affidandolo a Joel Crawford – regista “emergente” ma storyboard artist di lunga data per lo studio, dai tempi di Bee Movie – e scegliendo come stile artistico quel misto di 2D e 3D lanciato da Spider-Man: Un Nuovo Universo, già ripreso dalla DreamWorks per Troppo Cattivi. In questo caso lo stile è molto più tendente al finto 2D, con l’utilizzo nelle scene d’azione anche di un’animazione a low frames molto suggestiva. Questo porta il film a richiamare i classici del genere pur rinnovandolo con una formula moderna che, seppur di tendenza da qualche anno, riesce a trovare una sua identità ben definita grazie a questa sua declinazione.

La storia de Il Gatto con gli Stivali 2: L’ultimo desiderio parte da un assunto molto semplice: il nostro protagonista, dopo una festa in suo onore, muore in seguito al combattimento con un gigante della foresta, finendo per risvegliarsi dal dottore che lo avvisa di aver terminato 8 delle sue 9 vite. Il medico gli consiglia di ritirarsi, ma lui è riluttante, almeno fino all’incontro con un misterioso lupo cacciatore di taglie, che gli darà filo da torcere in combattimento facendogli provare per la prima volta la paura della morte. Da quel momento il Gatto con gli Stivali andrà “in pensione”, ma poi scoprirà l’esistenza di una Stella dei Desideri, un misterioso oggetto magico che potrebbe fargli recuperare tutte le sue vite e farlo tornare ad essere “la leggenda” che è sempre stato.

Il Gatto con gli Stivali 2 gatto

Nonostante una morale che forse i più navigati tra gli spettatori potranno già aver delineato, il film rimane comunque molto originale per il modo in cui questa narrazione “classica” viene impostata, fortunatamente mantenendo quei guizzi di ironia oscura, scorretta e spesso ammiccante verso gli adulti che il franchise di Shrek ha sempre avuto, almeno nei primi capitoli. Anche in questo campo assistiamo ad una trasposizione ai tempi moderni, e uno dei temi su cui viene più fatta ironia è l’attuale modo di intendere la psicoterapia, sia attraverso personaggi iconici delle fiabe come il Grillo Parlante, sia attraverso un nuovo personaggio principale di nome Perro, che accompagnerà il protagonista insieme alla ritrovata Kitty Zampe di Velluto.

Perro è infatti un piccolo cane abbandonato che, per sua stessa ammissione, vorrebbe diventare un cane da terapia, e che cercherà in tutti i modi (fino all’esaurimento nervoso) di diventare amico del Gatto, in una dinamica che ricorda molto quella tra Shrek e Ciuchino. Al di là di tutta l’ironia su questi aspetti, però, in realtà è proprio quello che pensano e provano i personaggi il motore portante del film. Si approfondisce moltissimo la relazione tra il Gatto e Kitty, da sempre tormentata e travagliata per motivi di aspettative sulla propria persona impossibili da soddisfare, così come il circolo vizioso creato dal credere di essere sempre sbagliati e meritarsi di rimanere da soli.

Il film spinge molto sul concetto di famiglia, e ne vuole parlare mettendo a confronto tre tipi potenziali di modelli familiari: ci sono il Gatto, Kitty e Perro, che si ritrovano malgrado le loro diversità a dover collaborare e iniziare a conoscersi meglio per poter raggiungere la Stella dei Desideri; come loro rivali ci sono anche Riccioli D’oro e i tre Orsi, che a loro volta formano un nucleo familiare d’adozione che si regge su un equilibrio molto precario, dato dalla differenza di specie tra i suoi componenti; per ultimo il solitario Jack Horner, il villain del film, un imprenditore dell’industria dolciaria vissuto fin da bambino all’ombra delle persone “magiche” e con un’insana voglia di far suoi tutti gli artefatti magici per controllarli, sfruttando a tale scopo chiunque possa essergli leale, come i suoi dipendenti.

Il Gatto con gli Stivali 2 perro

Il Gatto con gli Stivali 2 rimane molto fresco nella sua rappresentazione, pur mantenendosi in linea con la classica satira “visiva” del franchise. Abbondano anche citazioni più o meno esplicite, a partire da tutti gli artefatti delle fiabe posseduti da Jack Horner, che li utilizzerà per andare all’inseguimento della Stella. Il regista inoltre ha voluto omaggiare moltissimo il genere western, a partire dalle citazioni più classiche come il triello – qui cinquello – fino alla colonna sonora, che oltre ai temi più classici inserisce anche il fischio “à la Morricone” come elemento narrante, caratteristico del Grande Lupo Cattivo, che ogni volta che entrerà in scena con quel suono farà gelare il sangue sia al nostro protagonista che a tutti i bambini in sala.

Il film infatti è sorprendentemente dark per essere destinato ai più piccoli, con le scene del Lupo che spingono davvero molto sull’horror e la paura, e con una rappresentazione della Morte che farebbe impressione perfino ad un pubblico di soli adulti, anche per come viene trattato il tema. Da questo punto di vista non è solo il design dei personaggi, ma anche la regia di Crawford che riesce a fare la differenza, con lunghi piani sequenza che sanno essere tanto calmi e pieni di tensione nei momenti d’attesa quanto funambolici e virtuosi nei combattimenti, rendendo il film un’esperienza visiva assolutamente appagante.

Se c’è qualcosa che si può recriminare a Il Gatto con gli Stivali 2 è forse solo un’eccessiva fretta nel finale, che cerca di chiudere tutto quello che ha aperto per accontentare i ragazzi e lasciare un insegnamento, ma che se si fosse preso più tempo per analizzare determinate situazioni tra i personaggi sarebbe riuscito anche a strappare più di una lacrima per un messaggio che, come già detto, nonostante la semplicità rimane sempre universale e ben raccontato.

Il Gatto con gli Stivali 2 lupo

Il Gatto con gli Stivali 2: L’ultimo desiderio è sicuramente migliore del film precedente e probabilmente anche del terzo e quarto Shrek, riuscendo nell’arduo compito di risollevare un franchise che ormai sembrava aver esaurito qualsiasi cosa avesse da dire. Grazie ad uno stile formidabile che lo rende una gioia per gli occhi e una storia ben sviluppata, coerente, ma soprattutto scorrettamente divertente, il film riesce a fare qualcosa che ormai sembrava quasi impossibile: portare al cinema un buon film d’animazione che non debba per forza targettizzare il suo pubblico, ma possa parlare trasversalmente a tutti. Qui neanche la morte è edulcorata perché nessuno deve “pensare ai bambini” iperproteggendoli, permettendogli finalmente di avere una vera esperienza di cinema, con tutto il suo rollercoaster di emozioni.

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Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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