Prima di iniziare quell’odissea infinita chiamata Hunter x Hunter, il celebre mangaka Yoshihiro Togashi ha sfondato nel mondo degli shonen con Yu Yu Hakusho, da noi meglio conosciuto come Yu degli spettri. Conclusasi nel 1994, l’epopea di Yusuke Urameshi conquistava il giovane pubblico dandosi battaglia con un pilastro come Dragon Ball.
A distanza di trent’anni, nessuno si sarebbe aspettato che l’opera di Togashi diventasse una serie live-action per Netflix, prodotta da Robot Communications (Godzilla Minus One), ma in un periodo storico in cui sembra si possa fare qualsiasi cosa tutto sommato non sorprende più di tanto.
Con l’avvento del live-action di One Piece (sempre su Netflix) le aspettative rivolte al sottobosco di questi adattamenti sono indubbiamente aumentate, poiché dopo tanti fallimenti abbiamo visto che realizzare una buona serie con attori in carne ed ossa tratta da un manga/anime è possibile. Tuttavia quella a cui abbiamo assistito l’estate scorsa sembrerebbe più un’eccezione alla regola, quindi è sempre meglio non abbassare la guardia nei confronti di questi prodotti.
L’adattamento Netflix di Yu Yu Hakusho conta soli 5 episodi da circa 50 minuti ciascuno, che introducono lo spettatore nell’immaginario spettrale di Togashi. Mi sono interrogato molto sulla capacità di questa serie di imporsi come un altro prodotto valido ed entrare nell’olimpo di quelli che hanno spezzato la “maledizione”, ma la risposta rimane ancora del tutto incerta. Di certo la serie vede all’opera uno staff interessante, che include Akira Morii e Kazutaka Sakamoto, già produttori dei live-action di Alice in Borderland e Zombie 100, lo sceneggiatore di quest’ultimo, Tatsuro Mishima, e la regia di Sho Tsukikawa, che tra le altre cose ha diretto Voglio mangiare il tuo pancreas.
Il live-action inizia riproponendo quello che è l’incipit dell’opera originale: in un atto di altruismo, il giovane teppista Yusuke Urameshi salva un bambino dall’essere investito per strada e muore. Giunto nell’aldilà fa la conoscenza di Piccolo Enma, un’entità che preserva l’equilibrio tra il mondo degli umani e il regno degli yokai. Essendo quella di Yusuke una morte non prevista dal corso del tempo, gli verrà concessa una seconda opportunità: assumendo il ruolo di detective del mondo degli spiriti, il ragazzo dovrà indagare sugli eventi che minacciano l’equilibrio dei due mondi, affinché venga scongiurato un imminente disastro. Nella sua missione Yusuke sarà affiancato dalla traghettatrice di anime Botan, che lo seguirà nelle future lotte contro gli yokai dandogli un’infarinatura di come utilizzare i poteri astrali che gli sono stati conferiti.
La caratterizzazione del protagonista (e come si vedrà anche di Kuwabara) rispecchia perfettamente la controparte originale, con l’atteggiamento da spaccone tipico dei teppisti nei manga. Dietro al suo carattere irruento però si nasconde un cuore d’oro, un ragazzo pronto ad aiutare il prossimo. La serie riesce a far passare bene questo aspetto di Yusuke, assieme anche al profondo legame con l’amica d’infanzia Keiko, che alimenta il suo lato umano.
Sebbene il primo episodio sembri gettare delle basi interessanti, andando avanti lo sviluppo del canovaccio narrativo si prende diverse libertà, eliminando innanzitutto i filler che hanno saturato l’anime e scartando diversi elementi secondari del plot principale. Una scelta che però impatta negativamente sullo sviluppo dei personaggi.
Infatti nella sua corsa inarrestabile verso la conclusione del torneo oscuro (parliamo di circa 50 episodi dell’anime qui condensati in 5), la serie si perde diversi pezzi per strada, fondamentali soprattutto per lo sviluppo dei comprimari. Mentre personaggi come Kurama riescono decisamente a spiccare (grazie anche all’ottima interpretazione di Jun Shison), altri come Hiei, Botan e lo stesso Enma non godono di una caratterizzazione degna di nota, finendo col diventare figure marginali. Neanche gli iconici fratelli Toguro riescono a salvarsi dalla direzione intrapresa dal live-action, passando veramente in sordina nel loro ruolo di villain. Così facendo il live-action non riesce a trasmettere pienamente il costrutto narrativo di Togashi, la cui immaginazione ha plasmato ottimi background e sottotrame per ciascuno dei suoi personaggi.
Ciò che si può maggiormente apprezzare della serie sono i combattimenti, che esaltano la brutalità e la spettacolarità dell’opera originale, tanto da non risparmiarsi nemmeno sulla rappresentazione delle ferite inferte dai colpi più letali. La produzione ha fatto più affidamento sugli effetti pratici che sulla CGI, ottenendo un risultato sì più incline al realismo, ma che visivamente non ripaga appieno la scelta presa. Infatti il sempre temuto “effetto cosplay” purtroppo aleggia continuamente sui costumi e il trucco, vanificando in parte il buon lavoro eseguito sul look dei personaggi.
Nonostante un buon primo episodio, la serie live-action di Yu Yu Hakusho non riesce a mantenere le aspettative peggiorando man mano che si va avanti. Inoltre è assurdo come salti a piè pari degli avvenimenti vitali per l’evoluzione dei personaggi, come se non avesse il coraggio di ambire a una seconda stagione. Complice il numero esiguo di episodi, il lavoro compiuto da Robot Communications e Netflix non basta per rendere giustizia a uno dei migliori shonen degli anni ’90, finendo tristemente per accodarsi alla lunga scia di live-action dei quali potevamo fare a meno.
Non vero di quello che è scritto e stato stupenda la serie
Pienamente d’accordo con il redattore, una serie pessima che non da giustizia al bellissimo manga e anime che abbiamo amato negli anni 90, il live-action fa acqua da tutte le parti, mancano tante parti di storia e quel che è rimasto è molto confuso e messo a caso, se doveva uscire una cosa del genere, potevano anche evitare. Peccato poteva davvero uscirne una bella serie.