The Cub, l’immensa nostalgia dopo la catastrofe (PC)

the cub gioco recensione

Voto:

L’industria dell’intrattenimento è colma di racconti distopici, post-apocalittici, in cui la Terra è scivolata velocemente nel caos a causa della scelleratezza umana. Scenari non inverosimili se ci si proietta in avanti con un vago occhio critico, ma che conservano inalterato il loro fascino nell’immaginario odierno, forse come presa di coscienza di una paura fino a pochi decenni fa lontana. Oppure, mentre si galoppa verso il punto di non ritorno, si avverte sempre più il desiderio di avere un’altra possibilità. Allora perché, se siamo consapevoli dei risvolti tragici delle nostre azioni, continuiamo a produrre e promuovere con entusiasmo favole che stanno assumendo sempre più i connotati di una triste realtà?

The Cub chiude un’ipotetica trilogia di Demagog Studio costruita sapientemente intorno alla sopravvivenza, allo spirito di adattamento, malinconicamente sospesa e filtrata dalla nostalgia con la quale i protagonisti guardano il pianeta che una volta era la loro casa.

The Cub umani

La storia attorno a cui ruota la narrativa di questo universo vede l’umanità fuggire verso Marte, lasciandosi alle spalle un pianeta ormai invivibile e, soprattutto, chi non è abbastanza abbiente o potente da potersi permettere il biglietto di sola andata, con la promessa (mai mantenuta) di tornare a prendere tutti. Evitando il più possibile spoiler, questo gioco si presenta come diretto sequel del primo gioco di Demagog Golf Club: Nostalgia, con il secondo, Highwater, che funge da prequel alla vicenda nella sua interezza.

In The Cub si vestono i panni di un cucciolo d’uomo che, avendo perso la madre nella disperata corsa verso la base di partenza dei razzi Muskovitch, trova rifugio nella foresta limitrofa a una grande metropoli, venendo allevato e accudito dai lupi. Impara i rudimenti del linguaggio umano per sbaglio, inciampandoci sopra, crescendo animalescamente disincantato tra le rovine di un mondo che non esiste più, perlomeno come lo conosciamo noi. La vita sulla Terra infatti, dando prova della sua incredibile resilienza, è continuata. In un clima apparentemente proibitivo e un ambiente infestato da radiazioni, la nuova generazione ha imparato a vivere adattandosi, in particolare senza l’ausilio di dispositivi per l’ossigeno o purificatori di vario genere.

Il segreto dell’immunità del protagonista sarà alla base dell’intreccio, e la rottura dell’equilibrio narrativo è rappresentata da navicelle cariche di scienziati che tornano sulla Terra per indagare questo fenomeno, con la speranza di raccogliere dati preziosi per vivere senza tute spaziali nell’ecosistema marziano. La fuga del cucciolo porterà il giocatore a correre a perdifiato tra centri commerciali abbandonati, enormi monumenti e strade affollate di rottami, con raccordi narrativi tra una sezione e l’altra sotto forma di pitture rupestri, quasi a testimoniare che per voler andare troppo avanti si è tornati al punto di partenza.

The Cub fondale

Dopo aver esplorato il genere “sportivo” e il combattimento a turni isometrico, Demagog Studio sceglie il platform vecchio stampo come linguaggio ludico per il suo “Libro della giungla” post-apocalittico. Ispirandosi ai classici SEGA-Disney anni ’90, il gioco peraltro presenta una buona dose di trial and error. Il fulcro dell’opera tuttavia, come ormai le produzioni precedenti della casa ci hanno abituato, non risiede quasi mai nella sua sintassi interattiva, composta da salti al momento giusto, scivolate e semplicissimi puzzle ambientali, ma nella commistione di arte visiva e sonora che ci accompagna nel viaggio. Trovando per caso il casco di una tuta spaziale, il cucciolo riesce a sintonizzarsi con Radio Nostalgia From Mars, la vera protagonista dell’avventura.

Mentre ci faremo strada nella giungla, che sia di vegetazione o urbana, ascolteremo storie di nostalgia, di rimpianto e d’amore, canzoni dance martellanti e ninne-nanne in un flusso continuativo che non si interrompe nemmeno dopo il game over, e che dona alla produzione una geniale fluidità. Più che maestria nel sound design, in The Cub c’è la costruzione di veri e propri paesaggi sonori, laddove esplorare lo stesso fondale con un sottofondo differente può rovesciare la prospettiva del giocatore, fornendo nuove chiavi di lettura che donano spunti di riflessione sempre più profondi.

The Cub platform

Proprio nei fondali, dipinti a mano, si nasconde la critica più tagliente e feroce al sistema capitalistico odierno, che si fa sempre meno velata proseguendo nell’avventura. Capiterà per esempio di correre su un cartellone pubblicitario che incoraggia l’acquisto di una vettura, salvo poi trovare quel modello di automobile accatastato in serie, che formando un palazzo di lamiere fumanti è circondato da carrelli della spesa vuoti. Nei collezionabili sparsi qua e là invece si leggono notizie contestuali alla storia ma anche citazioni di artisti, scrittori e filosofi realmente esistenti, che non fanno altro che amplificare l’ipertestualità dell’opera e la sua lettura stratificata.

La produzione scorre poi con piacere anche grazie alla varietà degli scenari, con un ritmo crescente e ben calcolato tra fasi semi-contemplative e momenti in cui è richiesta più abilità pad alla mano, e si arriva ai titoli di coda senza momenti di stanca. Tuttavia il gameplay spogliato degli elementi artistici risulta grezzo, con animazioni talvolta mancanti. Credo che ci sia stata volontà di farlo percepire a tratti vetusto, quasi come per instillare nei giocatori di vecchia data la stessa nostalgia veicolata dall’opera, e l’idea funzionerebbe se non fosse che in alcune sezioni viene richiesta una precisione e una responsività dei controlli che semplicemente il sistema di gioco non possiede.

the cub filmato

Per completare The Cub ho impiegato circa 4 densissime ore, raccogliendo quasi tutti i collezionabili. Solo in un’occasione sono incappato in un bug che disattivava l’audio, ma è bastato caricare il precedente checkpoint per far tornare tutto come prima.

Puntando il dito contro di noi e il nostro abbandono del pianeta, facendoci dondolare tra quartier generali di grandi corporazioni, il cucciolo di The Cub rappresenta la sublimazione del format videoludico messo in campo da Demagog studio, che scherzosamente ci chiede attraverso un manifesto diegetico: “I videogiochi possono essere arte?“. Io, per quanto mi riguarda, posso rispondere con sicurezza in maniera affermativa.

Special thanks to Untold Tales Games

Boligno Articoli
Videogiocatore da che ho memoria e lettore accanito, ritengo il videogioco una delle massime espressioni di arte al pari della letteratura e della poesia, altra mia grande passione. Divoro tutto il divorabile, con una predilezione per i giochi di ruolo e gli sparatutto.

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